Lamezia, Giuseppe Governale a Trame11: "Contro la mafia sapevamo già tutto"

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Lamezia Terme - Domenica scorsa, davanti a un pubblico attento e coinvolto, Giuseppe Governale, Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri, già Comandante dei Ros (Raggruppamento operativo speciale) e Direttore della Dia (Direzione investigativa antimafia), ha conversato con Giovanni Tizian, giornalista del quotidiano Domani, presentando il suo libro “Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima”, edito da Solferino.  “Se sapevamo già tutto, cosa potevamo fare?”. Per il Generale si è trattato quasi sempre di un problema di sensibilità, a volte fluttuante, intensa o meno intensa”.  Scrivendo ha realizzato, per così dire, un album di foto su “Cosa Nostra” e le altre mafie per far coincidere o per evidenziare piccole o grandi differenze. Governale si è recato all’ Archivio centrale di Stato e ha scoperto i 31 rapporti che Sangiorgi, funzionario di polizia, inoltrò al procuratore del re dalla fine dell’Ottocento fino a febbraio del 1900; relazioni ben fatte, esaustive, in grado di analizzare le dinamiche criminali della mafia palermitana di allora: “I rapporti di forza tra gli otto gruppi e le numerose sezioni”. Anche oggi gli stessi mandamenti e le numerose famiglie. Un altro rapporto è quello del 1971 dell’allora colonnello Dalla Chiesa; si era reso conto che le organizzazioni delinquenziali volevano potere e affari. Tra i 114 denunciati, 28 erano residenti in Lombardia. Quelle relazioni delineavano una mafia forte, prima delle rivelazioni di Buscetta. Il grande merito di Giovanni Falcone fu quello di scoprire, grazie al pentito, la struttura organizzativa della mafia siciliana. E continua il suo discorso di denuncia il Generale sollecitato dalle domande di Tizian. Il crimine organizzato si dirige dove cresce il Pil (Prodotto interno lordo) e dove c’è meno sensibilità. Oggi esistono 26 strutture di ‘ndrangheta in Lombardia, 16 in Piemonte, 4 in Liguria, altri in Emilia Romagna e nel Nord-Est della Penisola.

Altre stragi prima di quelle del ’92; magari dimenticate: la strage di Ciaculli del 1963 e successivamente vittime eccellenti: il tenente colonnello Giuseppe Russo, il vicequestore Boris Giuliano, il generale-prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Furono segnali che non vennero avvertiti dalla popolazione e si arrivò al ’92. Non solo: la cittadinanza non aveva percepito la dicotomia tra il potere dello Stato e la violenza delle mafie. Violenza che ha raggiunto livelli di crudeltà già prima di Capaci e Via D’Amelio; violenza assoluta su Peppuccio Di Matteo sciolto nell’acido e sul  pastorello ucciso da un’iniezione letale perché aveva visto quello che non doveva vedere. La mafia che si abbassa, si nasconde e non crea allarme sociale; non spara più, fa click; usa come strumento il mouse e continua nella sua attività criminale, magari con maggiore efficacia; utilizzando la corruzione, s’insinua là dove il Pil cresce, al Nord; come una marea dilaga; non si sogna di fare scruscio (rumore). Decine di mafiosi sono residenti al Nord e vogliono fare affari; 200 mila famiglie sono sotto usura e i tassi dei prestiti sono aumentati; bisogna mantenere alta l’attenzione nelle comunità. La delinquenza organizzata, oggi il più delle volte invisibile, non si può combattere solo con la Magistratura e le Forze dell’Ordine; la delinquenza organizzata è una malattia sistemica che contagia la società attraverso una cultura di mafiosità. Sono necessarie la scuola e la Chiesa, con i preti impegnati nel sociale che devono dare il loro contributo formativo; è necessario un patto educativo contro la dispersione scolastica pure con l’ausilio delle diocesi; bisogna che 26 mila parrocchie italiane scendano in campo. Come diceva Ignazio Buttitta, poeta siciliano e intellettuale impegnato, “la scuola apre il cervelli”. E per concludere al sottoscritto piace riportare l’ultima frase del libro attribuita a Gesualdo Bufalino, insegnante, scrittore e poeta: “La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari”.

Pino Gullà

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