Lamezia, Bevilacqua su chiusura Festival Erranze e Filoxenia: “In 8 anni gettati molti semi, occorre saper rinnovarsi”

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Lamezia Terme - Dopo otto anni di attività, Francesco Bevilacqua, ideatore del “Festival delle Erranze e della Filoxenia” ha annunciato di voler chiudere questa esperienza. Di professione avvocato, da sempre schivo verso l’impegno politico ma molto impegnato nel volontariato è un grande appassionato della natura e della cultura della Calabria. Ha, infatti, al suo attivo più di venti libri dedicati anche a temi più generali come il rapporto fra uomo e natura, l’esplorazione del territorio, il viaggio, il paesaggio. Tra le tante iniziative di Francesco Bevilacqua, appunto, anche quella del Festival delle Erranze e della Filoxenia, un festival dei comuni dell’area del Reventino-Mancuso che ha riscosso grande successo con concerti in natura, presentazioni di libri, reading di poesie, escursioni narrate, passeggiate eco-esperienziali e tanto altro. A spiegare i motivi della decisione è lo stesso Francesco Bevilacqua che a il Lametino.it dichiara: “Mi permetta di rassicurare coloro che già stanno chiedendo se faremo delle iniziative questa estate: le faremo, e molti dei classici eventi degli scorsi anni saranno ancora ripetuti. Quel che cambia è il contenitore. Non ci sarà più il Festival del comprensorio dell’area del Reventino-Mancuso, ma singoli contenitori e probabilmente anche dei festival in vari comuni. E non ci sarò più io a coordinare le iniziative. Tornerò a fare il “soldato semplice”, continuando a spendermi come volontario per questo importante comprensorio calabrese che mi sta molto a cuore. Ho sempre pensato che non potessi tenere delle “cariche” a vita. Bisogna saper cedere il passo. Non escludo neanche che la Proloco di Platania, dalla quale era partita l’idea di un festival (io fui solo chiamato a darle un nome, riempirla di contenuti ed a coordinarla) possa proseguire, se vuole, in quell’esperienza. Collaborerò volentieri ma da semplice volontario”.

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I motivi della decisione

In merito alle ragioni che lo hanno spinto a lasciare, l’avvocato e scrittore aggiunge “penso che certe cose non possono durare indefinitamente: tutto ha un inizio, uno svolgimento e una fine. I tempi cambiano e occorre saper rinnovarsi. Poi, mi arrivavano dagli altri amici segnali di stanchezza per l’idea e percepivo la voglia, invece, di agire a livello comunale e non più comprensoriale, per come era la mia idea originaria. Stare insieme non è semplice. Se viene meno la volontà, vuol dire che è ora di “separarsi” (succede nelle migliori famiglie, nei partiti politici e perfino nelle band musicali). Ed in effetti in diversi comuni dell’area sono già sorti dei festival autonomi: non mi sembrava il caso di sovrapporci con iniziative tutto sommato simili. Poi l’idea dei “festival” mi pare ormai inflazionata. Ce ne sono ovunque, con i nomi più curiosi, ma forme e contenuti sono ripetitivi. È accaduto con i festival quello che era già successo con le sagre. Se dovessi inventarmi un contenitore oggi non sarebbe più un festival ma qualcosa di molto diverso. Mi piacerebbe un incubatore che non fosse solo da stimolo ma servisse a realizzare cose concrete, che restino sul territorio e producano un tessuto culturale ma anche economico e perfino imprenditoriale. L’area del Reventino ha già esperienze simili. Bisogna fare in modo che si replichino più possibile. Questi otto anni sono serviti a gettare molti semi”.

E, precisa “Innanzitutto l’idea che occorra mettersi insieme per fare delle cose, superare i campanili, le ostilità fra comuni e, nel caso dell’area del Reventino-Mancuso, sinceramente non riesco a capire come sia possibile che a nessuno venga l’idea di creare un unico comune come si è fatto ad esempio a Casali del Manco o a Rossano-Corigliano. Oggi ci sono tanti piccoli comuni in crisi, che stentano ad offrire ai residenti servizi essenziali. Se si accorpassero si produrrebbero economie utili a potenziare i servizi, a razionalizzare l’uso del personale tecnico ed amministrativo etc. E poi insieme si sarebbe più forti nel contrattare con gli enti sovraordinati. Spero che questo seme attecchisca e germogli. Un altro seme è che il Reventino-Mancuso debba avere una sua area protetta, come quella che proponemmo diversi anni fa e che fu affossata dalla politica locale divenuta ostaggio dei soliti mestatori anti-parco. Il momento ora è più propizio. Ancora, in questi otto anni l’idea che l’area del Reventino-Mancuso potesse aumentare e specializzare le proprie capacità di accoglienza si è rafforzata. Siamo sulla buona strada. Infine, abbiamo dimostrato che l’area può essere attrattiva anche per nuovi residenti e per attività economiche. La lotta fra riempimento e spopolamento è come quella fra Davide e Golia ma non possiamo far altro che continuare batterci”.

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Il bilancio di otto anni di Festival

Bevilacqua, infine, si sofferma con il Lametino.it a raccontare questa esperienza durata otto anni. Innanzitutto, evidenzia “abbiamo dimostrato che si possono fare iniziative culturali anche senza ricorrere a fondi pubblici e/o ai soliti sponsor privati. Il Festival si è interamente auto-finanziato. Significa che singole persone, non necessariamente imprenditori, hanno fatto piccole donazioni perché si realizzassero tutti gli eventi. Io stesso, che ero coordinatore, l’ho fatto ogni anno per dare l’esempio. E tutti coloro ai quali mi sono rivolto hanno risposto positivamente pur senza diventare sponsor. Io credo, senza nulla togliere a coloro che partecipano ai bandi regionali e poi magari ricevono fondi anche da sponsor privati, che gruppi di cittadini possano divenire ‘istituzioni’ essi stesse assumendo su di loro gli oneri economici e organizzativi degli eventi culturali, e non solo di quelli. Poi abbiamo messo in campo cose davvero originali. Penso alla prima iniziativa pubblica in Calabria dello shinrin-yoku (l’immersione nei boschi), un’esperienza eco-sensoriale che serve a riconnettersi con la natura attraverso il corpo e la mente. Penso ai concerti ‘per” i luoghi come quelli nella Faggeta di Condrò o sul Monte Reventino. Poi la rassegna ‘La Calabria è un destino’, nella quale abbiamo intervistato, all’Antico Mulino delle Fate, persone che sono rimaste, tornate o approdate in Calabria per viverci e lavorarci, decostruendo lo stereotipo secondo cui in Calabria non si vive bene e non si possono realizzare le proprie aspirazioni lavorative. Poi il ‘Presepe vissuto’ del Reventino”.

Quanto ai numeri, le iniziative, tutte rigorosamente gratuite, “sono state seguite da centinaia di persone (migliaia per le edizioni del presepe vissuto) effettivamente interessate a costruire una nuova relazione con i luoghi. Non so se tutto questo (e tanto altro ancora) potrà dare frutti. Viviamo un periodo di assoluta restaurazione in tutti i campi, di opportunismo ed egoismo, di banalizzazione del pensiero e di mancanza di pensiero critico. Ma spesso le buone pratiche, i casi esemplari che possono produrre emulazione positiva vengono all’improvviso e da persone da cui non te lo aspetti. È avvenuto anche all’interno del nostro Festival, ad esempio, con l’Antico Mulino delle Fate, un rudere nella Valle del Canne a Nicastro che due giovani ingegneri, Fabio Aiello e Anna Filardo, che vivono e lavorano in Svizzera, hanno comprato, insieme ad un pezzo di bosco, restaurandolo a loro spese ed anzi pagando la Regione per la derivazione dell’acqua, e che è divenuto una fucina di attività artistiche, didattiche, culturali, musicali e di recupero delle tradizioni”. 

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