Roma - La Squadra Mobile di Roma ha eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal GIP presso il Tribunale di Roma nei confronti dei componenti del commando che la sera del 24 gennaio 2013, in via della Castelluccia di San Paolo, ha assassinato Vincenzo Femia. L'operazione ha permesso anche di smantellare quella che gli inquirenti definiscono "una pericolosa cellula di 'ndrangheta" che alcuni esponenti originari di San Luca avevano creato nel corso degli anni nella capitale.
“Riproponendo i dettami ed i rituali tipici della mafia calabrese - sottolineano gli investigatori - gli arrestati avevano creato un gruppo operativo che, pur mantenendo un legame con la Casa Madre originaria voleva gestire gran parte del fiorente traffico di stupefacenti nella Capitale”. Il lavoro della Polizia ha consentito di far emergere elementi indiziari tali da poter ragionevolmente ipotizzare che l'omicidio Femia, commesso dai componenti del commando, sia stato commissionato da organizzazioni criminali appartenenti alla 'ndrangheta calabrese e sia maturato a seguito di contrasti insorti proprio nella gestione del traffico di droga.
Svolta dopo collaborazione killer
Sono state le rivelazioni di uno dei killer di Vincenzo Femia, arrestato lo scorso luglio, ad aiutare la squadra Mobile di Roma nelle indagini che hanno portato oggi all'arresto degli altri tre componenti del commando che a gennaio dello scorso anno uccisero a colpi di pistola il boss della cellula 'ndranghetista di San Luca nella periferia di Roma. L'uomo, Gianni Cretarola, ha deciso di collaborare con la giustizia subito dopo il suo arresto, a luglio scorso. E' stato lui ad indicare i nomi degli altri killer ed i luoghi in cui erano state nascoste le pistole usate per l'omicidio di Femia. "Finalmente possiamo mettere la parola fine su questo caso - afferma il capo della Mobile di Roma, Renato Cortese -. Abbiamo ricostruito interamente la dinamica, la modalità ed il movente dell'omicidio. Sullo sfondo c'è il controllo del traffico di droga nella Capitale". Gli arrestati sono Antonio e Francesco Piazzata e Massimiliano Sestito. I primi due sono finiti in manette a San Luca, paesino del Reggino, mentre Sestino era già in carcere a Viterbo.
Trovato pizzino con giuramento
C'era anche un pizzino con il giuramento dei nuovi adepti alla 'Ndragheta tra i documenti sequestrati dalla squadra mobile di Roma nell'ambito dell'inchiesta che ha portato oggi all'arresto del commando che a gennaio dello scorso anno uccise Vincenzo Femia, uno dei boss della cellula di San Luca, paesino del Reggino, presente a Roma. Il foglio criptato è stato rinvenuto in una delle abitazioni di Gianni Cretarola, uno dei killer di Femia arrestato lo scorso luglio. Per decifrare il contenuto del documento, gli agenti si sono avvalsi di un codice rinvenuto sempre nella stessa abitazione. "Questa prova è stata fondamentale per risalire all'ambito nel quale si era consumato il delitto", dice il procuratore aggiunto Michele Prestipino durante la conferenza stampa in Questura, alla quale ha preso parte anche il nuovo questore, Massimo Mazza, ed il capo della Mobile, Renato Cortese.
Pentito: "A Roma bella vita non come in Calabria"
"Nessuno vuole rispecchiare la Calabria qui a Roma, perché qui a Roma ognuno si vuole prendere i suoi spazi e vivere in maniera diversa da come vive in Calabria". E' la 'ndrangheta nella capitale secondo Gianni Cretarola, arrestato a luglio scorso per l'omicidio del boss Vincenzo Femia a gennaio 2013 e diventato collaboratore di giustizia. La sua testimonianza ha portato all'arresto di tre presunti complici, tra cui i due uomini che avrebbero sparato a Femia in una strada di campagna di Roma. Una cellula della mafia calabrese in trasferta per controllare il mercato della droga. Il 31/enne Cretarola, di origine calabrese ma nato e cresciuto a Sanremo, spiega l'atteggiamento dei nuovi 'picciotti' - lui è stato affiliato in carcere nel 2008 - che hanno creato un 'locale', una filiale delle cosche di San Luca nella capitale. E così parla ai pm di Roma del compare Francesco Pizzata, figlio 22/enne del boss Giovanni, che dopo aver sparato a Femia "voleva andare a festeggiare, a mangiare fuori, prostitute e queste cose qua, come un ragazzo di 20 anni vuole fare, no?". "La costituzione di un locale qui a Roma potrebbe dire anche sottostare alle stesse regole della Calabria, agli stessi diktat della Calabria anche qui a Roma e nessuno lo vuole questo - afferma Cretarola secondo quanto si legge nell'ordinanza d'arresto degli altri tre presunti membri del gruppo omicida -. Cosa che in Calabria invece, oltre le cose migliori che non si può...che ti dovrebbe dare, no? Sei anche costretto a sottostare a un'impostazione molto rigida di vita, proprio di vita quotidiana, qui a Roma invece cerchi di prendere solo quello che di buono (l'appartenenza alla 'ndrangheta, ndr) ti può dare e fare una vita come un ragazzo normale ha interesse di fare. Quindi discoteca, ragazze e quello che quant'altro un ragazzo vuol fare".
Dichiarazioni
Sostituto procuratore Prestipino: "Omicidio Femia è campanello d'allarme"
"L'omicidio di Femia rappresenta un segnale importante, un campanello d'allarme sulla presenza della 'ndrangheta a Roma". Queste le parole del sostituto procuratore Michele Prestipino commentando l'arresto del commando che il 24 gennaio scorso uccise a colpi di pistola il boss della cellula criminale di San Luca, Vincenzo Femia. "Si tratta di uno dei tanti omicidi frequenti nella provincia di Reggio Calabria, dove ho lavorato - spiega Polino. Bisogna però fare una riflessione sul fatto che sia accaduto a Roma. Dovunque la 'ndrangheta si stabilizza porta con sé tutto quello di cui è capace, dagli affari illegali all'omicidio, considerato dalla criminalità organizzata sempre l'extrema ratio per evitare di attirare l'attenzione delle forze dell'ordine. Questo sta accadendo anche a Roma, e la presenza della 'ndrangheta merita molta attenzione".
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