Processo Rinascita Scott a Lamezia, depositate motivazioni: in oltre 3mila pagine le ragioni delle 200 condanne

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Lamezia Terme - Depositate le motivazioni della sentenza di primo grado del maxiprocesso "Rinascita Scott", celebrato nell'aula bunker di Lamezia - la cui sentenza è stata pronunciata a novembre 2023. Il Tribunale collegiale di Vibo (presidente Brigida Cavasino, giudici a latere Germana Radice e Claudia Caputo), dopo una proroga richiesta per la stesura, ha infatti spiegato in oltre 3mila pagina le ragioni che hanno portato al verdetto che sancì 200 condanne.

Un processo dai grandi numeri, partito dopo il maxi blitz del dicembre 2019 - coordinato dalla procura antimafia guidata all'epoca di Nicola Gratteri (oggi procuratore capo a Napoli) e che puntò a disarticolare le organizzazioni di 'ndrangheta del Vibonese facenti capo alla cosca Mancuso - e che in parte è stato deciso con rito abbrevviato prima della sentenza del procedimento ordinario: nel processo sono imputate 338 persone, per 322 delle quali la pubblica accusa aveva chiesto la condanna da un massimo di 30 anni ad un minimo di un anno, per un totale di 4.744 anni di reclusione.

Per i giudici "Pittelli a disposizione clan Mancuso"

Tra le condanne anche quella a 11 anni nei confronti dell'avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli. Per il Tribunale sono "numerose le vicende che dimostrano la stabile ed effettiva messa a disposizione dell'imputato nei confronti dell'associazione. Il rapporto tra Pittelli e Luigi Mancuso non si riduce ad una confidenzialita' inusuale tra avvocato e capo-mafia, superando i limiti della mera contiguita' compiacente, per risolversi nella ripetuta e concreta attivazione dell'imputato a beneficio della consorteria alla quale fornisce uno specifico e consapevole contributo. Non sara' solo Pittelli a strumentalizzare la fama criminale di Luigi Mancuso per incrementare il suo prestigio professionale e per facilitare alcune speculazioni edilizie, quanto anche Luigi Mancuso soprattutto nella fase ascendente della sua parabola ad avvalersi della rete di relazioni messagli a disposizione di Pittelli - ora nelle vesti di legale, ora in quelle di politico, ora di vero e proprio faccendiere - per scalare le vette del potere economico-malavitoso, calabrese e non solo".

"Sono numerose e rilevanti - scrivono i giudici - le occasioni un cui il rapporto biunivoco tra Giancarlo Pittelli e Luigi Mancuso si e' palesato all'esterno traducendosi ora in concreti contributi al boss e all'operativita' della sua compagine, ora in obiettive agevolazioni di cui Pittelli ha goduto nel corso delle trattive relative ai suoi investimenti nel settore immobiliare". "I dialoghi intercettati non erano frutto di esagerazioni proferite da comprimari tanto adoranti, quanto male informati ne' di millanterie, bensi' - sottolineano i giudici in sentenza - espressione di una reale collusione tra i due personaggi, ciascuno nel suo ambito, potente e influente". Emblematica per il Tribunale un'intercettazione in cui l'imputato Giovanni Giamborino spiegava che "molti dei contatti rilevanti che Luigi Mancuso aveva, e sui quali poteva contare, erano stati creati nel tempo grazie all'aiuto di Giancarlo Pittelli". Giamborino avrebbe anche messo in guardia il suo interlocutore "sul rischio di chiedere voti alla mafia in caso di competizioni elettorali poiche' poi si rimane schiavi di certe dinamiche". Sarebbero anche provati, per i giudici, diversi incontri "riservati" tra Pittelli e Mancuso tra il 2014 e il 2017 "anche nel periodo in cui il boss si era reso irreperibile per sottrarsi agli obblighi della sorveglianza speciale".

"Per Callipo provata vicinanza a clan"

“Emerge senza dubbio una condotta tutt’altro che trasparente dell’imputato Gianluca Callipo che ha mostrato di acconsentire a contatti e rapporti con esponenti della consorteria criminale ed in primis con Salvatore Mazzotta, verosimilmente con l’intento di ottenerne il consenso in vista delle consultazioni elettorali”. E’ quanto scrivono i giudici del Tribunale di Vibo Valentia nelle motivazioni della sentenza del maxiprocesso Rinascita Scott (depositate oggi) in relazione alla posizione dell’ex sindaco di Pizzo Calabro, Gianluca Callipo, per il quale la Dda di Catanzaro aveva chiesto 18 anni di reclusione per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici hanno assolto l’imputato poiché “la prova appare insufficiente non avendo consentito di individuare lo specifico e consapevole contributo causale che Callipo avrebbe fornito alla consorteria, residuando il dubbio che la condotta abbia effettivamente superato la soglia della mera contiguità compiacente”. Resta tuttavia provata per i giudici “una vicinanza di Callipo Gianluca agli ambienti criminali – si legge in sentenza – in quanto le modalità con le quali avviene l’incontro in un bar con Mazzotta, in un momento in cui quest’ultimo era sorvegliato speciale, appaiono gravemente indiziarie e denotano certamente una vicinanza di Callipo agli ambienti criminali”. Mazzotta è stato invece condannato a 23 anni per associazione mafiosa.

"Consigliere assolto, ma provati rapporti"

"Dal materiale probatorio emerge senza dubbio una condotta torbida dell’imputato che ha mostrato di ricercare rapporti con esponenti della criminalità organizzata, sebbene adottasse elaborate cautele per nascondere quei legami che avrebbero messo a repentaglio l’immagine di uomo delle istituzioni”. E’ quanto scrivono i giudici del Tribunale di Vibo Valentia nella sentenza del maxiprocesso Rinascita Scott (depositata stamane) sull’ex consigliere regionale del Pd, Pietro Giamborino, assolto dall’accusa di associazione mafiosa e condannato ad un anno e 6 mesi per traffico di influenze illecite a fronte di una richiesta di condanna a 20 anni formulata dalla Dda. Per il Tribunale “Pietro Giamborino fa parte di quella zona grigia in cui i clan strizzano l’occhio alla politica e ne pretendono i favori dopo averla assecondata. Giamborino ha certamente fatto parte del vecchio locale di ‘ndrangheta di Piscopio, ma non può dirsi altrettanto per l’adesione al nuovo clan fondato nel 2009”. Da qui l’assoluzione, pur emergendo “allarmanti commistioni di Giamborino con ambienti criminali, ma ciò non è sufficiente per provare il contributo che Giamborino avrebbe offerto all’associazione mafiosa”. Per i giudici sono provati in ogni caso i rapporti di Giamborino con i boss Luigi e Pantaleone Mancuso, Cecè Mammoliti, Pino Galati e pure con un giornalista di Vibo “per ottenere informazioni sul contenuto delle dichiarazioni rese dai collaboratori Moscato e Mantella”.

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