Lecco - Colpo alla criminalità organizzata in tutta Italia. Questa mattina la Polizia di Stato sta eseguendo sei diverse operazioni sul territorio nazionale, per 160 ordinanze di custodia cautelare in carcere. In particolare, a Lecco è stata disarticolata un’organizzazione mafiosa composta da presunti appartenenti alla 'ndrangheta calabrese operanti in Lombardia. Sono 18 gli arresti effettuati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Le complesse indagini coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine hanno permesso di colpire duramente diverse organizzazioni criminali. Durante l'operazione sono state effettuate numerose perquisizioni, tuttora in corso, durante le quali sono stati rinvenuti beni di valore e armi detenute illegalmente. Inoltre è stata data anche esecuzione a un decreto di sequestro preventivo per equivalente di oltre 120 mila euro e di quote di società utilizzate per operazioni illecite.
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In particolare, dieci persone sono finite in carcere e 8 ai domiciliari nell'ambito di un'indagine della Dda di Milano per associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, autoricilaggio, usura ed estorsione. L'operazione condotta Gico della Gdf, dalla Finanza e dalla Squadra Mobile di Lecco si è svolta in Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna e ha portato anche al sequestro di un carico di rifiuti radioattivi. La Procura ha ricostruito l'attività di un sodalizio mafioso nel lecchese guidato Cosimo Vallelonga, esponente di spicco della 'ndrangheta è già condannato.
Secondo l'accusa Vallelonga, una volta scontata l'ultima condanna per associazione mafiosa, avrebbe ripreso i contatti e rivitalizzato il sodalizio mafioso, "non solo attraverso autonome condotte criminali ma anche ricevendo altri esponenti della 'Ndrangheta nel suo ufficio all'interno del negozio 'Arredo mania' di La Valletta Brianza, per dirimere controversie, concordare nuove strategie ed eludere i controlli dell'autorità giudiziaria". Stando agli investigatori, avrebbe accolto anche "imprenditori locali, sia per l'erogazione di prestiti a tassi usurari sia per organizzare il reinvestimento dei proventi delle attività illecite nell'economia legale".
L'intercettazione: "Puntiamo far girare 70 milioni"
"Un settanta milioni da girare, non so se in dollari o in euro, mi servirebbe fare delle fatture". Così intercettato un presunto appartenente della cosca della 'ndrangheta Morabito-Palamara-Bruzzaniti parlava con Cosimo Vallelonga, storico boss della mafia calabrese in Lombardia, arrestato nel maxi blitz della Dda di Milano su un traffico di rifiuti e altri reati, parlava nel 2018 di una "grossa ditta" che "aveva bisogno di far 'girare' un'enorme cifra di denaro" con un sistema di false fatturazioni. Il particolare emerge nelle oltre 500 pagine dell'ordinanza firmata dal gip Alessandra Clemente, su richiesta dei pm Paola Biondolillo e Adriano Scudieri, nell'inchiesta del Gico della Gdf e della Squadra mobile di Lecco. Stando agli atti, Vallelonga, una volta scarcerato dopo essere rimasto coinvolto in importanti operazioni anti-'ndrangheta come il blitz 'Infinito' del 2010, avrebbe ripreso a guidare il clan dal suo negozio 'Arredo mania', un mobilificio di La Valletta Brianza (Lecco). Dall'intercettazione sui "70 milioni" emerge, scrive il gip, la sua disponibilità "a mettere a disposizione la sua caratura criminale, le sue conoscenze e in definitiva" il suo "capitale mafioso". E Vallelonga, infatti, si sarebbe impegnato "per risolvere il problema" postogli dal presunto affiliato al clan calabrese.
Boss minacciò: "Sparo come in Calabria"
"Vi faccio come facciamo in Calabria". Con queste parole, stando alle intercettazioni, Cosimo Vallelonga, 72 anni, boss della 'ndrangheta in Lombardia finito di nuovo in carcere oggi nel maxi blitz della Dda milanese su un traffico di rifiuti e altri reati, minacciava nel suo negozio di mobili nel Lecchese due vittime di usura, che dovevano restituire un "prestito". Lo si legge nell'ordinanza firmata dal gip Clemente. Come risulta dagli atti, nell'ottobre 2018 Vallelonga avrebbe intimato ad una delle due vittime "di lasciare fuori dal locale il cellulare", dopo avergli anche "chiesto se avesse addosso dispositivi di registrazione". Un'altra delle vittime del clan, che, come si legge, agiva in vari settori e con i metodi 'classici' della mafia calabrese da anni ormai "pervasiva" in Lombardia, ha messo a verbale che nell'estate del 2017 "venne condotto in un capannone da Vallelonga" e da Vincenzo Marchio, altro arrestato e 'braccio destro' del boss. Vallelonga, stando al verbale, prese "una pistola" con silenziatore e gliela puntò "alla testa, all'altezza della bocca, ribadendo di esigere da me la restituzione del denaro". Lo stesso boss nel dicembre 2017 avrebbe detto anche di "aver pronta la borsa dei ferri e che non aveva problemi a tirarla fuori".
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