Lamezia Terme - Una delle figure dirigenziali più significative del panorama culturale italiano, quella di Domenico Piraina: direttore dal 1994 del Palazzo Reale di Milano, del Settore Promozione Culturale del Comune di Milano, dei musei scientifici milanesi, si è distinto nel corso della sua carriera per la qualità della proposta culturale raggiunta dagli enti da lui diretti, misurabile non solo in termini di visitatori, ma anche di reputazione internazionale. Laureato all’Università Cattolica, unisce la preparazione storico-artistica ad un Master in Management pubblico preso al Politecnico, e ha oggi all’attivo circa 2000 mostre organizzate e numerosi incarichi collaterali, che non gli impediscono tuttavia di coltivare il legame con le sue radici. Piraina infatti arriva a Milano da Platania, piccolo comune alle porte del Reventino, dove ogni estate organizza prestigiosi eventi espositivi che richiamano pubblico da tutto il comprensorio e oltre. Ci parla oggi non solo della sua visione dell’arte ma del suo rapporto vivissimo con la Calabria, luogo delle origini e scrigno di bellezza.
Lei è nato in un piccolo paese calabrese di alta collina, lontano dai grandi circuiti museali. Come e quando nasce la sua passione per l’arte?
“Pur nascendo in una famiglia dalle modeste origini e senza la minima conoscenza di arte, fin da piccolo ho sentito una forte attrazione verso tutto ciò che era bello, fosse esso prodotto dalla natura o dall’uomo. Mi affascinava l’idea che ogni artista avesse la capacità di creare un suo mondo, fatto di forme, di colori, di proporzioni, di armonie che scaturivano solo dalla sua immaginazione e dalla sua fantasia e che costituivano la sua idea di mondo e di vita. Più tardi avrei compreso che non ero lontano, in questo mio sentimento, da quello che disse Kahnweiler, il grande mercante di Picasso, e cioè che la pittura era il linguaggio visivo dell’Umanità. Quella idea di bello che si era formato nella mia mente da piccolo non mi ha più abbandonato e si riverbera in ogni aspetto della mia vita, da quello professionale a quello personale. Poi, naturalmente, ho coltivato quella idea, l’ho educata, ho imparato ad allenare l’occhio, a guardare meglio. Ringrazio il Signore per avermi dato questa inclinazione perché la bellezza non è solamente una questione estetica ma, e penso soprattutto, etica, perché la bellezza e la bontà sono due facce della stessa medaglia”.
In una sua recente dichiarazione, dopo la vittoria del Premio Muricello, in risposta a una domanda sulla possibilità di un reale sviluppo culturale in Calabria, lei sostiene la necessità di “cambiare la narrazione della nostra terra”. Può spiegare il significato vero di questa affermazione e le sue possibili applicazioni nel presente?
“La Calabria è una terra bellissima, semplicemente meravigliosa e non lo dico per ragioni campanilistiche ma perché si tratta di un fatto oggettivo. È un concentrato di biodiversità ambientale, storica, culturale e artistica straordinaria, un patrimonio che merita di essere tutelato e valorizzato innanzitutto per gli stessi calabresi che devono avere la consapevolezza di vivere in un territorio fantastico. Quando l’ultima erede dei Medici cedette i capolavori artistici della sua nobilissima famiglia al Granduca di Toscana per realizzare il museo che noi tutti conosciamo come gli Uffizi, scrisse che lo faceva per tre ragioni: per ornamento dello Stato, per l’utilità del pubblico e per attrarre i forestieri. Penso che i decisori pubblici dovrebbero operare, riguardo al patrimonio storico-artistico, proprio cercando di perseguire gli intendimenti di Anna Maria Luisa de’ Medici”.
Quanto pesa oggi il Settore Cultura nel fatturato, ma anche nell’immagine che una città o una regione si conquistano nel mondo? Che consigli darebbe a chi gestisce in Calabria un ambito così delicato?
“La cultura è un asset centrale nelle politiche pubbliche perché ha la funzione di attivare idee, simboli, visioni che contribuiscono a rafforzare le comunità, ad aumentare la loro coesione sociale. La cultura ha un potere generativo e trasformativo di straordinaria importanza; queste potenzialità, che poi hanno anche una ricaduta in termini economici e occupazionali, in Calabria potrebbero trovare un humus più che favorevole vista la sua ricchezza ambientale, storica ed artistica”.
Da gran conoscitore del patrimonio artistico della città di Milano, qual è l’opera alla quale, nel corso della sua carriera, è rimasto più intimamente legato? E fra quelle che appartengono invece al patrimonio della sua regione d’origine?
“Ѐ una domanda difficilissima alla quale è veramente arduo rispondere. Nella mia vita, penso di aver visto centinaia di migliaia di opere e di averne studiato moltissime. Ogni opera d’arte mi incuriosisce, mi pone delle domande, mi induce a fare delle riflessioni. Se proprio devo indicarne una, penso immediatamente all’Annunciata di Antonello di Messina che si trova a Palazzo Abatellis di Palermo. Una ragazza semplice chiamata dal Signore ad un compito difficile ma che Ella accetta: credo di non aver mai visto un volto più bello e più sereno di quello, forse perché illuminato dalla Grazia di Dio”.
Se un giorno dovesse tornare a vivere in Calabria, dove esattamente sceglierebbe di stabilirsi, e cosa si augura di trovare realizzato?
“Se dovessi ritornare in Calabria, penso che ritornerei a vivere nel mio paese, a Platania, il paese dei miei genitori. Io sento molto forte il legame con le mie origini di cui vado molto fiero. Penso che dopo aver girato il mondo, dopo aver vissuto in una città cosmopolita come Milano, sarà giusto vivere l’ultima parte della mia vita nel mio piccolo paese. MI è sempre piaciuta la figura di Cincinnato che dopo aver servito per tanti anni e con tanto onore la Repubblica romana, rinunciò ad altre prestigiose cariche e decise di ritornare a coltivare i suoi campi: un esempio di “schiva grandezza” che sento eticamente vicina al mio intimo sentire. Vi vorrei trovare quello che vorrei trovare dappertutto, un mondo cioè in cui, come Vittorio De Sica fa dire al personaggio principale del film Miracolo a Milano, Buongiorno vuol dire soltanto buongiorno”.
Giulia De Sensi
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