Gioia Tauro - Tredici imprenditori sono stati arrestati dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria perché accusati di essere affiliati alle più importanti cosche di 'ndrangheta della piana di Gioia Tauro. L’operazione, chiamata “Porto Franco”, è stata portata avanti dai finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con l’ausilio di appartenenti allo SCICO di Roma, che hanno effettuato numerose perquisizioni ed eseguendo in Calabria, Lombardia e Veneto un’ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di 13 persone, tra cui imprenditori a vario titolo collegati alle locali cosche di ‘ndrangheta, nonché il sequestro di 23 società per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro.
Due le cosche reggine interessate, quella dei Pesce e dei Molè, i cui esponenti sarebbero responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso nonché dei reati di riciclaggio di proventi di illecita provenienza, di trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, di frode fiscale, attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e di omesso versamento delle ritenute previdenziali, tutti aggravati dalle modalità “mafiose”.
Si tratta di Salvatore Pesce, 26 anni; G. R., 59 anni; Marco Mazzitelli, 31 anni; Giuseppe Comandè, 31 anni; Domenico Franco, 57 anni; Giuseppe Franco, 54 anni; Antonio Franco, 52 anni; Francesco Rachele, 73 anni; Salvatore Rachele, 36 anni; Rocco Rachele, 46 anni; Bruno Stilo, 48 anni; Domenico Canerossi, 47 anni; e Nicola Filardo, di 55 anni.
I 23 sequestri preventivi, dell’intero patrimonio aziendale, riguardano le seguenti società: Meridional trasporti dei f.lli Franco e Luccisano Salvatore s.n.c.; Mediterranea trasporti di Macrì e D’agostino s.n.c.; Universal transport & shipping s.a.s. di Zungri g. & c.; Ditta individuale “La Rosarnese di Rachele Francesco”; Ditta individuale Sibio Domenico; Ditta individuale Comandè Giuseppe; F.C. Immobiliare s.r.l.; Ferpetroli service s.r.l.; Ditta individuale “Autosud di Filardo Nicola”; Ga.ri. s.a.s. di Gianluca Gaetano e c.; Punto Uno Ingross Unipersonale s.r.l.; Ditta individuale Chindamo Giuseppe; Ditta individuale di Bartolo Salvatore; Tranz Veicom s.r.l.; Verotransport s.r.l.; Italspeedy logistic s.r.l.; Luccisano trasporti s.r.l.; Cooperativa solidarietà e servizi soc. coop. a r.l.; Cooperativa servizi e solidarietà soc. coop. a r.l.; Work progress società cooperativa sociale a r.l. .; Truck drivers società cooperativa; Global transport services società cooperativa ; Global service società cooperativa.
Le indagini hanno dimostrato come la cosca Pesce si sia infiltrata nel tessuto economico caratterizzato dai servizi connessi all’imponente operatività del porto di Gioia Tauro - che oltre a costituire una delle porte di ingresso in Europa rappresenta uno snodo cruciale dell’economia calabrese - ed esercita tuttora un soffocante controllo sulle attività economiche presenti nella zona portuale, dirette ad assicurare all’organizzazione, in ultima analisi, ingenti risorse finanziarie, mirando poi a ripulire i proventi dei reati consumati, grazie anche all’ausilio di soggetti estranei.
E’ stato portato alla luce l’ingegnoso e asfissiante sistema di controllo dei servizi connessi alle operazioni di import-export e di trasporto merci per conto terzi realizzato dalle suddette cosche nel porto di Gioia Tauro, la cui estensione ricade in ben due comuni, San Ferdinando e Gioia Tauro, nonché di ritenere provata l’appartenenza all’organizzazione criminale di stampo mafioso di soggetti, fino ad ora non coinvolti in altre operazioni di polizia.
Si tratta di tutti i preposti alla gestione delle imprese dell’organizzazione che hanno rivestito un ruolo determinante, dapprima nell’acquisizione dei proventi di attività estorsive, perpetrata attraverso l’imposizione a imprese terze dell’obbligo di contrattare esclusivamente con loro, facendo leva sulla forza intimidatrice di cui disponevano. Successivamente il ruolo delle aziende e, quindi, dei rispettivi rappresentanti legali è stato quello di crearsi disponibilità di risorse liquide, attraverso la contabilizzazione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, da corrispondere agli elementi di spicco delle cosche Pesce e Molè.
Le persone intranee alla “cosca”, sfuggite alle precedenti operazioni, hanno assunto compiti e incarichi attinenti agli interessi dell’organizzazione, sia economici ovvero di infiltrazione e controllo del tessuto imprenditoriale del territorio di influenza con particolare riguardo ai servizi connessi al traffico commerciale generato dal Porto, che finanziari di acquisizione sicura dei relativi proventi, mediante l’attuazione di sopraffine tecniche di riciclaggio.Ciò è stato reso possibile sia attraverso fittizie intestazioni di società a persone terze, direttamente riconducibili ai vertici della cosca “Pesce” sia mediante il ricorso all’utilizzo di fatture false emesse prevalentemente da distributori stradali e da società cooperative nei confronti delle aziende di trasporto riconducibili alla cosca “Pesce”.
In particolare è stato dimostrato che i distributori di carburante non erano i veri beneficiari degli assegni, ma si limitavano a monetizzarli, in quanto la relativa provvista veniva incassata da esponenti di primo piano della cosca. Tale modus operandi, grazie alla liquidità di cui dispongono normalmente i distributori al dettaglio di carburante, ha consentito all’organizzazione di acquisire concretamente i proventi dell’attività illecita, di dare agli stessi la parvenza di una lecita attività commerciale (acquisto di carburante) e di ottenere l’immediata liquidità attraverso il cambio del titolo operato dai distributori, di modo che non venissero identificati i reali beneficiari dei titoli stessi.In più, le indagini hanno consentito di appurare che la cosca PESCE ha perseguito e consumato anche reati di contrabbando, consistenti nell’importazione di merce contraffatta dalla Cina in evasione di dazi e diritti doganali.
E’ stato evidenziato, inoltre, tramite l’approfondimento investigativo eseguito nei confronti delle aziende di trasporto riconducibili alla cosca “Pesce”, alcune delle quali operanti nel Nord Italia, in particolare a Verona, l’utilizzo di imprese cooperative che si sono interposte tra esse e i clienti finali. Infatti, le cooperative di lavoro hanno avuto quale unico scopo quello di fornire uno schermo giuridico alle imprese della “cosca”, le quali - una volta “esternalizzati” i propri lavoratori, facendoli solo formalmente assumere dalle cooperative, e fittiziamente ceduto in comodato i mezzi d’opera alle stesse - hanno continuato a operare direttamente non preoccupandosi più del pagamento degli oneri erariali che gravavano interamente sulle false cooperative.
Le stesse cooperative hanno successivamente fatturato alle imprese beneficiarie della frode prestazioni di servizi, simulando inesistenti contratti, e così consentendo loro la fraudolenta contabilizzazione dei relativi costi ed Iva a credito.Le cooperative di lavoro si sono rivelate società di fatto inesistenti, interposte al fine di caricarsi tutti gli oneri impositivi (in termini di II.DD. ed IVA dovuta), contributivi e previdenziali che, come acclarato, non sono stati mai assolti Infatti, le cooperative erano di fatto “scatole vuote” che hanno cessato l’attività dopo breve tempo e i loro rappresentanti sono risultati prestanome nullatenenti.
De Raho: "Cosche-affari è il nuovo metodo di fare mafia"
"Dall'indagine della Guardia di finanza emerge un modo nuovo di fare mafia, evitando allarmismi sotto il profilo dell'ordine e la sicurezza pubblica". Lo ha detto il Procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, nel corso della conferenza stampa per illustrare gli esiti dell'operazione della Guardia di finanza che ha portato all'arresto di 13 imprenditori ed al sequestro di 23 aziende.
"E' stata - ha aggiunto - un'operazione di assoluto valore condotta in maniera esemplare dai militari del comando provinciale della Guardia di Finanza. E' emerso da alcune intercettazioni durante i colloqui carcerari come Francesco Pesce 'testuni', sollecitasse i suoi interlocutori a trasformare la vecchia struttura criminale della 'famiglia', in una nuova organizzazione capace di introdursi con ogni mezzo negli affari leciti seppure con i metodi tipici della ndrangheta. Tutto questo con una totale trasposizione delle consuetudinarie modalità mafiose nel mondo dell'imprenditoria falsando il libero mercato e la leale concorrenza tra imprese".
"I proventi degli affari illeciti - ha sottolineato il colonnello della Guardia di finanza, Alessandro Barbera - venivano equamente ripartiti ai tre rami della 'famiglia' Pesce, rappresentati da Vincenzo Antonino e Giuseppe Pesce". Il Procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza ha evidenziato che "l'indagine dimostra come la cosca Pesce sia riuscita ad infiltrarsi nel tessuto economico relativo ai servizi di supporto delle attività principali del porto di Gioia Tauro, costruendo una rete di soggetti compiacenti in grado di ripulire i proventi illeciti. I rappresentanti legali delle aziende coinvolte, come alcuni distributori di carburante, erano determinanti nel consentire ai Pesce-Molè di creare disponibilità di ingenti risorse liquide grazie alla contabilizzazione ed all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti".
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