A “Pop Art Revolution”, la rivoluzione di Andy Warhol al “Museo Del Presente” di Rende

1_78d32.jpg

di Francesco Sacco

Rende (Cosenza) - Dal wild side di New York a Rende, dalla Factory al “Museo Del Presente”. Un presente che pochi hanno saputo indagare come Andy Warhol, il padre della pop art, movimento mirato ad abbattere le barriere tra cultura alta e cultura popolare grazie a una concezione quanto mai rivoluzionaria del ruolo dell’arte, legata a doppio filo alla realtà consumistica del dopoguerra. Una società ora dominata da prodotti industriali su larga scala e dall’esplosione dei mass media, in cui anche l’arte può essere consumata, proprio come qualsiasi altro bene divenuto parte integrante di una nuova democrazia sociale, che poneva sullo stesso piano poveri e ricchi. Molto più di una semplice provocazione, semmai un’intuizione radicale (e, proprio per questo, ancor oggi oggetto di discussione) ben documentata dalla mostra “Andy Warhol - Pop Art Revolution”, curata da Gianfranco Rosini della Rosini Gutman Collection – Iconars e Marilena Morabito, organizzata da Mazinga Eventi - Art Exhibition, con il patrocinio del Comune di Rende e il sostegno della Regione Calabria, e finanziata con risorse PAC 2014/ 2020- Az. 6.8.3. erogate ad esito dell’Avviso “Attività Culturali 2023” dalla Regione Calabria - Dipartimento Istruzione e Pari Opportunità Settore Cultura”.

2.-CAMPBELL-1_de637.jpg

L’esposizione offre un’ampia panoramica sulle tappe salienti della carriera di Warhol, nato a Pittsburgh da Ondrej Warhola e Júlia Justína Zavacká, due immigrati slovacchi trapiantati negli States. Stati Uniti che, a partire dagli anni ’60, diverranno il centro nevralgico della pop art, sviluppatasi, in particolare, nella Grande Mela proprio grazie all’intensa attività della sua Factory, sorta di laboratorio in cui esplorare forme d’arte diverse ma affini ai numerosi interessi del suo demiurgo, che nel tempo avrà modo di confrontarsi, oltre a pittura e grafica, anche con musica, cinema, scultura ed editoria. E sarà proprio quel tempio a dare il la, dalla seconda metà del decennio, a una delle sezioni maggiormente approfondite dalla mostra: il suo rapporto con il mondo della musica. Ground zero di questo percorso è, chiaramente, la partnership con i Velvet Underground, lanciati nel 1967 da un debut semplicemente epocale, “The Velvet Underground & Nico”, tra i testi base della storia del rock. Un album, prodotto dallo stesso Warhol, entrato nell’immaginario collettivo grazie anche al suo celebre artwork, raffigurante una banana da “sbucciare lentamente” fino a svelarne il contenuto (rosa, chiara allusione al membro maschile).

3.-VELVET-UNDERGROUND-NICO_c3e35.jpg

Allusioni sessuali presenti anche in un’altra copertina altrettanto iconica, quella di “Sticky Fingers” dei Rolling Stones, per i quali realizzò, successivamente, le grafiche di “Love You Live”, oltre a immortalare Mick Jagger a più riprese. Sono questi i principali esempi di un approccio anticonformista, maturato sin dagli esordi nel campo della pubblicità e applicato ora alle copertine discografiche, trasformate in oggetti d’arte autonomi con cui impreziosire lavori anche meno noti quali “Aretha” di Aretha Franklin, “Rockbird” di Debbie Harry e persino “Made In Italy” di Loredana Berté. Non solo States, dunque, ma anche Europa, in particolare l’Italia, dove Warhol ebbe modo di confrontarsi con Federico Fellini. Un’esperienza raccontata nella sezione video della mostra, che fa luce anche su uno degli aspetti più controversi di quella bulimia creativa: i suoi film sperimentali, caratterizzati da uno stile minimal a camera fissa e da tempi quanto mai dilatati. Un cinema primitivo che, a conti fatti, rappresenta però un capitolo minore della sua eccellente produzione artistica. Discorso nettamente diverso per le opere dedicate alle icone della cultura pop americana: dagli imprescindibili ritratti di Elvis Presley, Liza Minnelli, Liz Taylor e, soprattutto, Marilyn Monroe, emblema di quella tecnica serigrafica divenuta un trademark inconfondibile, alla celebre “Campbell's Soup Cans”, cui è dedicata un’intera sala espositiva ricca di memorabilia alquanto curiosi (i prototipi di abiti, in cellulosa e cotone, sempre marchiati Campbell e le lattine di seconda mano autografate dall’artista).

4.-MARILYN_e3630.jpg

Particolarmente interessanti, poi, il progetto “Flowers”, frutto dell’assillante dualismo vita/morte; i “Wild Raspberries”, testimonianza di una fase embrionale incentrata sul disegno con la tecnica del blotted line; una manciata di numeri di “Interview”, il magazine fondato sul finire degli anni ’60; un ritratto dello stesso Warhol realizzato per la mostra alla Leo Castelli Gallery di New York nel 1982 e due lavori inediti dall’enorme valore: un ritratto della stilista italiana Regina Schrecker e la serie “Endangered Species”, dieci serigrafie, riguardanti animali in via di estinzione, datate 1983. Ma si tratta soltanto degli highlights di un’esposizione preziosa, che pone l’accento non solo sulle sue opere tipicamente “americane”, ma anche sul legame con le sue radici europee, svelando aspetti meno noti del percorso di un autentico rivoluzionario. Uno sguardo alternativo alle altre grandi collezioni di Warhol e, al contempo, una prospettiva unica e intima su un artista visionario, che ha saputo anticipare e influenzare i temi della contemporaneità, dall'ossessione per la fama alla società dei consumi, ridefinendo i confini e i canoni artistici.

5.-LIZA-MINNELLI-REGINA-SCHRECKER_5d95f.jpg

“La mostra nasce dall’esigenza di portare un artista un po’ più rappresentativo sul territorio – dichiara il curatore Marilena Morabito – e offre una prospettiva diversa sull’opera di Warhol, un vero rivoluzionario, soprattutto in relazione a ciò a cui eravamo abituati con l’arte classica, o comunque fino ai primi del ‘900. D’altronde, ogni epoca ha una sua rivoluzione e il ventesimo secolo ha avuto la pop art, di cui Warhol è certamente il massimo esponente, un pioniere capace di sfruttare le nuove tecnologie per rendere l’arte accessibile a tutti. Parliamo, tra l’altro, di un grande operatore di marketing, abilità acquisita sin dagli esordi nel mondo della pubblicità, quindi sapeva benissimo come colpire e attrarre il pubblico. In più, va detto che Warhol era una persona molto umile: riconosceva quelli che potevano essere i suoi limiti e si faceva affiancare da persone che lo seguivano nel suo percorso artistico, accettando anche consigli e suggerimenti. Amava mettersi in discussione e un esempio arriva dal suo rapporto con Basquiat (n.d.r. celebre l’iconico scatto di Michael Halsband in cui i due simulano un incontro di boxe, altro pezzo esposto al “Museo Del Presente”), che fu uno dei suoi maggiori punti di crisi, poiché riteneva le opere dell’artista newyorchese superiori alle sue. Perché Warhol non guardava solo al suo operato per poter costruire, ma anche a quello degli altri e la sua genialità – conclude Morabito – si evince anche da questi aspetti”.

“Andy Warhol – Pop Art Revolution” sarà visitabile al “Museo Del Presente” di Rende fino al 13 aprile.

6.-INTERVIEW_ed1b6.jpg

7.-CAMPBELL-2_78ec9.jpg

© RIPRODUZIONE RISERVATA