Lamezia, quattro giorni di eventi al tribunale dedicati al giudice Livatino: al via la mostra "Sub tutela dei"

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Lamezia Terme - Un uomo, un giudice, un testimone di fede: la figura di Rosario Livatino, magistrato ucciso dalla criminalità organizzata il 21 settembre 1990, a 37 anni, e proclamato Beato, sarà al centro della mostra “Sub Tutela Dei”, inaugurata nell’atrio del Tribunale di Lamezia Terme, che dà il via a quattro giorni di incontri e dibattiti per fare memoria di un esempio fulgido di “passione, dedizione e competenza” e portare alle nuove generazioni la sua idea di giustizia “sempre al servizio dei deboli”. Lo ricordano le parole del moderatore dell’incontro introduttivo Luca Torcasio, presidente di Azione Cattolica della Diocesi di Lamezia Terme, che ha fortemente voluto l’evento.

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Un evento che ha trovato piena disponibilità attuativa nelle autorità forensi, civili e religiose della città, intervenute sulla figura del magistrato nell’incontro “Fede e Giustizia”, davanti ad una folta platea composta non solo da frequentatori del Foro ma anche da giovani e studenti. La vita di Livatino è stata ripercorsa negli interventi della dottoressa Gabriella Reillo, Presidente vicario della Corte d’Appello di Catanzaro, e con focus sui particolari dell’agguato, dal Procuratore della Repubblica di Lamezia Terme Salvatore Curcio, e dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lamezia Terme Giuseppe Pandolfo; da un punto di vista prettamente umano, la sua esperienza è stata raccontata nell’intervento del dottor Giuseppe Lucantonio, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Catanzaro, che personalmente ha potuto conoscere e frequentare il giudice Livatino nei primi anni di carriera, fino al tragico epilogo.

Dopo i saluti del sindaco Mascaro e l’intervento introduttivo del Presidente del Tribunale di Lamezia Terme Giovanni Garofalo, densi di richiami al valore attuale del messaggio di Livatino, è emersa così la figura di un uomo mite, impegnato fin da giovanissimo nella comunità parrocchiale di Canicattì, suo paese natale, nemico della violenza in tutte le sue forme, e critico di una giustizia troppo spesso “debole con i forti e forte con i deboli”. Livatino fu pronto a mettere in atto le norme appena varate da La Torre sul sequestro dei beni derivanti da guadagni illeciti alla criminalità organizzata – a causa delle quali lo stesso La Torre perse la vita. Pur essendo stato definito “il giudice ragazzino” – a partire da un’infelice battuta di Cossiga sull’intraprendenza di chi appena passato il concorso in Magistratura si dedica ad indagini antimafia – quando fu ucciso Livatino era magistrato da quasi 12 anni, e dopo un’esperienza da Sostituto Procuratore ad Agrigento, era stato in funzione prima requirente e poi giudicante presso il Tribunale della stesa città, dove viveva nello stesso palazzo del capo mafia locale, il quale conosceva dunque tutti i suoi movimenti. Nonostante il pericolo, Livatino girava disarmato.

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“Era un tempo in cui la sensibilità era diversa” spiega Lucantonio, “Non avevamo scorte o auto blindate, e Rosario quando fu assassinato guidava da solo una Ford Fiesta Amaranto, ed era completamente disarmato. “Prenditi una pistola” gli dicevamo noi colleghi, perché noi ce l’avevamo, ma lui rispondeva: “E che me ne faccio? Tanto non potrei usarla”.” Celebre la frase che rivolse ai suoi aguzzini, prima che gli sparassero in bocca – atto simbolico nel codice mafioso: “Picciotti, ma che cosa vi ho fatto?”, una domanda avvicinata da alcuni ad una frase evangelica, che dimostra l’apertura estrema nei confronti dell’altro e che più tardi avrebbe condotto gli stessi aguzzini al ravvedimento.

Di Livatino rimangono solo agende e appunti, sui quali compare ovunque la sigla S.T.D., che significa semplicemente “Sub Tutela Dei”, e che a lungo fu indagata nei tre processi che portarono, grazie alle dichiarazioni del testimone Ivano Pietro Nava, alla condanna di esecutori e mandanti del suo omicidio. Ma sono stati recentemente dati alla stampa anche due scritti autografi, redatti per essere letti in altrettante conferenze, sul rapporto tra Fede e Giustizia. Un rapporto indagato nel brillante intervento finale di Monsignor Serafino Parisi, che ha sottolineato l’importanza di una “Giustizia capace di andare oltre, per mezzo della Carità, che dà alla norma la possibilità di superare sé stessa per potersi esprimere pienamente. Per porgere l’altra guancia”, conclude Parisi, “l’altro devo avercelo di fronte: solo così posso dimostrargli che esiste un altro modo di vivere, un altro stile: è questo il più tragico dei giudizi, la parola che stimola alla conversione”.

Giulia De Sensi

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