Operazione Sansone: colpo al clan Condello, 26 fermi dei carabinieri nel reggino

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Reggio Calabria - Estorsioni, danneggiamenti, minacce, detenzione di armi comuni e da guerra, favoreggiamento. Sono alcuni dei reati, tutti aggravati dalla finalita' mafiosa, contestati a vario titolo alle 26 persone, appartenenti, secondo la Dda di Reggio Calabria, alla cosca Condello operante nella città dello Stretto e nell'hinterland, fermate nell'ambito dell'operazione "Sansone", eseguita stamane dai Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria con l'ausilio del personale dello Squadrone eliportato cacciatori "Calabria" e dell'8° Nucleo elicotteri carabinieri di Vibo Valentia.

L'operazione denominata "Sansone", ha permesso di ricostruire la rete dei fiancheggiatori del capomafia Domenico Condello, arrestato nel 2012 dopo oltre 20 anni di latitanza, nonché gli assetti di varie cosche operanti a Reggio Calabria e zone limitrofe che esercitavano in quei territorio un asfissiante pressione estorsiva. I dettagli dell'operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa nella sede del Comando provinciale di Reggio Calabria dei Carabinieri.

Le estorsioni sarebbero state messe in atto, secondo quanto è emerso dalle indagini, dalle cosche di 'ndrangheta dei Zito-Bertuca e dei Condello-Buda-Imerti, che si sarebbero accordate per la spartizione dei proventi derivanti dall'attività criminale. Le estorsioni hanno riguardato un ampio comprensorio della provincia di Reggio Calabria, ed in particolare le zone di Villa San Giovanni e Fiumara di Muro. Gli imprenditori costretti a pagare il "pizzo" operavano nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni, con specifico riguardo al movimento terra. Il quadro che emerge, a detta degli investigatori, é quello di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente da più cosche in modo capillare. I lavori pubblici svolti dalle imprese di costruzione vittime delle estorsioni sono stati, in particolare, quelli legati al cosiddetto "Decreto Reggio" ed ai proventi miliardari che ne derivarono nel corso degli anni.

Complessivamente, le indagini avrebbero permesso di documentare 20 episodi estorsivi, consistiti nella pretesa di ingenti somme di denaro, ai danni di imprese operanti nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni in generale o del movimento terra. Le ditte erano impegnate nello svolgimento di servizi ed opere, sia private che di interesse pubblico, i cui proventi sarebbero stati suddivisi tra le cosche alleate dei Condello, il cui potere si estendeva anche su Villa San Giovanni, centro limitrofo a Reggio, grazie ai collegamenti con i Buda-Imerti, secondo equilibri maturati in seguito alle sanguinose guerre di 'ndrangheta che negli anni Ottanta e Novanta contrapposero il clan a quello dei De Stefano di cui i Condello erano originariamente alleati.

Il punto di contatto delle due indagini è costituito dall'influenza della cosca Condello nell'area di Villa S. Giovanni (Rc) e nelle zone limitrofe. Le indagini hanno messo in luce la presenza, nell'area villese, di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente, da più cosche, in modo capillare come attesterebbero le parole di uno degli indagati che, nel corso di un colloquio in carcere con la sorella e con il nipote, invitò i familiari a riferire ad un complice incaricato della riscossione dei proventi estorsivi di "non lasciare scampo a nessun", indicando loro un imprenditore che doveva essere il primo a pagare.

 Il controllo esercitato sul territorio era così ampio e penetrante che gli esponenti delle consorterie mafiose, oltre a condizionare la vita economica del territorio villese dove l'avvio di iniziative economico-imprenditoriali doveva ricevere il placet degli esponenti delle varie cosche, erano in grado di risalire agli autori dei furti in abitazione e di veicoli, dei danneggiamenti, e di attivarsi per la restituzione dei beni ai legittimi proprietari, anche dietro il pagamento di una somma di denaro.

I rapporti tra le cosche avrebbero anche fatto registrare criticità derivanti dalla duplicazione delle richieste estorsive tali da determinare, in alcuni casi, incontri diretti tra i referenti dei diversi schieramenti finalizzati a chiarire le rispettive posizioni.

La guerra con i De Stefano e l'ascesa dei Condello

E' frutto della guerra di mafia che li oppose ai De Stefano, insanguinando Reggio Calabria ed il suo comprensorio fra gli anni Ottanta e Novanta, il potere esercitato dai Condello, colpiti oggi da 26 fermi ordinati dalla Dda ed eseguiti dai Carabinieri, sul capoluogo e Villa Giovanni. Gli assetti e le alleanze dell'organizzazione, cui gli inquirenti attribuiscono ben 20 episodi estorsivi, sono maturati a cavallo del 1991, anno di conclusione della seconda guerra di 'ndrangheta. Le vicende criminali della cosca Condello sono strettamente collegate a quelle delle cosche De Stefano ed Imerti-Buda. Originariamente, i legami esistenti tra i De Stefano, nella persona di Paolo De Stefano, ed i Condello, rappresentanti da Pasquale Condello, 66 anni, detto "il Supremo", erano fortissimi essendo stato il primo testimone di nozze, unitamente a Giovanni Fontana dell'omonima cosca, del secondo. Il "Supremo", grazie alle sue capacità nell'ambito criminale ed ai legami di comparaggio, aveva rapidamente assunto il ruolo di braccio destro di Paolo De Stefano. Ma gli equilibri tra i due casati mafiosi, pur apparentemente così solidi, iniziarono a modificarsi verso la metà degli anni '80, quando, in conseguenza del matrimonio, celebrato nel 1983, tra Antonino Imerti, detto "Nano feroce", esponente di vertice della cosca Imerti-Buda, e Giuseppina Condello, sorella di Domenico, 63 anni, detto "U Pacciu" e cugina del "Supremo", i rapporti tra i Condello e gli Imerti-Buda si rafforzarono, con il conseguente allargamento della presenza dei Condello nell'area di Villa S. Giovanni. Nel momento in cui si intravidero le enormi possibilità di arricchimento legate alle contribuzioni pubbliche previste dal "Decreto Reggio" ed ai suoi appalti milionari, nonché dalla possibile costruzione del Ponte sullo Stretto, i De Stefano a pianificarono l'omicidio di Nino Imerti con l'obiettivo di ridimensionare l'aggregato criminale Condello-Imerti-Buda nell'area di Villa S. Giovanni, dove i De Stefano intendevano allargare la loro sfera d'influenza.

Fu così che il 10 ottobre 1985, nel centro del reggino, un'autobomba provocò la morte di tre persone - Umberto Spinelli, Vincenzo Palermo e Angelo Palermo - guardie del corpo di Antonino Imerti ed il ferimento di quest'ultimo e di Natale Buda, autista del boss. La risposta non si fece attendere e il 13 ottobre, a soli tre giorni di distanza, nel rione Archi di Reggio Calabria, furono uccisi il boss Paolo De Stefano, capo dell'omonima famiglia, e Antonino Pellicano'. L'ordine, secondo gli inquirenti, fu impartito da Domenico Condello. Quest'ultimo episodio delittuoso inaugurò la seconda guerra di 'ndrangheta e sancì definitivamente la scissione dell'allora nascente cosca Condello-Imerti-Buda dallo schieramento destefaniano, di cui Paolo De Stefano era leader indiscusso. Fu l'inizio della carriera criminale di Domenico Condello, oggi sessantenne, nelle file del nuovo "federamento" anti destefaniano, il cui potere si è progressivamente accresciuto in ragione degli arresti di Nino Imerti, avvenuto nel 1993, e di Pasquale Condello "il Supremo", da parte del Ros, nel 2008. La seconda guerra di 'ndrangheta si protrasse sino al 1991, anno in cui tra gli opposti schieramenti venne siglata una pace che, attribuendo aree di influenza alle varie famiglie mafiose interessate, ridisegnò la geografia criminale della provincia reggina ed i rapporti di forza tra le consorterie della 'ndrangheta, decretando, per quanto attiene al territorio di Villa San Giovanni, l'operativita' di entrambi gli schieramenti, in rapporto di reciproco riconoscimento.

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