Lamezia Terme - Si è concluso il processo a carico di Antonio Cantafio e della figlia Concetta Cantafio. I due erano imputati del reato di bancarotta fraudolenta consumata negli anni 2011/2012. Il Tribunale, dopo tre ore di camera di consiglio, ha assolto Antonio Cantafio e Concetta Cantafio per il reato più grave di bancarotta fraudolenta, mentre ha condannato il solo Antonio Cantafio per il reato di bancarotta patrimoniale alla pena di tre anni di reclusione.
L'intera vicenda ha origine dalla denuncia presentata proprio da Concetta Cantafio . L'indagine che ne è scaturita aveva portato, poi, ad estendere al solo padre un'altra ipotesi di bancarotta fraudolenta in quanto è stato accertato che Antonio Cantafio, con evidente fine dissimulatorio, aveva costituito una società immobiliare a cui aveva intestato tutti i beni di sua proprietà. Il pubblico ministero aveva concluso per la condanna di entrambi gli imputati chiedendo che Antonio Cantafio fosse condannato alla pena di cinque anni di reclusione e che venisse disposta la confisca di tutti i beni riconducibili a lui. Invece è stata chiesta la condanna a due anni di reclusione per Concetta Cantafio . A questo punto vi è stato l'intervento dell'avvocato Salvatore Cerra, difensore di Concetta Cantafio , che ha chiesto l'assoluzione della sua assistita. E' intervenuto, quindi, l'avvocato Francesco Gambardella nell'interesse di Antonio Cantafio, il quale ha chiesto l'assoluzione per tutte e due le ipotesi di bancarotta contestate ad Antonio Cantafio. E' stata discussa, poi, dall'avvocato Gambardella la questione relativa alla confisca dei beni, concludendo con una richiesta di restituzione di tutti i beni intestati a Cantafio Antonio di cui il PM aveva chiesto la confisca.
Le parti civili, rappresentate dai legali Italo Reale e Santino Piccoli, hanno concluso per la condanna. Nello stesso tempo è stata disposta la restituzione di tutti i beni intestati o riconducibili a Antonio Cantafio , posti sotto sequestro nella fase iniziale del processo. Inizialmente, infatti, nel corso delle indagini effettuate all'epoca dalla Guardia di finanza su indicazione della procura era stato sequestrato un patrimonio di 15 immobili, del valore complessivo di 3 milioni di euro, ubicati nei comuni di Lamezia Terme e Falerna.
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