Lamezia Terme - Stanno lentamente svanendo gli affreschi dell’antica chiesa di San Domenico. Affreschi che sono, anzi meglio dire “erano”, di ottima fattura artistica e che racchiudono una memoria storica, datati 1534, (la data è impressa ed ancora visibile). Senza un intervento mirato di restauro tra non molto non saranno nemmeno più visibili. Infatti, l’umidità in questi secoli, lentamente, li ha quasi cancellati. L’intonaco negli anni pare si sia pian piano sbriciolato, e naturalmente questi affreschi di notevole pregio andranno persi lasciando ai posteri solo qualche fotografia. Con l’aiuto di alcuni scatti fotografici è proposto ed evidenziato lo stato attuale della cripta ubicata nell’antica chiesa di San Domenico. La cripta si trova sotto l’altare maggiore, dell’unica navata centrale, realizzato nel 1827 dal M° Domenico Segreti da Fiumefreddo e, in un lato dell’altare, è ancora visibilissima e leggibile la scritta autografa dell’opera d’arte compiuta. Ad attestarne l’autenticità lo scritto inciso per la commemorazione degli uomini e l’avvenimento:
“D.O.M
Questo altare fu costruito da me
M° Domenico Segreti da Fiumefreddo,
essendo priore del convento
P.L. Fra Domenico M. Stasi
- MDCCCXXVII.D”
La cripta e le ipotesi sulle sepolture
La cripta è chiusa con un cancello di ferro e per visitarla, ad aprire l’ingresso deve essere il parroco. Si scende per una scaletta e una volta entrati si presenta agli occhi del visitatore uno spettacolo indescrivibile, una piccola meraviglia cui si resta entusiasti. In esso è racchiuso tutto il fascino del passato. Nella stanza circolare sono situati dei piccoli sedili in pietra scavati nel muro, è qui che si facevano sedere i corpi dei defunti e venivano lasciati essiccare. Gli scolatoi erano definiti i sedili dell’aldilà, circa cinque secoli fa, in questo luogo, in tanti venivano ‘’sepolti‘’ come i corpi di monaci e molti nobili della città. E’ probabile che molti, fra i corpi dei Caracciolo e i D’Aquino, siano stati sepolti in questo luogo. L’ipotesi che la cripta sia stata utilizzata come luogo di sepoltura, anche dai nobili è avallata dallo stemma dei Caracciolo che capeggia sul soffitto, un leone rosso rampante con la coda rivoltata. Il blasone, a differenza degli altri affreschi, sembra essere ancora in buono stato, nonostante gli anni e il nemico numero uno, cioè l’umidità. I sedili in tutto sembrano sei: cercano di resistere da almeno cinque secoli e al di sotto si nota qualche macchia per terra, quel punto accoglieva lo svuotamento corporeo del defunto.
Gli affreschi
La piccola camera non riserva solo la testimonianza delle nicchie dove sono posti i sedili, ma sembra invitare lo sguardo verso gli affreschi (oramai quasi impercettibili persino all’obiettivo fotografico) che sono di particolare interesse e, allo stesso tempo, catturano lo sguardo perché la suggestione trasmessa è talmente forte che coinvolge il visitatore. Nella parete centrale si presenta un grande affresco dove al centro si scorge un mezzobusto di Cristo con le mani incrociate, il sepolcro e la croce il Cristo sono affiancati da due soldati in armatura, uno con scudo e spada e l’altro con una alabarda. Nell’affresco ci sono tanti particolari utili, uno fra tutti è quello dove, in alto, è riportata la data leggibile presumibilmente il 1534, ma sembra non riportare invece la firma dell’autore dell’affresco, i due soldati ai lati, pare forse siano soldati spagnoli. Chiaro il riferimento alla resurrezione e può darsi che l’autore ne abbia fatto riferimento in qualche raffigurazione o rappresentazione di quel tempo. Sulla sinistra del Cristo, accanto al soldato, appare una scritta impercettibile. Da considerare che forse sino a 20-25 anni fa l’affresco fosse leggibile, e magari ancora erano visibili tanti altri piccoli particolari. Ma, guardare e cercare di leggere questa piccola testimonianza di cinque secoli fa sorgere molte domande, nonché qualche considerazione tenendo conto che il tutto irrimediabilmente continua ad andare lentamente in rovina, e giorno dopo giorno non sarà più visibile, perché l’umidità continuerà a “mangiarsi’’ tutto.
Il tutto ancora si può salvare? Oppure il recupero ha un costo esorbitante? Si è mai richiamata l’attenzione delle istituzioni o degli organi competenti? Si è mai levata una voce per segnalare il tutto oppure si è eretto solo un muro di silenzio? L’affresco nella cripta di San Domenico rischia di scomparire, Lamezia perderebbe uno dei suoi piccoli patrimoni storici, quando già nel lontano 1896 Lamezia perse “il Tesoro di Terina”. Si può ancora salvare questo piccolo “gioiellino” del 1534 del quale, per cinque secoli, nessuno pare essersi posto la domanda.
Marcello Rochira
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