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La sinistra conservatrice e l’architettura nella riforma della giustizia
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Giovanni Iuffrida© RIPRODUZIONE RISERVATA
È dal lontano dopoguerra, cioè nel pieno dell’entusiasmo per la democrazia, che i costituenti hanno la consapevolezza che la giustizia è come l’aria, ovvero che – come ha ricordato Piero Calamandrei – <<ci si accorge della sua importanza quando manca>>. Poi, negli anni Ottanta, un eroe della resistenza come Giuliano Vassalli ha pensato a una svolta epocale spostando i pubblici ministeri dagli alti scranni delle aule di giustizia. Un messaggio non solo simbolico: l’accusa non può stare a fianco del giudice perché la posizione di qualsiasi cosa o persona nello spazio architettonico ha un valore e un significato. Nonostante l’evidente stato di crisi della giustizia, parte della sinistra contemporanea – quella che fa tristezza a Gaia Tortora, figlia di Enzo – invece si esercita a fare la propria resistenza conservatrice (da una scrivania, però) rifiutandosi di condividere l’assunto che la separazione delle carriere possa essere uno dei presupposti del <<giusto processo>>.
Spogliandosi di ogni pregiudizio ideologico ma con una forte tensione etica forse bisognerebbe riconoscere che la riforma in corso d’opera è sì utile e necessaria, ma che se ha un difetto è perché è limitata. Si, perché bisognerebbe agire su tutto l’impianto organizzativo della giustizia che oltre a dover essere imparziale dovrebbe essere celere ed efficace, ma soprattutto correlata con i fondamentali diritti individuali. Senza dimenticarsi che la giustizia, in un Paese democratico, deve essere strumento di emancipazione non di oppressione. Certo non siamo ancora nell’Uruguay dei tredici anni della galera dura, dell’isolamento e delle torture a José Alberto Mujica.
Comunque il referendum confermativo sulla giustizia funzionerà, attraverso un procedimento previsto dalla Carta Costituzionale quale istituto della democrazia, come un processo popolare allo Stato attraverso la scheda elettorale: una sorta di giuria del popolo al di fuori delle aule dei tribunali. E sarà senz’altro utile per capire se la democrazia ha ancora una sua vitalità, un senso, nonostante si dimostri per molti versi agonizzante a tal punto che la spinta verso la Repubblica presidenziale sembra sia tra i desiderata di buona parte della popolazione, in misura direttamente proporzionale alla sfiducia per le medievali roccaforti dei palazzi di giustizia, turriti dal fallimento della riforma sulla responsabilità civile dei magistrati. I diversi gradi di giudizio con condanne che spesso vengono tramutate in assoluzioni, sono segnali di una grave crisi del sistema democratico. Anche se qualcuno si chiederà, purtroppo, che cosa c’entri la giustizia con la democrazia.
Un dato comunque appare inoppugnabile: la complessità dell’architettura normativa richiede approfondimenti che non possono essere pagati dai cittadini incolpevoli e responsabili soltanto di avere resistito a vivere in questo <<sfasciume pendulo>> che è la Calabria – come la definisce Giustino Fortunato – e, per estensione, l’Italia. Forse – ed è una delle possibili soluzioni – bisogna pensare alla specializzazione dei magistrati per tentare di evitare che, oltre che essere terra di terremoti e alluvioni, sia luogo privilegiato del dissesto idrogeologico e dei disastri della giustizia. Non è una questione di poco conto, perché la giustizia penale è un tema politico e sociale delicatissimo: in questo crocevia si realizza lo scontro tra la potestà punitiva dello Stato e i diritti primari alla libertà e alla dignità delle persone. Non per niente, la cronaca (ma anche la storia) ci restituisce un solo <<giudice beato>> – Rosario Livatino – che sebbene <<ragazzino>> professava una santità non eroica ma come prodotto della normalità del bene esercitata attraverso il rispetto dell’<<intangibile mistero della persona>>.
Ed è proprio per poter declamare la misura alta della vita che è necessario riformare profondamente il sistema giudiziario ad iniziare della separazione delle carriere, che passa anche dagli spazi architettonici, ovvero dalla separazione fisica dei pubblici ministeri dai giudici, per evitare le contiguità nel pre-giudizio: il primo di stanza nelle caserme (visto che il momento investigativo è praticamente fuso in quello dell’accusa), il secondo nei palazzi di una giustizia (possibilmente vera), unico spazio a vetri trasparenti dedicato al confronto, a garanzia del tentativo della costruzione di una maggiore neutralità degli organi (prima specialisti e poi) giudicanti. Alla sinistra non arroccata sul conservatorismo spetta l’obbligo etico di una pausa di riflessione, prima della sua sconfitta al referendum confermativo.
