Lamezia, omicidio Ventura: ecco le motivazioni della sentenza di condanna a Pulice

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Lamezia Terme – Con il deposito delle motivazioni della sentenza di condanna a dieci anni per Gennaro Pulice, si chiude un altro capitolo processuale per quanto riguarda l’omicidio di Gennaro Ventura, fotografo lametino ucciso il 16 dicembre del 1996 a Lamezia. 

Le motivazioni della sentenza sono state depositate giovedì, dopo un anno dall’emissione e a fronte dei 90 giorni richiesti, e dopo gli appelli della famiglia che aveva sollevato la questione e aveva presentato anche istanza al presidente del Tribunale tramite l’avvocato Italo Reale, loro legale di parte civile.

Per arrivare a questo punto sono passati oltre vent’anni: Gennaro Ventura era stato dato per scomparso, svanito nel nulla come in un vero thriller. E la realtà non era, purtroppo, così lontana dalla fantasia. 

La famiglia di Gennaro Ventura, con un passato da carabiniere e che a Lamezia svolgeva la sua attività di fotografo, non si era mai data per vinta, e per anni ha chiesto che fosse fatta luce e che potesse emergere finalmente la verità su questa vicenda. 

Ventura, infatti, scomparve improvvisamente un giorno di metà dicembre: sulla sua agenda c’era segnato un appuntamento, al quale andò ma dal quale non fece ritorno. E fu proprio quell’appuntamento, preso con un insospettabile giovane, che poi si scoprì essere un killer, che gli aveva commissionato delle foto ad alcuni reperti archeologici, la chiave di volta di questo mistero. 

Pulice quando decise di collaborare con la giustizia, raccontò molte cose di cui era a conoscenza agli inquirenti e, tra queste, svelò anche i particolari su questo omicidio. Spiegò che fu lui a sparare contro Ventura, su ordine di Domenico Antonio Cannizzaro, condannato a 30 anni un anno fa in qualità di mandante, al termine del processo di primo grado e per il quale dovrebbe cominciare a breve anche l’appello.

Le dichiarazioni dei collaboratori

A parlare di questa scomparsa, furono anni fa, già alcuni collaboratori di giustizia: le dichiarazioni di Gianfranco Norberti e Massimo di Stefano furono raccolte nell’ambito di un altro procedimento. Raccontarono di “screzi per questioni di droga” ma il procedimento, come scrive lo stesso giudice, “nonostante l'ulteriore attività di indagine espletata, stante il difetto di idonei elementi probatori, veniva archiviato”. 

Ma a chiarire le dinamiche che avevano portato all’omicidio, ci pensò proprio Gennaro Pulice: raccontò che Ventura aveva contribuito anni prima, secondo Mimmo Cannizzaro, all’arresto di Raffaele Rao, mentre il fotografo svolgeva la sua attività di carabiniere a Tivoli. Una colpa che Cannizzaro non gli avrebbe perdonato e così, come raccontò agli inquirenti proprio Pulice, prese la decisione: “[…] Mimmo Cannizzaro che c'entrava in quella partita comunque di cocaina si segnò l’offesa e colse il momento giusto per vendicarsi”. 

Durante gli anni di servizio come carabiniere a Tivoli, infatti, Ventura aveva identificato Raffaele Rao come uno dei responsabili di una rapina ai danni di un consulente tecnico dell’A.G. che custodiva un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti nella sua abitazione. Droga sottratta da due persone che Ventura, per caso, aveva visto scendere dall’abitazione del perito. Rao, legato da rapporti di parentela con i Cannizzaro, per questo reato fu condannato a dieci anni di carcere. Un arresto che Cannizzaro avrebbe decise così di vendicare. 

Aveva solo 18 anni, Gennaro Pulice quando Cannizzaro lo avrebbe incaricato di uccidere Ventura, che era, come racconta lo stesso collaboratore “[…] una persona comunque schiva, non andava mai da nessuna parte. Era sempre chiuso nel suo laboratorio e in un primo momento l'omicidio doveva essere fatto all'interno del laboratorio. Mi recai personalmente un paio di volte in quel laboratorio per fare dei sopralluoghi, ma anche lo stesso Mimmo andava spesso a cercare di vedere […]”. 

“[…] Quindi – continua Pulice - mi recai dal Ventura più volte, gli inventai una scusa gli dissi che comunque durante lo sbancamento del mio terreno avevo ritrovato delle statuette, dei reperti archeologici e non volevo diffondere la notizia, volevo fare delle fotografie ad hoc per poi comunque pubblicizzare la cosa. Lui ci credette. io non pensavo però ... gli diedi un appuntamento naturalmente, io non pensavo che sulla sua agenda personale lui scrivesse "appuntamento con Gennaro Pulice" cosa che invece fece...”.

Poi l’arrivo nel casolare e il triste epilogo della vita del giovane fotografo lametino: due colpi di pistola alla testa nel casolare abbandonato e l’occultamento del suo corpo da parte di Pulice. Fino al 2008, quando una signora, che stava per acquistare un fondo alla periferia lametina, in una zona di campagna, chiese una ispezione. Fu allora che, fortuitamente, in una fossa per la fermentazione del mosto, furono trovati alcuni resti. Solo con l’esame del dna si ebbe la conferma che quei resti, a dodici anni dalla scomparsa, potessero appartenere a Gennaro Ventura.

Ventura-omicidio_3.jpgIl ritrovamento dei resti

“Adesso il ‘Bibbiano’ stanotte non dorme”

Cosa avvenne quando si seppe della scoperta dei resti, lo raccontò il collaboratore Pietro Paolo Stranges agli inquirenti nel 2014: suo cognato fece “[…] la battuta: “Adesso il ‘Bibbiano’ stanotte non dorme”, cioè il ‘Bibbiano’ era riferito a Mimmo Cannizzaro, che loro, nella sua famiglia, lo chiamano il ‘Bibbiano’ […]”. 

E ancora raccontò di aver chiesto al cognato: “[…] “Ma sto discorso del fotografo c’entrate voi? C’entra Mimmo?” gli ho dello io, ha fatto: “Sto cane – cioè detto al fotografo, no? - sto cane ha rovinato a Raffaele ... “in senso cioè, a come dopo si è chiuso il discorso, 'sto fotografo ha fatto arrestare il cugino quando lui era carabiniere, lì a Tivoli, siccome 'sto cugino, però, non c'entrava in quell'operazione di droga, è stato accusato ingiustamente, no?, e sto cugino è andato fuori di testa mentre era detenuto, non si è mai ripreso più, no? E insieme a lui ci hanno sofferto anche gli zii, no?, cioè la madre e il padre di 'sto ragazzo. E gli hanno dato la colpa al fotografo perché lui non c'entrava niente a questa cosa qua, capito?”. 

E fu sempre Stranges a riferire che, per quanto riguarda l’omicidio di Ventura “[…] come eravamo nella famiglia, ha fatto riferimento a Mimmo, no? che era stato lui e che Gennaro, a come abbiamo capito tra noi, che Gennaro l’ha aiutato: cioè ha usato Gennaro come fargli l'imboscata, no? a portarlo da qualche parte e poi si è vendicato per quello”. 

La condanna a 10 anni per Pulice e la decisione del giudice

Gennaro Pulice è stato condannato, al culmine del processo che si è celebrato con rito abbreviato, a dieci anni di reclusione. A lui il giudice contesta “la sussistenza dell'aggravante della premeditazione” in quanto per l’omicidio erano stati effettuati diversi sopralluoghi, escludendo il laboratorio fotografico e individuando poi il casolare che avrebbe permesso di l’occultamento del cadavere, ritrovato solo dopo 12 anni. 

È stata poi riconosciuta “[…] l'aggravante in esame sia nella forma del metodo mafioso, in considerazione delle modalità con le quali l'omicidio è stato perpetrato, sia nella forma dell'agevolazione dell'associazione mafiosa, alla luce del fatto che il delitto è stato chiaramente perpetrato al fine di vendicare il coinvolgimento di Rao Raffaele ed il suo arresto avvenuto ad opera di Ventura Gennaro e quindi nell'interesse del sodalizio”. 

“[…] La condotta collaborativa dell'imputato Pulice Gennaro, - scrive il giudice - la dichiarazione confessoria con la quale ha riconosciuto la sua responsabilità quale esecutore materiale dell'omicidio di Ventura Gennaro, consente la concessione dell'attenuante ad effetto speciale”.  Inoltre: “[…] il corretto comportamento processuale dell'imputato consente la concessione delle attenuanti generiche. Pena congrua da irrogare, valutati i criteri tutti di cui agli artt. 133 e ss. c.p., ritenuta la continuazione, è quella di anni dicci di reclusione, così determinata: pena base, ergastolo, sostituita ex art. 8 L. 203/91 con la pena di anni quindici di reclusione, ulteriormente ridotta per la scelta del rito alla pena di anni dieci di reclusione”. 

“Dichiarazioni di Pulice connotate da precisione, coerenza e spontaneità”

“In riferimento alle dichiarazioni rese da Pulice Gennaro – sostiene il giudice -  deve essere rilevato che le stesse assumono la valenza di una confessione in quanto il Pulice ha affermato di essere l'esecutore materiale dell'uccisione di Ventura”, e ancora “Le dichiarazioni rese dal Pulice risultano connotate da precisione, coerenza e spontaneità in particolare il riferimento alla descrizione dei luoghi in cui aveva condotto il Ventura, il casolare e la presenza della vasca, il c.d. " Parmiento" ove aveva occultato il cadavere, circostanze queste verificate nel corso dell'attività di indagine il riferimento all'appuntamento dato al Ventura”. 

 “Inoltre – prosegue il giudice - debbono essere evidenziati i numerosi riscontri al dichiarato di Pulice Gennaro costituiti dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Stranges Pietro Paolo”. 

Con la sentenza di condanna il giudice ha disposto anche una provvisionale di 80mila euro in favore dei familiari della vittima, che si sono costituitisi parte civile nel processo. Familiari che ora potranno avviare anche l’iter per il riconoscimento di vittima di ‘ndrangheta ma più che altro, chiudere un capitolo di questa vicenda dopo oltre vent’anni. 

C.S.

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