Lamezia, Franco Arminio ospite al teatro Grandinetti: "La Calabria è una terra che fa bene"

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Lamezia Terme - Giornalista, scrittore, regista, poeta, noto il suo impegno in battaglie civili a favore delle aree interne, Franco Arminio è uno dei personaggi più attivi nel mondo della cultura contemporanea. Ospite a Lamezia fra gli amici dell’associazione culturale “I Vacantusi” presso il Teatro Grandinetti, terrà un breve reading in città, non prima di raccontare in un’intervista esclusiva il suo rapporto con la Calabria e il suo punto di vista sul futuro della nostra terra e dei suoi borghi, fra risorse e criticità.

Fra i suoi molteplici interessi culturali, lei si occupa in particolare di paesologia, rivestendo anche il ruolo di direttore artistico di un Festival a tema ad Aliano. Può spiegarci, nella sua personale visione, il significato preciso di questo termine?

“Un paesologo non è colui che semplicemente si occupa del proprio paese e del suo passato – cosa che lo definirebbe come un paesanologo – ma colui che si occupa di tutti i paesi, nell’idea e nella prospettiva che possano avere un loro avvenire. Infatti, il mondo ha bisogno dei paesi, che sono luoghi pieni di futuro: fra cento anni probabilmente saranno loro il vero centro attrattivo, perché garantiscono una vivibilità migliore, a misura d’uomo. Ma attualmente la gente non se ne occupa: nemmeno chi li abita. Dunque, la paesologia è una forma d’attenzione, che si traduce sia in una militanza che in uno sguardo nuovo sui luoghi, senza il quale questi andrebbero in decadimento. Ciò che faccio sta a metà fra l’etnografia e la poesia: studio i luoghi e li restituisco in forma poetica”.

Qual è il suo rapporto con la Calabria e con il Mezzogiorno, e come paesologo quali esiti pensa possa avere l’onda della modernità sui nostri territori, considerando anche l’impatto delle recenti disposizioni governative?

“Io sulla Calabria ho cambiato idea. Fino a dieci anni fa, pensavo come molti italiani che fosse un luogo d’incuria, guasti, problemi, e quando venivo era come se cercassi conferma di questo. Poi ho mutato sguardo, e ho capito ch’è una terra benedetta. Certo la modernità ha prodotto dei danni, ma sotto la loro polvere sopravvive qualcosa di arcaico, un’energia antica, non ancora bruciata dal nuovo: per questo penso che il mondo abbia bisogno della Calabria. L’autonomia differenziata è una disposizione discutibile: mi sarei aspettato un intervento che provasse a risanare la discrepanza di reddito fra nord e sud, non qualcosa che aumenterà le disuguaglianze, o che nel migliore dei casi lascerà tutto com’è”.

Per abitare i luoghi è anche necessario avere a disposizione dei servizi. In questo senso, qual è il suo punto di vista sulle possibilità del nostro territorio?

“Rispetto alla sanità è scandaloso che da nord a sud ci siano differenze nei tempi d’erogazione, ma devo anche dire una cosa: in Calabria si sta bene. C’è buon cibo, luce, silenzi, una natura straordinaria, persone attente ed empatiche. Qui potrebbe esserci il ritorno ad una medicina umanistica, fatta anche di luoghi sani, di un ambiente sano che cura, secondo un approccio nuovo. Immagino che fra cento anni le persone vengano a curarsi in Calabria, e questa non sia più una terra in uscita, ma una terra in cui si deve arrivare, così come in futuro ho intenzione di fare anch’io. Perché la Calabria è una terra che fa bene”. 

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Come giornalista lei collabora con il Corriere della Sera, Il Manifesto, e Il Fatto Quotidiano, ed è comparso – di persona o con i suoi scritti – in diverse trasmissioni televisive. Dal suo osservatorio, che evoluzione si sente di ipotizzare per il mondo della carta stampa e in generale della comunicazione? In che modalità sarà prevalente negli anni a venire la diffusione di contenuti culturali?

“Penso che il giornalismo su carta vada incontro ad un declino inarrestabile, ma il mercato dei libri no. Per il resto si tratta semplicemente di cambiare, di far viaggiare le informazioni su altre gambe, rimanendo liberi e fedeli alla verità. La Storia è fatta di rotture, ma c’è ancora tanto bisogno di ascoltare storie e di condividere informazioni, forse più che nel passato, e c’è bisogno di buon giornalismo: non credo sia un mestiere in via d’estinzione”.

Non in ultimo, lei è un poeta. Che ruolo ha oggi in Italia il genere letterario che la vede protagonista, esiste un futuro ed un pubblico per chi sa fare poesia?

“Credo di sì. Negli ultimi anni c’è stato un aumento dei lettori di poesia, che si è tradotto in scaffali di settore più forniti nelle librerie. Questo anche grazie alla rete: infatti la poesia viaggia meglio in rete, rispetto alla narrativa e alla saggistica. È più breve e la gente ne ha bisogno. Perché supplisce a dottrine in declino come la religione o la politica, ed è utile a chi desidera orientarsi, fare ricerca, tutti bisogni che può soddisfare. Inoltre, nessun poeta esaurisce con la sua opera ciò che può esser scritto. Si può sempre fare poesia. Per questo invito i giovani ad armarsi di carta e penna, e a fare la loro parte”.

Giulia De Sensi

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