La storia antica delle icone nell’incontro della studiosa lametina Teresa Gaetano all’Accademia Belle Arti di Catanzaro

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Catanzaro - Ѐ stata inserita nel ciclo d’incontri “Seminare l’Arte”, promossi dalla cattedra di Storia Medievale dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, la conferenza “Teologia dell’invisibile o Teologia del visibile? L’icona tra dottrina nicena e pensiero florenskiano”, tenuta dalla storica dell’arte lametina Teresa Gaetano, esperta d’arte sacra e Maestra Iconografa, impegnata in studi sull’opera di Pavel Aleksandrovic Florenskij, figura poliedrica di filosofo, matematico, storico e critico dell’arte russo, fucilato in un Gulag a causa della sua mai rinnegata e originale spiritualità legata alla concezione delle icone e al loro ruolo nella religiosità popolare della Russia ortodossa.

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Una storia antichissima quella delle icone, una forma di rappresentazione sacra dal valore non solo artistico ed estetico ma anche liturgico e religioso, che si diffonde a partire dal V-VI secolo d.C., traendo ispirazione da modelli della tarda classicità intrisi d’ellenismo, come i ritratti funerari del Fayyum. “Questi ritratti realistici, apposti sulle tombe”, spiega la dottoressa Gaetano, “avevano la funzione di prolungare il dialogo terreno dei familiari con il defunto, di renderlo presente, creando un collegamento con una realtà trascendente”. Questa appunto la funzione delle icone, che “rappresentano una porta verso il mondo dello spirito, un incontro con Cristo sulla base della sua incarnazione”. Proprio questa loro prerogativa le renderà oggetto del fenomeno ben noto dell’iconoclastia, originatosi da eresie diffuse fra il VII e l’VIII secolo che negavano la coesistenza della natura divina e umana di Cristo, negando quest’ultima e opponendosi dunque alla sua rappresentazione iconografica. Sarà il secondo Concilio di Nicea, nel 787 d.C., a ripristinare il culto delle icone, che sopravviverà alla seconda ondata iconoclasta dell’813-842, riconfermando il ruolo delle immagini come parallelo a quello della Parola – e quindi delle Scritture – nella diffusione dell’Evangelo.

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“Un ruolo”, spiega ancora Teresa Gaetano, “che in occidente assumerà un valore soprattutto pedagogico-catechetico, mentre nell’oriente ortodosso manterrà un valore rivelativo”. L’immagine sacra sarà dunque per gli ortodossi non semplicemente una “Bibbia per i poveri” dalla valenza educativa e narrativa, ma piuttosto, come teorizzato più tardi proprio da Florenkij, “una finestra sul divino, e proprio come una finestra si identifica con la luce, l’icona si identifica con esso, smentendo la concezione analogista nicena che vedeva l’immagine come semplice ombra, riproduzione del sacro. Allo stesso tempo, tuttavia, l’icona, come la finestra, è legata al mondo reale, e come l’uomo si estingue con il tempo, in una visione che si collega alla metafisica platonica. Inoltre, l’icona, pur essendo intrisa di simboli molteplici, non rimanda per Florenskij ad un aldilà di senso oltre sé stessa, e non va interpretata ma solo guardata, poiché è capace di trasmettere di per sé l’energia che promana da Dio”.

Una concezione che si lega direttamente al Cristianesimo delle origini, prima ancora delle persecuzioni iconoclaste, rimasto nel sentimento magico che ancora permane nel sostrato popolare e che mantiene sostanzialmente inalterato – fatte salve le influenze accumulate nei secoli – il procedimento, lo stile, i modelli per la realizzazione delle icone, e l’originale concezione della prospettiva, diversa da quella euclidea che caratterizza l’arte sacra occidentale. “Dunque l’icona costituisce un ponte tra visibile e invisibile, e rende visibile Dio che si manifesta nel mondo”, conclude Teresa Gaetano, proponendo una Teologia florenskiana del visibile, e dando inizio ad un dibattito moderato e introdotto dal professor Francesco Cuteri, Ordinario di Storia Medievale dell’Accademia e promotore dell’iniziativa, che ha portato i saluti del direttore Virgilio Piccari. Un dibattito cui hanno partecipato numerosi docenti, studenti, appassionati, fra cui anche i sacerdoti don Domenico Concolino e don Ferdinando Fodaro.

Giulia De Sensi

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