Lamezia Terme – Nonostante siano ormai trascorsi 34 anni da quando ha appeso le fatidiche scarpette al chiodo, resta, e di gran lunga, il calciatore lametino con più presenze in serie A. Anzi, l’unico ad avervi giocato con continuità. Oltre alla bravura tecnica ed all’applicazione, Danilo Pileggi ha avuto dalla sua anche quella necessaria dose di fortuna invece mancata ad altri talenti nostrani quali Felice Natalino o, per fare un altro nome più in là nel tempo, Giovanni Di Cello. Il classe ’58 non ha perso il treno giusto, come suol dirsi, approdando giovanissimo nel grande calcio. Alla fine il suo excursus da calciatore sarà di quelli pesanti: 173 presenze, condite da 7 reti, in serie A e 95, con 3 gol, in B. A queste vanno aggiunte le 20 di fine carriera, in C2, con la Vigor Lamezia. Anche se ormai da tempo trapiantato a Roma, Pileggi torna spesso nella sua Lamezia dove continuano a vivere il fratello e la sorella. Lo ha fatto anche nei giorni scorsi per ricevere il premio alla carriera Lamezia Channel Awards. Ne abbiamo approfittato per ripercorrere, dalla viva voce del diretto protagonista, le principali tappe della sua carriera, da calciatore prima e da allenatore dopo.
Come tanti ragazzini del suo tempo, anche il “nicastrese” Danilo inizia a dare i primi calci al pallone in oratorio.
“Nel campetto del cortile della chiesa della Pietà. Poi avendo molti amici che giocavano nella Nuova Bella (antica società cittadina, ormai non più attiva, fondata nel 1972 ed arrivata a disputare, dalla seconda metà degli anni ’70 fino al 1992-93, ben sedici campionati regionali di Prima Categoria ndr), il passaggio è stato facilitato. Anche perché alla guida del club c’erano delle persone perbene che mi hanno voluto. Quella in bianco-azzurro è stata una splendida avventura, non solo calcisticamente parlando, ma anche umanamente. Nel frattempo, ho iniziato a fare un po' di provini. Il primo a Gioia Tauro grazie ad un ex calciatore della Vigor che risponde al nome di Tonino Vitale, elemento molto forte tecnicamente e che, sicuramente, avrebbe potuto fare una carriera decisamente migliore. A quei tempi, infatti, era uno dei calciatori lametini con più spiccate doti tecniche. Alla Gioiese c’era un allenatore che, avendo contatti con il settore giovanile del Genoa, mi propose a sua volta per un provino, che andò bene, con il club ligure. Tuttavia non rientrai nei profili o canoni di calciatore che cercavano in quel periodo. Di conseguenza, sempre la stessa persona che mi aveva proposto al Genoa, mi mandò a quel punto all’Alessandria, dove fui preso ed iniziò, si può dire, la mia carriera”.
Con i grigi piemontesi collezionerà 40 presenze e 2 reti.
“Il primo anno lo iniziai nella Berretti, per poi esordire in C, in prima squadra, in occasione delle ultime quattro giornate di campionato. Avevo diciotto anni e giocavo già in serie C, per cui iniziai ad attirare le attenzioni dei grandi club del nord, i quali mandavano i loro osservatori a visionarmi. Intanto facevo anche parte dell’allora Under 21 di serie C. Da li è stato tutto un susseguirsi di situazioni che mi hanno portato a fare il grande salto al Torino. Quando giocavo, la domenica, sapevo che in tribuna c’erano sempre degli osservatori del Toro. Poi li ho anche conosciuti di persona una volta che fui acquistato dal club granata. Li andavo spesso a trovare nei loro uffici e ci facevamo delle lunghe chiacchierate sulle partite nelle quali erano venuti a vedermi giocare”.
Appena diciannovenne, Pileggi passa, così, dall’Alessandria, e dalla serie C, al Torino, ovvero ad uno degli allora top club della massima serie. “Sono entrato a far parte di una grande squadra che aveva vinto lo scudetto due anni prima, per poi classificarsi seconda nell’annata successiva (stagioni 1975-76 e 76-77 ndr). Un team di grandi campioni nel quale mi sono ben inserito grazie pure all’allenatore Gigi Radice, il quale mi teneva sempre sotto osservazione, dandomi continui consigli e suggerimenti. E così a marzo mi fece esordire in un Torino - Bologna”. E che esordio, verrebbe da dire, dato che a sbloccare quel match, giocatosi il 12 marzo del 1978 e finito 2-0, fu proprio il ragazzo di Nicastro. “Fu un gol anche bello tecnicamente. Sono andato incontro ad una palla un po' alta al limite dell’area avversaria, l’ho stoppata di prima facendo finta di tirare, per poi mirare e trovare l’angolino. Quei pochi gol che ho segnato devo dire che sono stati tutti di buona fattura tecnica”. Una volta al Toro, fa il salto di qualità anche con la maglia azzurra, passando dall’Under 21 di serie C a quella di A e B, il cui allenatore era Azeglio Vicini, poi futuro commissario tecnico della nazionale maggiore. “Avevo un buon rapporto con lui che, tra l’altro, mi stimava molto”. Pileggi resta sin qui l’unico calciatore lametino ad aver avuto il privilegio di giocare in nazionale, seppur in quella Under 21. Alla fine, saranno complessivamente 8 le sue presenze con gli azzurrini. Poi sfiora, addirittura, la convocazione per il Mondiale del 1982: il suo nome era infatti presente nella lista dei 50 preconvocati dal C.T. Bearzot.
Con le squadre di club, e con la maglia del Torino nello specifico, va vicinissimo tanto alla conquista dello scudetto quanto, soprattutto, della Coppa Italia. È il 17 maggio 1980 ed a Roma si disputa la finale secca tra la Roma ed il Torino. “Lo 0-0 non si schiodò neanche dopo i supplementari – ricorda sempre Pileggi – e si andò così ai rigori. Ebbene, riuscimmo a perdere 3-2 dopo essere andati inizialmente in vantaggio di due gol. Sbagliammo, infatti, i successivi, nonché ultimi, tre rigori, che loro invece segnarono. Fu davvero un peccato”.
Qualche anno più tardi, stagione 1984-85, in campionato sempre il suo Torino si dovette invece arrendere alla rivelazione Hellas Verona . “Perdemmo lo scontro diretto casalingo. Vincemmo, di contro, al Bentegodi alla sestultima di ritorno, accorciando a -4 da loro, ma poi non riuscimmo più a recuperare alcun punto”.
Nell’estate del 1987 lascia la serie A, giocando le successive tre annate in B con Barletta ed Avellino. Chiude la carriera a “soli” 33 anni, non prima di aver collezionato venti presenze in C2 con la maglia della Vigor Lamezia. In biancoverde arriva, a torneo già iniziato, a novembre del 1990. A causa anche di un infortunio, la sua esperienza vigorina, nonché con il calcio giocato, si chiude il 12 maggio 1991, dato che non giocherà le ultime quattro giornate. La sconfitta di Latina, alla sestultima, aveva, comunque, ormai sostanzialmente compromesso le chance di promozione in C1. “È stata ugualmente una bellissima esperienza. Mi feci trasportare più dal cuore che dalla ragione, decidendo di accettare la proposta di quella Vigor di cui da ragazzino ero un grande tifoso, tanto da non perdermi alcuna partita al D’Ippolito. Disputammo un buon campionato, chiudendo al terzo posto (allora non esistevano i play-off ma venivano promosse direttamente in C1 le prime due classificate ndr). Avrei potuto giocare ancora due-tre stagioni, ma per tutta una serie di motivi, soprattutto familiari, decisi di smettere al termine di quell’anno”.
Appese le scarpette al chiodo, l’ex ragazzo prodigio della Nuova Bella inizia a lavorare nel settore giovanile della Lazio, rimanendovi una decina d’anni. “Poi andai ad allenare il Perugia Primavera. Quindi l’approdo a Benevento, nel 2006, dove si stava ripartendo da zero e mi fu affidata la guida tecnica della prima squadra, allora militante in C2, ma mi dimisi ad ottobre. Rimasi in ottimi rapporti con la dirigenza, però, tant’è che dopo un anno e mezzo mi richiamarono, affidandomi stavolta la panchina della Berretti con la quale vincemmo lo scudetto, laureandoci campioni d’Italia. Fu una bella soddisfazione”.
Nella stagione successiva decide di seguire il suo amico, ed ex compagno di squadra, Beppe Dossena in Etiopia, facendogli da secondo nell’allenare il Saint-George, club della capitale Addis Abeba militante nella massima serie. “Collaborazione durata una stagione. Al termine Beppe non voleva più continuare e quindi siamo ritornati entrambi in Italia. Nella successiva il sodalizio africano si è inizialmente affidato ad un tecnico serbo, salvo poi decidere di ricontattarmi, proponendomi stavolta di fare il primo allenatore, e non più il vice. Decisi di accettare e feci bene, dato che riuscimmo a vincere il campionato e, quindi, lo scudetto etiope”. Una conquista che tuttavia coinciderà con la sua ultima esperienza su una panchina. “Si, sono poi ritornato a Benevento facendo tre-quattro anni di scouting, occupandomi un po' anche della riorganizzazione del settore giovanile. Faccio tuttora scouting assieme a due miei amici, uno dei quali è Umberto Lattuga, mio compagno di squadra alla Vigor. In pratica visioniamo calciatori, prepariamo delle schede tecniche su di loro e poi li proponiamo alle società. Il calcio continua, quindi, a far parte della mia vita”.
Non ha dubbi, Pileggi, quando gli chiediamo di farci il nome dell’allenatore più importante per la sua carriera. “Indubbiamente Gigi Radice, essendoci stata una forte stima reciproca. A volte bastava che ci guardassimo semplicemente negli occhi per capirci. Il calciatore più forte con cui ho giocato? Sono stati tanti. Faccio il nome di Beppe Dossena semplicemente per il grande rapporto di amicizia che ci ha legati. Fermo restando ch’era, comunque, un grande giocatore”.
Pur vivendo da tempo nella capitale, l’ex granata torna spesso a Lamezia, dove vivono tuttora suo fratello e sua sorella. Ma ha sempre continuato a seguire le sorti del calcio lametino, e della Vigor Lamezia in particolare. “Un tempo esisteva solo il televideo per restare aggiornati in tempo reale, o quasi, sui risultati della Vigor. Oggi con i social – ammette – ho costantemente modo di seguire le squadre locali. Nella prossima stagione Lamezia avrà ben due squadre in D, anche se i tempi della serie C sono ancora un po' lontani. Devo comunque fare i complimenti al sodalizio biancoverde per essere ritornato in un campionato più consono alla sua storia e tifoseria. Adesso bisognerà puntare innanzitutto a consolidarsi nella nuova categoria, per poi cercare, man mano che si cresce, di fare un passettino in avanti. Anche perché fare calcio a determinati livelli, oggi è diventato ancora più difficile che in passato”.
Da lametino che ce l’ha fatta ad arrivare nell’olimpo del calcio nazionale, non potevamo non chiedergli, in conclusione, un consiglio per i tanti ragazzi che sognano di poter un giorno imitare le sue orme. “Il talento da solo non basta, ci vanno abbinati valori come il lavoro, la disciplina ed il sacrificio. Bisogna rispettare le regole e lavorare duramente. E quando si presentano degli ostacoli, superarli senza cercare scorciatoie che, anziché fortificarti, producono l’effetto opposto. Alla base di tutto, poi, ci dev’essere quella grande passione che ti spinge a dare sempre il massimo”.
Ferdinando Gaetano
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