Istat: 20 anni di mancata convergenza del Sud coi fondi Ue aumenta il divario: male Calabria

istat-2023_64340.jpg

Roma - L'Istat racconta "vent'anni di mancata convergenza" con la politica di coesione in una conferenza stampa. "Non si è verificato il processo di convergenza" delle regioni italiane "meno sviluppate", osserva in un focus sulla politica di coesione Ue "che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell'Ue27". Nel 2000 erano dieci le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite a parità di potere d'acquisto e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro, mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).

Il divario crescente in termini di reddito (misurato in Pil pro capite in ppa) fra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l'Ue27, è spiegato interamente dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Soltanto nel corso dell'ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 è divenuta determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue27 di 9 punti percentuali. Nelle regioni italiane classificate come meno sviluppate (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno ad eccezione dell'Abruzzo), "la doppia crisi economica del 2008-09 e del 2011-13 non è stata praticamente mai intervallata da una fase di ripresa economica, e anche nel periodo successivo il tasso di crescita medio annuo del Pil pro capite, è stato inferiore rispetto al dato nazionale ed europeo con la sola eccezione delle sue regioni più piccole", scrive l'Istat. Al tempo stesso, le regioni italiane economicamente più avanzate, "si sono contraddistinte per un processo di lento ma progressivo allontanamento dalle altre regioni simili dell'Ue. In un'ottica di dinamica centro-periferia, è possibile osservare come da una parte le regioni 'periferiche' italiane siano rimaste tali, dall'altra le nostre regioni 'centrali' in termini di reddito abbiano vissuto un progressivo allontanamento dal 'centro' europeo, registrando tassi di crescita medi annui fra i più bassi, così da perdere non solo il loro effetto traino verso il resto dell'Italia ma anche non mostrandosi capaci di agganciare il traino delle locomotive europee". Nel corso degli ultimi quattro anni, favoriti dalla fase di investimenti post Covid, "qualcosa però - si legge nel testo - sembra essere parzialmente mutato: non solo parte di questi territori economicamente avanzati sembrano crescere ad un ritmo superiore alla media europea, ma anche intere regioni hanno fatto registrare crescite superiori alla media Ue. In particolare, si segnala il caso della Lombardia (+1,9% annuo), della Puglia e della Basilicata (rispettivamente +1,8% e +2,5%).

Istat, il Centro Italia traina l'export. Boom delle Marche

Nel primo trimestre 2023 l'Istat stima una crescita congiunturale delle esportazioni solo al Centro Italia (+6,1%) mentre c'è una contenuta flessione per il Nord-ovest (-0,5%) e il Nord-est (-0,9%) e una più ampia contrazione per il Sud e Isole (-2,5%). Su base annua, la crescita in valore "resta molto sostenuta", al +9,8%, "ma è in netto rallentamento per tutte le ripartizioni, a esclusione del Centro (+20,3%, da +21,9% del quarto trimestre 2022)", si legge in una nota. Al Sud l'incremento è del 14%, al Nord-ovest del 9,8%, in linea con la media nazionale, "relativamente più contenuto per il Nord-est" (+5,1%) e le Isole (+2,1%). Le Marche sono la prima per crescita dell'export in valore con un aumento delle vendite all'estero del 101,9% "quasi totalmente spiegata dall'eccezionale aumento delle vendite di prodotti farmaceutici verso la Cina" e da sola contribuisce per 2,8 punti percentuali alla crescita su base annua dell'export nazionale. Seguono, per crescita Campania (+23,9%), Toscana (+17,1%) e Piemonte (+16,8%). Per contro, si registrano riduzioni dell'export per Lazio (-11,7%), Valle d'Aosta (-10,9%), Friuli-Venezia Giulia (-9,9%), Liguria (-6,7%) e Sicilia (-2,4%).

La crisi demografica amplierà il divario del Pil nel 2030

Nel 2030, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata e Sicilia perderanno oltre il 10% della loro popolazione in età lavorativa, secondo le previsioni dell'Istat. "In assenza di interventi sull'occupazione e sulla produttività, la forbice con l'Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi pressoché ovunque in Italia e in particolare nelle regioni del Mezzogiorno", è la previsione dell'istituto, per effetto delle tendenze demografiche. Il ridimensionamento della popolazione attiva e il suo invecchiamento, per l'Istat, "potrebbe condurre a una crescita sistematica dei differenziali di reddito". In particolare l'Abruzzo potrebbe finire nel 2030 tra le regioni europee meno sviluppate, quelle con un Pil pro capite inferiore al 75% della media Ue. Liguria, Toscana e Piemonte finirebbero tra le regioni in transizione (che sono quelle con un Pil pro capite compreso fra il 75 e il 100% di quello europeo) e anche il Lazio sarebbe a rischio declassamento in questa categoria. Questa tendenza, secondo la simulazione si potrebbe contrastare puntando sull'occupazione, e in particolare quella femminile. Se al trend demografico previsto si accompagnasse anche un incremento dell'occupazione tale da portare le nostre regioni al tasso europeo, il livello di Pil pro capite si innalzerebbe pressoché in tutte le regioni, al punto che nel 2030, nessuna regione rientrerebbe più tra le "meno sviluppate" e si amplierebbe, la platea di quelle "in transizione", segno di ripresa del processo di convergenza. "L'aumento della base occupazionale e per esempio la base occupazionale femminile, che è particolarmente carente nel Mezzogiorno, potrebbe essere il driver su cui orientare tutte le risorse disponibili", osserva il direttore centrale per le statistiche Ambientali e Territoriali, Sandro Cruciani, in conferenza stampa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA