Lamezia, la pittrice Simona Ponzù Donato e le opere donate alla città: "L'arte è impegno sociale"

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Lamezia Terme - Dopo anni artisticamente memorabili trascorsi nella città di Lamezia Terme, Simona Ponzù Donato, creatrice di opere socialmente impegnate, racconta una volta tornata nella sua Sicilia cosa la Calabria le ha lasciato, lungo un percorso fatto di ostacoli e caparbietà, affrontato con la spinta propulsiva che solo l’arte sa dare.

Com’è nata la passione per l’arte e come ha maturato la decisione di dare alla sua un valore sociale oltre che culturale?

"Credo di essere nata con matite e pennelli in mano, non riesco a ricordare un singolo giorno in cui l'arte non ha avuto un ruolo centrale nella mia vita. Si è sempre manifestata in molte forme, in modo molto fluido, l'unico dato costante è la sua presenza quotidiana nella mia esistenza. A un certo punto sono diventata attivista e l'arte, mezzo espressivo con cui racconto me stessa al 100%, è diventato lo strumento perfetto per supportare questo nuovo percorso che stavo intraprendendo. Così il mio attivismo è diventato 'artivismo', per usare un gioco di parole". 

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Cosa l’ha colpita di più di Lamezia – in positivo e in negativo – e della Calabria in generale?

"Al di là del più banale apprezzamento legato alla bellezza della vostra terra, che mi sembra anche scontato ribadire, ciò che mi ha sempre colpito e affascinato è la resistenza e resilienza delle persone che vivono in questi luoghi. La Calabria, cosi come la Sicilia, dove sono nata, ha assistito al costante e continuo saccheggio delle proprie risorse. Ci sono uomini di potere che l'hanno massacrata questa terra, l'hanno violentata fino a lasciare chi la popola con poche briciole di cui accontentarsi e, se è il caso, anche da contendersi. Lavoro, scuola, sanità, in ogni settore o ambito il popolo calabrese deve comunque alzarsi le maniche e dimostrarsi capace di sopravvivere, nonostante i continui colpi che riceve. Direi che una cosa del genere è come minimo un esempio di grande forza e io ho sempre apprezzato questo tipo di esempi".

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La sua attività creativa a Lamezia ha spesso fatto notizia e lasciato dei segni, dalla collezione realizzata per il Centro Screening del “Giovanni Paolo II” al murales sul soffitto della stanza dell’attivista Antonio Saffioti. Quali sono stati i lavori realizzati a Lamezia che ritiene più significativi?

"Ho un grande legame con la famiglia Saffioti, quindi, a livello affettivo, sono legatissima al lavoro realizzato sul soffitto della stanza di Antonio. A proposito di esempi di resistenza e resilienza, la sua vita e la vita della sua famiglia parlano chiaro. É impressionante notare che le persone che hanno sofferto di più sono quelle che non smettono mai di sorridere, di provare amore ed empatia per il prossimo. Per quanto riguarda il centro screening e la collezione "Donne senza Cicatrici", o il logo del centro stesso, sono opere che ho voluto realizzare sia come omaggio alla figura femminile – onnipresente nei miei lavori – sia per raccontare parte del mio vissuto. So perfettamente cosa si prova a convivere con il cancro, l'ho vissuto attraverso l'esperienza di mia madre che è morta due anni fa dopo 25 anni di lotta. Ho sempre visto chi combatte contro questa malattia come un eroe, e merita tutta la mia solidarietà. Un'altra opera di cui vorrei parlare è il murales di venti metri sito in via Tommaso Fusco dedicato alle vittime di 'ndrangheta che aspettano giustizia. Tra i vari volti ho dipinto Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte, le cui famiglie si sono viste portare via due padri, fratelli, mariti, cugini, nonni, usciti per andare a lavorare, senza fare più ritorno. Due cittadini onesti uccisi a tradimento, mentre ancora era buio, senza difesa. Questo sono gli affiliati alla 'ndrangheta e alla mafia: persone vigliacche che strisciano nel buio. Credono di avere il potere, ma in realtà non hanno niente se non il loro essere degli inutili codardi, solo capaci di produrre sofferenza. Ho voluto raccontare le storie dei protagonisti del murales attraverso i loro volti, scrivere i loro nomi e la parola “'ndrangheta” sotto ogni nome, perché è importante identificare i colpevoli ed esercitare la memoria. Ho inserito frasi di speranza, ho dipinto Antonio Gramsci e tutto il suo testo in versione integrale contro l'indifferenza, perché bisogna lottare tutti insieme e nessuno può sottrarsi, solo uniti si vince. Le famiglie Tramonte e Cristiano chiedono da anni la riapertura del caso, e desidero usare la mia voce per chiedere a chi di dovere di supportarle: a livello umano fate che questo diventi vostra priorità. I loro familiari sono familiari di tutti e ciò che è successo riguarda l'intera collettività".

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Cosa la spinge a continuare a creare, in una situazione socio-culturale di crisi, che spesso non facilita il lavoro dei giovani artisti?

"Non credo che riuscirei a fare altrimenti. Non creare sarebbe come cucirmi la bocca e io sono una di quelle persone che zitte non potrebbero mai stare: sono stata educata a prendere una posizione e a espormi in modo diretto, senza mezzi termini. Oltretutto ho scelto di rimanere al sud, e qui la difficoltà è doppia: il lavoro dei creativi non viene preso sul serio, anzi. Non sai quante volte mi è stato offerto il pagamento “in visibilità”, come se fosse possibile poi pagarci la spesa o le bollette. Ma sono una persona molto testarda, per me restare è anche un messaggio per chi è più giovane di me: si resta e si lotta per creare bellezza e cultura qui, sicuramente una scelta più difficile ma che porta i suoi frutti, e dà più soddisfazione quando si ottengono i risultati".

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In cosa è impegnata in questo momento a livello artistico? Ha dei progetti per il futuro?

"Non mi fermo mai. Ho un'attività social come Content Creator, e in quanto tale devo costantemente stare al lavoro. Ultimamente ho spostato il mio interesse verso un tema che per anni è stato tabù, ovvero quello del disagio sociale, della salute mentale e dello stigma su essa. Il Covid ha slatentizzato molte patologie psicologiche e psichiatriche, ha fatto emergere nelle persone i tratti patologici e al contempo ha alzato muri, creato nuovi traumi e ferite. Ho sempre sostenuto che la nostra società è traumatizzante, fatta di odio e discriminazioni, un contesto in cui prospera il male. Ho deciso di realizzare su queste tematiche un progetto grafico da divulgare attraverso Instagram: il progetto si chiama “Disegni che ho dentro”. Questa pagina, nata ad Agosto, cresce molto rapidamente ed è uno strumento che mi consente di avere molti contatti, tra cui quelli editoriali, infatti sono stata contattata per proporre del materiale e a breve usciranno sei cataloghi con le mie illustrazioni. La cosa più soddisfacente comunque è che il mio lavoro in tal senso offre supporto a tante persone che mi contattano privatamente per manifestarmelo: questo per me significa veramente tanto. Di recente ho aperto anche Tik Tok (attualmente in fase di sperimentazione), a supporto del lavoro illustrato. Aggiungo inoltre che da quando sono rientrata a Messina, ho avuto modo di prendere contatti con colleghi e stiamo facendo rete: altra cosa che trovo bellissima è il supporto reciproco".

Giulia De Sensi

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