Lamezia, viaggio fra le botteghe artigiane e gli antichi mestieri: storia e memoria della città

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Lamezia Terme - Tracce visibili di un passato ancora vivo, memoria condivisa di un’intera comunità: sono le botteghe artigiane, tesori nascosti nel tessuto urbano di un centro storico dove le arti e i mestieri antichi non muoiono, ma vengono tramandati di padre in figlio, a volte fino alla quinta generazione. E di questi tesori la città è ricca e testimone di una laboriosità antica che si snoda nelle vie lasciando visibile traccia di sé. È il caso del laboratorio orafo del Maestro Eugenio Rocca, su Corso Numistrano, dove nascono ancora oggi gioielli creati a mano, e la produzione propria rappresenta la vocazione dell’impresa, accanto ad una parte di vendita al dettaglio. La bottega si occupa anche della creazione di oggetti sacri – fra cui un ostensorio di 15 chili in metallo prezioso e pietre per il Santuario di Sant’Antonio – e della riproduzione di monili e monete antiche destinate all’esposizione – un’intera collezione è esposta al Museo Archeologico di Reggio. “Tutto è cominciato nel 1898 con la mia bisnonna, Giovannina Cannistrà” racconta Eugenio in abito da lavoro, “poi è stata la volta del nonno Nicola Rocca, che ha lasciato l’attività a mio padre Aldo. La prima bottega era in Piazza Mercato Vecchio e io ci sono cresciuto dentro insieme ai miei fratelli – uno, con i figli, vende al dettaglio qui accanto. Inizialmente io facevo solo da garzone dopo la scuola, poi ad accorgersi che avevo talento per creare è stato mio nonno, così ho frequentato l’Istituto d’arte a Napoli e ho proseguito l’attività, che passerà a mio figlio Giulio”. Il giovane Giulio Rocca, che ha solo 22 anni, studia a Roma come designer del gioiello presso lo IED (Istituto Europeo di Design) e di recente ha vinto una borsa di studio per uno stage di sei mesi da Bulgari. Altre curiosità? “Abbiamo realizzato più volte gioielli per personaggi politici, fra cui uno per la moglie del Presidente Napolitano durante la sua visita a Lamezia nel 2009”.

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L’artigianato lametino, dunque, è fatto di cose belle, ma anche di cose dolci. Ne sanno qualcosa alla pasticceria Federico, la prima pasticceria di Nicastro, attiva sempre da fine ‘800, prima su Corso Numistrano poi in Piazza Mercato Vecchio, e fondata da Francesco Federico, bisnonno dell’attuale proprietario Luigi, i cui discendenti sono pronti a proseguire. Luigi, figlio di Giuseppe, porta il nome del nonno, noto in città come “Giginuzzu”, il pasticcere che portò alla fama la storica granita alla mandorla della tradizione lametina: parliamo della “Muzzunata”, ancora oggi specialità della casa, che viene gustata a partire da fine marzo inzuppata con l’immancabile “Brioscia col tuppo”. Più bianca della granita siciliana, perché filtrata, la Muzzunata veniva un tempo ottenuta schiacciando le mandorle col pestello e unendole all’acqua e zucchero. “Oggi ci aiutano macchinari più moderni”, spiega Luigi, “ma uniamo sempre la sapienza delle nostre mani artigiane”.

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Anche a Sambiase le cose buone non mancano, in particolare al fornaio “Dalla Napoletana”, primo forno della frazione. L’attività è stata fondata nel 1948 dai coniugi Di Giacomo, venuti da Nocera Inferiore, dopo aver saputo per interposta persona dell’assenza di forni nel piccolo paese della piana. Ad oggi, il forno – che produce anche pizze, panettoni e dolci tradizionali – è gestito dalla terza generazione: “Non nasco panettiera”, dice la nipote dei Di Giacomo, Paola Scaramuzzino, “ma dopo la morte dei nonni ho deciso di prendere in considerazione la possibilità di continuare, e li sento entrambi molto vicini in questa mia scelta”.

Spostando l’attenzione su via Capitano Manfredi, troviamo seminascosta la bottega dell’ultimo lattoniere di Nicastro: è “Mastru Benitu”, aperto dalla metà del secolo scorso – dapprima su via dei Mille. In realtà non ha appreso l’arte dal padre ma, come si usava un tempo, andando a fare l’apprendista da un bottegaio quand’era ragazzino, dopo l’avviamento. “Mi piaceva lavorare con le mani” ci dice mostrando le dita consumate fra gli imbuti, le latte, e una quantità di altri piccoli oggetti artigianali, appesi alle pareti del suo minuscolo negozio. La sua attività, destinata a perdersi dopo di lui, rappresenta una delle più suggestive reminiscenze del passato della città. Come il Mulino di Sant’Antonio, impresa che invece, grazie anche alle attuali politiche agroalimentari, sembra fortunatamente destinata a continuare a vivere. Creato subito dopo l’ultima guerra, nel 1946, e originariamente ubicato proprio sul ponte di Sant’Antonio, il mulino è stato avviato alla produzione da Rosario Cianflone, nonno dell’attuale omonimo proprietario. “Lavoriamo soprattutto grano duro nazionale e tenero francese” spiega il giovane titolare, con una punta di rammarico per la scomparsa, sul territorio lametino, di varietà locali in quantità sufficienti da essere diffuse su larga scala.

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Sempre rimanendo nel centro storico di Nicastro, e salendo verso la Cattedrale, troviamo la bottega dell’orologiaio Caputo. Fondata nel 1931 da Vincenzo Caputo, la bottega è oggi di proprietà della nipote Giovanna, figlia di Ugo, che, come gli altri suoi fratelli, è rimasto nel ramo, grazie ad una passione foriera di frutti che ha contagiato praticamente tutta la famiglia: anche la nipote di Giovanna, Maria Antonietta, ha infatti aperto poco distante un suo laboratorio. “Mio zio Bruno” racconta Giovanna, “ha creato un orologio prezioso per Papa Benedetto XVI durante la sua visita a Lamezia nel 2011, e in questo laboratorio è stata realizzata anche la Chiave d’Oro per il Santuario di San Francesco di Paola a Sambiase”. Talvolta però l’arte, prima di toccare certe vette, deve partire dai piedi. Timido come quasi tutti gli artigiani, ma enormemente operoso, è il calzolaio Tommaso Barba Castagnaro: la sua piccola bottega di via Trento è ricolma di calzature e pelli di ogni tipo e misura. A cominciare, nel 1958, è stato suo padre Giuseppe, poi emigrato per lavorare in Svizzera e a Milano, e ritornato nel 1977 per proseguire l’attività insieme a lui. Rinomato per la sua abilità, Tommaso si occupa talvolta anche di ritoccare le calzature per adattarle a piedi particolari, che hanno bisogno, per ragioni sanitarie, di centimetri in più, suole, svasature e sopratacchi. Lo segue, ma solo con lo sguardo, il figlio adolescente, che porta però il nome del nonno. La bottega a quanto sembra in terza generazione sparirà, ma ha offerto nuove possibilità al suo futuro, e, come tutte le altre, un enorme impagabile servigio alla città. Queste solo alcune delle botteghe di cui la città è ricca e attorno a cui si articola il passato nobile di mestieri che hanno contribuito a scrivere la storia recente e antica di Lamezia.

Giulia De Sensi

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