Lamezia Terme - Il creativo regista ed esperto di effetti speciali Sebastiano Basile racconta a "Il Lametino.it" il suo ultimo film Koi-Zero, il primo film di fantascienza ambientato e realizzato in Calabria con la tecnica del green screen. Lockdown energetico, l’inquinamento e il fenomeno sempre più crescente degli ‘hikikomori’ sono le principali tematiche che Basile ha a cuore, e ha voluto inserire nella trama del film, argomenti che sempre più “fanno ormai parte della nostra realtà”.
Il suo, ha detto, è un progetto open source, utilizzando risorse della nota casa di produzione di videogiochi per ps5, vero?
“Esattamente, il film è stato realizzato con il contributo di alcuni content assolutamente gratuiti e open source di Epic Games utilizzando esclusivamente il loro motore grafico, i personaggi degli alieni invece sono stati disegnati e animati direttamente da me, mentre molti background sono stati digitalizzati oppure ricavati in giro per la città, oppure da immagini di archivio, il progetto è assolutamente ambizioso non solo per la mostruosa mole di lavoro di compositing in 4k per quasi tutta la durata del film, ma anche perché molte clip sono state costruite, nel vero senso della parola, inserendo attori nella stessa scena ripresi in momenti diversi, e non solo, molti attori reali si sono trovati a recitare con attori digitali che nel momento della ripresa erano dei manichini verdi”.
La tecnica con cui è stato girato il film è il green screen, ma cosa significa?
“Il green screen (letteralmente schermo verde), noto anche come chroma key (intarsio a chiave colore) è una tecnica particolare, usata per sostituire lo sfondo in un video. Le scene vengono girate in un set cinematografico indoor, e può essere usato un telo verde che fa da sfondo mentre si gira o le pareti della stanza possono essere dipinte di verde. Nel mio caso ho verniciato un’intera stanza di verde, compreso il soffitto, e ho steso teli verdi sul pavimento. Questa tecnica consente poi di sostituire (in post-produzione con programmi di video editing), lo sfondo verde con un altro di mia scelta, che può essere un paesaggio ripreso da me, una foto o addirittura una scenografia disegnata digitalmente in 3D (come la navicella spaziale, la capsula dell’ibernazione, ecc.). Il concetto su cui si basa la tecnica del green screen è la sostituzione rapida dello sfondo, visto che è di un colore uniforme, nettamente separato dal soggetto ripreso. Ovviamente gli attori non devono vestirsi di verde, altrimenti vengono ‘bucati’ (come si dice in gergo)”.
Qual è stata la difficoltà più grossa nella realizzazione di questo film?
“Sicuramente la difficolta più grande in questo genere di cose è l'animazione e il rendering 3d in 4k che richiede notevoli risorse informatiche, sicuramente non siamo ai livelli di studi importanti hollywoodiani, anche se la piattaforma usata è la stessa, ma nel nostro piccolo è stata davvero un'impresa titanica, in quanto per ricavare un'animazione relativamente semplice occorrono giorni e giorni di lavoro, in genere negli studi hollywoodiani di fantascienza e non solo lavorano decine di persone ad una singola animazione. Alcune animazioni invece sono state ricavate sfruttando la tecnologia della motion capture”.
Quanto dura il film?
“Il film ha una durata complessiva di 90 minuti, ed è suddiviso in due tempi”.
Fra le principali tematiche che con questo lungometraggio vuole affrontare c’è il lockdown energetico e la crescita del fenomeno degli hikikomori accentuatosi con la pandemia degli ultimi 2 anni, ci sono altri temi come l’inquinamento che affronta in questo film?
“Sì, queste sono esattamente le tematiche che mi stavano a cuore e che ho voluto inserire nella trama del film. Da notare che il film è stato ideato un anno e mezzo fa, prima dello scoppio della guerra in Ucraina e prima che il razionamento energetico diventasse realtà, non pensavo potesse accadere così in fretta. Poi il fenomeno degli hikikomori e l’inquinamento fanno ormai parte della nostra triste realtà, quindi è stato naturale parlarne, era quasi un dovere morale. E poi c’è il metaverso, una realtà parallela in cui già ci immergiamo attraverso i videogiochi e che tra non molto prevedo sarà sempre più incisiva in ogni aspetto della vita dei nostri figli e nipoti. È come isolarsi dalla realtà e crearne una nuova, idilliaca o infernale, dipende dal nostro modo di rapportarci con la società e da qui appunto la mia idea di ikikomori strettamente collegata all'utilizzo sempre più intensivo del metaverso in un futuro non molto lontano”.
Quando è nato questo progetto?
“Il progetto è nato circa un anno e mezzo fa, in piena pandemia da Covid e in pieno lockdown. In realtà comunque alcuni personaggi, come il protagonista AL, ce li avevo in mente già da anni. Aspettavo solo una buona occasione per fargli riprendere vita. Il nome del protagonista non è casuale ma in realtà Al starebbe per AI ossia ARTIFICIAL INTELLIGENCE, quindi AI diventa Al”.
Ha fatto altri progetti simili?
“Sì, ma per conto terzi, sia nell’edit sia nel compositing”.
Sono previste altre proiezioni a Lamezia?
“Sinceramente spero di sì, con i miei collaboratori siamo ancora all’inizio dell’organizzazione delle proiezioni. La mia idea è quella di raggiungere ogni quartiere di Lamezia, con proiezioni sia nei piccoli teatri e salette, sia in contesti più grandi e rinomati, ma soprattutto fare conosce l'esistenza della nostra città anche fuori dai nostri confini e far sapere a tutti che anche a Lamezia esiste la fantascienza, e che non sia una prerogativa esclusiva degli americani”.
Gli attori sono tutti lametini, del suo hinterland e calabresi?
“Sì, molti attori sono lametini, altri abitano nell’hinterland, altri ancora di Catanzaro”.
Lei predilige in particolare il cinema coreano e orientale, quale è il regista che apprezza maggiormente e quale è il suo film preferito?
“Il mio regista preferito è David Lynch, tra i suoi film ‘Fuoco cammina con me’ e ‘Una storia vera’. Il mio genere preferito invece è il cinema coreano e apprezzo tantissimo il film coreano “Castaway on the Moon”, che a mio avviso è un film fantastico. In effetti credo che il cinema orientale abbia una marcia in più”.
Francesco Ielà
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