Lamezia, Corte d'Appello condanna Gianpaolo Bevilacqua a 5 anni e 4 mesi di reclusione

corte-ap-bevil_e52f5_3b879_5b59d.jpg

Lamezia Terme - La corte d'Appello di Catanzaro (presidente Domenico Commodaro e, a latere i giudici Giovanna Gioia e Angelina Silvestri) ha condannato Gianpaolo Bevilacqua, ex consigliere provinciale ed ex vicepresidente del Cda della Sacal, a 5 anni e 4 mesi di reclusione, 600 euro di multa, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché al pagamento delle spese processuali e al pagamento di 1.800 euro alle parti civili. Giampaolo Bevilacqua era accusato concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. A giugno 2018 la Corte di Cassazione, seconda sezione presieduta da Piercamillo Davigo, aveva deciso di annullare con rinvio la sentenza di secondo grado con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro aveva assolto il politico coinvolto nel 2013 nella maxi operazione “Perseo”, accusato di estorsione e concorso esterno in associazione mafiosa.

Per Gianpaolo Bevilacqua, difeso dall’avvocato Francesco Gambardella, era arrivata la condanna in primo grado: era decaduta l’estorsione e gli erano stati inflitti 4 anni e 8 mesi per concorso esterno. Poi l’assoluzione in secondo grado perché “il fatto non sussiste”. Dopo l’accoglimento del ricorso presentato dalla Procura Generale è stato deciso l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello da parte della Suprema Corte. Fino ad arrivare all'udienza del 4 novembre scorso, durante la quale è stata pronunciata la sentenza di condanna.

La nota di Gianpaolo Bevilacqua

L'ex consigliere provinciale ed ex vicepresidente della Sacal, interviene dopo la sentenza di condanna, inflittagli nei giorni scorsi dalla corte d'Appello di Catanzaro, a 5 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di estorsione e concorso esterno in associazione mafiosa.

"Avrei fatto volentieri a meno di essere il protagonista del clamore sollevatosi a seguito di una decisione giudiziaria che, nel ribaltare precedenti decisioni con cui, occupandosi dello stesso tema, avevano concluso dichiarando la mia innocenza, mi ha oggi ritenuto responsabile die gravi fatti addebitatemi. Ciò che mi angoscia è che tale giudizio di condanna è stato pronunciato dallo stesso giudice che prima mi aveva assolto. Dire che abbia fiducia nella giustizia mi sembra stucchevole e retorico. Ovviamente credo nella giustizia ma non posso negare un legittimo disorientamento nel patire un sistema che possa, sulla base delle stesse prove, legittimare opinioni (che si traducono in sentenze) di segno completamente opposto. Si passa dall'innocenza alla colpevolezza in base all'approccio dell'uno o dell'altro che deve valutare le stesse prove. Sono preoccupato ma nello stesso tempo sicuro della mia estraneità a qualsiasi fatto delittuoso. Ed è questa la mia forza. Diversamente dovrei lasciarmi andare allo scoramento e all'abbandono. Così non è e non sarà mai. Ovviamente sono ansioso di leggere le motivazioni della sentenza di condanna a morte pronunciata nei miei riguardi e capire, innanzitutto, come sia possibile addebitarmi condotte mafiose. Certamente è un ulteriore passaggio di una vicenda che non si conclude qui e che avrà certamente un seguito che dovrà riconoscere il gravissimo errore di valutazione di chi ha dichiarato la mia morte civile".

© RIPRODUZIONE RISERVATA