“Questo è per te!”

Scritto da  Pubblicato in Angelo Tedeschi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

angelo-tedeschi_2167e_d8d10_549ff_e6b5a.jpg(quarta puntata)

La materia per me più impegnativa era il latino e ad essa la professoressa Zagli dedicava massima attenzione. In proposito, c’era una spiegazione, sia pure  parziale:  la scuola media faceva parte di un austero edificio al cui piano superiore erano allogate le aule del più prestigioso liceo classico del capoluogo e della provincia. Dunque, era normale per gran parte degli studenti iscritti alla “Carducci” aspirare a proseguire gli studi in quel ginnasio. Ma, per accedere al “Seneca” era all’epoca necessario superare l’esame, scritto e orale,  di latino. Prima ancora di affrontare questo esame, era indispensabile ottenere il giudizio di ammissione. A sua volta, questo giudizio era connesso al profitto maturato nei tre anni di scuola media inferiore. E il profitto dipendeva da molti fattori. 

Da molti fattori… Sebbene i miei sforzi fossero massimi, i risultati vagavano su una sufficienza stentata. Ricordo che durante le vacanze estive, traducevo diversi brani assegnati dalla professoressa proprio per conservare l’allenamento. Ma, nonostante ciò, la mia carburazione era lenta e spesso foriera di dispiaceri. Anche in italiano avevo incontrato difficoltà, soprattutto nei temi in classe. Ricordo l’esito disastroso del mio primo compito: quattro! Ero convinto di aver svolto un elaborato decente per cui il voto scritto a penna rossa sull’ultima facciata del foglio protocollo ripiegato in due, sotto al mio cognome, nome e sezione, costituiva un amaro risveglio. Rammento che la professoressa, nel corso del primo colloquio con mia madre, disse, scuotendo la testa e socchiudendo gli occhi,  che per migliorare il mio italiano scritto dovevo a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e leggere libri ed esercitarmi nella scrittura. E mi rivolse un mezzo sorriso, dal significato indecifrabile. Ovviamente aveva ragione. In effetti leggevo poco e le mie letture erano quasi del tutto rappresentate da fumetti. Quindi, temendo di essere rimandato a settembre o, peggio, bocciato a fine giugno, decisi di iniziare a leggere romanzi avventurosi scritti da autori tipo Alexander Dumas (padre), Emilio Salgari e Jules Verne. 

Insomma, in un modo o nell’altro, restavo a galla. Forse, nella mia ipersensibilità, vivevo male l’atteggiamento scettico della professoressa nei miei riguardi. Sentivo di essere portato verso le materie letterarie ma non riuscivo a esprimere questa inclinazione. Mi sentivo bloccato e avvertivo il bisogno di un benevolo incoraggiamento da parte di chi ricopriva un ruolo determinante nella mia formazione. Purtroppo non potevo pretenderlo, questo incoraggiamento. Trascorsero così due dei tre anni di scuola media. All’inizio del terzo anno avvenne un episodio che incise sui rapporti con la professoressa.  Durante un intervallo in bagno, incrociammo alcuni studenti della prima “C” i quali chiesero come fossero i professori della comune sezione. Io e un altro paio di compagni, stuzzicati nella vanità e nel senso di superiorità per il fatto di frequentare l’ultimo anno, cominciammo a imitare i nostri docenti, nessuno escluso. Io commisi un grave errore: imitai l’andatura della professoressa Zagli. 

Fin qui nulla di trascendentale considerate anche le circostanze di tempo e di luogo e, soprattutto, il tradizionale, scherzoso sfottò verso il corpo docenti. Forse, la mia parodia era espressione del bisogno di esorcizzare una figura percepita in modo distaccato, forse esprimeva la necessità di umanizzare una docente ritenuta, non solo da me, ma anche dagli altri compagni, poco comunicativa. La professoressa, tanto per intenderci, non aveva remore a esprimere il suo disappunto anche su questioni invasive della sfera privata degli studenti. Ad esempio, un giorno interrogò alla cattedra lo studente Vito Cascella, uno di quelli messi non proprio bene anche a causa di gravi vicende familiari. Ricordo che ad un certo punto la professoressa lo squadrò, fece un sorrisetto a labbra strette ed esclamò con voce sarcastica: “Com’è spooorco il tuo maglione!”

Se ancora oggi ricordo la scena, significa che sono rimasto molto colpito. Una forma di empatia ha quasi fatto ricadere su di me l’umiliazione del povero Vito, mortificato nell’amor proprio dinanzi a tutta la classe. Ma la professoressa era così, sottile e pungente nelle sue osservazioni. Riusciva a governare la classe con il suo carisma autoritario ben al di sopra di quello degli altri docenti della scuola. 

di Angelo Tedeschi 

© RIPRODUZIONE RISERVATA