Lamezia, “La Chiesa di San Benedetto” raccontata nel libro dell'architetto Paolo Portoghesi

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Lamezia Terme - Nuovo centro nevralgico di una Lamezia che cresce, simbolo di unità spirituale, ma anche sociale e culturale, della comunità cittadina, il complesso interparrocchiale di San Benedetto è stato raccontato in un libro da chi ne ha creato il progetto: parliamo dell’architetto Paolo Portoghesi, presente con un messaggio video ad una ricca presentazione in Sala Luisi, che ha inaugurato un Maggio dei Libri particolare, improntato alla ricerca e allo studio del territorio. “La Chiesa di San Benedetto”, edito da Rubbettino, con un’ampia sezione illustrata curata da Lorenzo Capellini, è stato discusso attraverso i contributi del noto fotografo – conosciuto nel mondo dell’arte e dell’architettura, ma anche per i suoi reportage naturalistici di livello internazionale – e dell’Ordinario di Storia dell’Architettura all’Università IUAV di Venezia Amerigo Restucci – già rettore e prorettore dell’Università, autore di saggi di storia dell’architettura, fra cui un volume edito da Mondadori, prossimamente coinvolto nel restauro dell’Accademia di Brera. A raccontare la storia di San Benedetto anche alcuni fondamentali attori materiali del progetto, in particolare l’ingegnere Francesco Stella, attualmente assessore alla Pianificazione Territoriale e all’Urbanistica, che ha promosso e seguito interamente il corso dei lavori, il Vescovo Serafino Parisi, erede ed interprete fecondo di un’iniziativa nata proprio in seno alla diocesi, nonché promotore di un Corso Biblico tuttora in corso presso i locali della chiesa, e naturalmente il sindaco Paolo Mascaro, che ha seguito con la sua amministrazione tutta la parte dei lavori, su basi progettuali gettate con Gianni Speranza, in un avvicendamento virtuoso di energie, ai vertici del Comune e della Chiesa, che come sottolineato dall’assessore alla cultura Giorgia Gargano, moderatrice, non ha mancato di portare i suoi frutti.

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Merito, secondo il presidente del Consiglio Comunale Giancarlo Nicotera, anche della lungimiranza del progetto di una chiesa “unificatrice”, fortemente voluto dal Vescovo Cantafora, che ha incontrato le istanze di sviluppo della cosiddetta area API, individuata come nuovo centro città nella zona degli uffici Comunali e dell’Ospedale: il piano urbanistico dell’aera è stato approvato nel 2009, e per la sua realizzazione, secondo Mascaro, “sono stati stanziati prima oltre 9 milioni di euro, poi 11”, attualmente grazie al Pnrr, delineando secondo Stella, “un nuovo piano di città che parta dalle opere pubbliche, e non dal sorgere – indiscriminato – di edifici privati”. Simbolicamente al centro di tutto la nuova chiesa, divenuta possibile dopo la visita di Papa Benedetto XVI, sorta su un terreno di 22 ettari, realizzata con fondi 8per1000 dall’impresa Ferraro Spa in un tempo record di meno di tre anni, con posa della prima pietra ad aprile 2016 e inaugurata dal Cardinale Pietro Parolin il 25 marzo 2019, subito dopo il momento amaro del commissariamento, brevemente ricordato da Mascaro. Una centralità intenzionale, apprezzata da Monsignor Parisi: “l’impianto di una chiesa”, ha spiegato il Vescovo, “deve sempre avere un’ispirazione e una logica, deve rispondere ad un progetto: infatti, la costruzione del Tempio di Gerusalemme nella Genesi diventa metafora della Creazione, mentre in Isaia la casa del Signore è spazio d’incontro tra le genti. Ma la Chiesa è elemento d’aggregazione anche in una prospettiva laica, perché è spazio che rende le persone responsabili l’una dell’altra, dando origine alla socialità”. Qui il ricordo del vescovo Cantafora, che già “aveva la visione di questo luogo finito, non solo la chiesa ma anche le case e gli edifici attorno, lo vedeva già come cuore pulsante della città”.

E sembra che sia stata proprio la filosofia unificatrice, la “teologia dell’architettura” alla base del progetto, a far innamorare Paolo Portoghesi e a fargli sposare la proposta di una chiesa che, secondo le sue parole, fosse “simile ad una nave, destinata ad attraversare tempeste, sì, ma in cui ognuno si senta al sicuro; una chiesa orientata ad est, che vedesse il sacerdote circondato dall’assemblea, e il crocefisso ben visibile durante la consacrazione sia dal celebrante che dai fedeli, come secondo le direttive del Concilio. Attorno, un edificio rivolto alla città con braccia aperte ad accoglierla, e la facciata rivestita da pannelli a specchio, perché i fedeli potessero riflettersi entrando. Dentro, la luce che entra attraverso una fenditura orizzontale invisibile, che attraversa tutta la chiesa, e attraverso tre fori centrali che rappresentano la Trinità. A sormontare, 12 nervature incrociate a simboleggiare gli apostoli: qualcosa che renda il senso della trascendenza, perché con la ragione non comprendiamo tanti aspetti della Verità, che pure ci sono”. Un progetto cui, secondo Capellini, Portoghesi e la moglie Iolanda avrebbero “lavorato giorno e notte, con tutto lo studio”, e che secondo Restucci porta il riverbero, come tante altre sue creazioni, dell’opera del Borromini, maestro secentesco cui Portoghesi si era sempre ispirato, oltreché dell’ingegno di Ludovico Guaroni, suo formatore. “Le concavità e le convessità, la centralità delle torri campanarie, l’aderenza al messaggio postconciliare” fanno dunque di quest’opera un omaggio della contemporaneità alla storia Benedettina di quest’area della Calabria, ai suoi molti Monasteri distrutti dal tempo ma vivi nel sostrato culturale e spirituale della regione: un sostrato che ora farà da collante nell’unificazione e nello sviluppo della comunità cittadina.

Giulia De Sensi

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