Processo Andromeda: il duro colpo ai Iannazzo-Cannizzaro-Daponte

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Lamezia Terme – “Abbiamo dato più libertà a politica, imprenditori e cittadini” commentava così l’allora Procuratore Capo della DDA catanzarese, Vincenzo Lombardo che presentava, due anni fa, i risultati delle indagini che avevano portato allo scacco della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Una frase che racchiudeva la soddisfazione per aver messo la parola “fine” sull’ultima, in ordine di tempo, delle organizzazioni criminali che governavano Lamezia.

Con la sentenza, storica, pronunciata ieri sera dal giudice De Gregorio, si è chiuso così il primo atto sulla vicenda giudiziaria che ha visto protagonisti capi, gregari, affiliati della cosca Iannazzo, Cannizzaro-Daponte. Nessun provvedimento giudiziario, infatti, né alcun processo, avevano colpito la cosca in maniera così incisiva, a tal punto, da accertarne l’associazione mafiosa. La famiglia Iannazzo e i Cannizzaro Daponte avevano il pieno controllo su una parte di Lamezia Terme: tutta la zona di Sambiase, Sant’Eufemia, San Pietro Lametino, e tutta la zona industriale dell’Ex Sir, la zona dell’aeroporto, Gizzeria, Falerna e Nocera. Mani su una parte della città, con una propensione a quella che può essere definita “ndrangheta imprenditoriale”. Un’udienza, quella di ieri, lunga, con le repliche di difensori e pubblico ministero, e una lunghissima Camera di Consiglio che ha “partorito” poi la sentenza: 33 condanne e 6 assoluzioni.

Tra le condanne, anche quelle a coloro che vengono identificati come i capi: il 61enne Vincenzino Iannazzo, U Moretto”, a cui è stata inflitta una pena a 18 anni di carcere, 14 anni per Gino Giovanni Daponte e 12 anni a Domenico Antonio Cannizzaro, detto Mimmo. Ben più pesanti le pene per i fratelli Bruno e Alfredo Gagliardi e per Angelo Anzalone, tutti e tre condannati alla massima pena dell’ergastolo, ritenuti elementi di spicco della cosca e anche membri attivi del cosiddetto “gruppo di fuoco”. Le altre condanne emesse vanno da un minimo di quattro mesi ad un massimo di 30 anni, inflitti a Vincenzo Torcasio, detto "'u Giappone". Tra le persone condannate anche l'imprenditore lametino Claudio Scardamaglia, attivo nel settore della grande distribuzione alimentare, al quale sono stati inflitti 11 anni, accusato tra l‘altro, come emerso dalle indagini, di aver impedito, insieme a Pietro Iannazzo, la realizzazione del supermercato “Lidl”.

Una sentenza “pesante” per il clan ha inflitto all’incirca 300 anni di carcere: con questa sentenza, allora, si conferma praticamente l’impianto accusatorio dell’accusa. Le richieste di condanna del pubblico ministero Elio Romano, tra l’altro, non si discostavano molto da quanto deciso dal giudice. Tutto era partito con l’operazione messa a segno nel maggio del 2015: una mega inchiesta, la terza in ordine di tempo, portata avanti dalla Dda di Catanzaro per colpire le organizzazioni criminali operanti su Lamezia. A poco a poco, le forze dell’ordine e gli inquirenti, anno per anno, le hanno “fatte fuori” tutte. Si è partiti nel 2012 con Medusa, nel 2013 si è proseguiti con Perseo, e si è dato il colpo di grazia sulla cosca Giampà, nel 2014 è stata la volta dell’operazione Chimera, che ha stroncato i Cerra-Torcasio-Gualtieri, mentre nel 2015 è stata la volta dei Iannazzo- Cannizzaro Daponte. Insomma, l’attenzione su Lamezia è sempre stata alta.

Dopo le operazioni sono cominciati i processi: questo, in particolare, ha preso il via un anno dopo gli arresti: l’8 luglio 2016. Una parte di imputati, la più consistente, ha chiesto di essere processato con rito abbreviato, altri invece, tra cui l’imprenditore lametino Franco Perri, secondo l’accusa colluso con i Iannazzo, hanno scelto il rito ordinario e il processo è in corso al Tribunale di Lamezia.

Capitolo importante, per questo procedimento, i collaboratori di giustizia: due anni di indagini, coordinate dalla Dda catanzarese, allora diretta dal procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e condotta dalla Squadra Mobile di Catanzaro, allora diretta da Rodolfo Ruperti e dalla Dia di Catanzaro con la partecipazione anche della Guardia di Finanza, avevano portati agli arresti. Nelle indagini c’erano finite anche le intercettazioni, e anche le dichiarazioni, nonostante le reticenze iniziali, di qualche imprenditore vessato. Ma un importante contributo all’operazione era stato dato dai collaboratori di giustizia.

Quegli stessi collaboratori di giustizia che il pubblico ministero Elio Romano aveva definito, nel corso della requisitoria, “assolutamente credibili e attendibili”: oltre ai nomi di ex appartenenti alla cosca Giampà, si ritrovano anche nomi di coloro che della cosca prima facevano parte. Matteo Vescio, uomo di fiducia di Pietro Iannazzo, e di Pietro Paolo Stranges, cognato di Giovanni Cannizzaro, ma anche quello di Gennaro Pulice, elemento di spicco del clan, killer “ufficiale”, battezzato con l'ultima dote ricevuta nel 2002/03 con la "santa" da Peppe Daponte, ha deciso di intraprendere il percorso collaborativo nel giugno del 2015, dopo l’arresto nell’Operazione Andromeda. A loro si aggiungono poi, quelli più recenti: Domenico Giampà e Andrea Mantella, quest’ultimo ex esponente di spicco del clan Lo Bianco di Vibo Valentia, ed ascoltato in aula proprio in una delle ultime udienze di questo processo.

Oltre alle condanne, anche sei assoluzioni: Peppino Buffone, Antonello Caruso, Antonio Iannazzo, Antonio Liparota, Vincenzino Lo Scavo, Peppino Marrazzo, assolti, dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa, per non aver commesso il fatto.

Per quanto riguarda il risarcimento per le parti civili, al Comune di Lamezia (rappresentato dall’avvocato Restuccia) e all'associazione antiracket "Ala" (rappresentata dall’avvocato Carere) andranno 80mila euro, 70mila euro ad Armando Mazzei, 150mila euro a Salvatore Mazzei, 100mila euro a Vincenzino Strangis.

Questa le condanne inflitte: Bruno Gagliardi, Alfredo Gagliardi, Angelo Anzalone è stato inflitto l'ergastolo; a Vincenzo Torcasio 30 anni, a Vincenzo Iannazzo 18 anni di reclusione e 10 mila euro di multa; a Pietro Iannazzo 14 anni e 8 mesi, 14mila euro di multa, ad Antonio Provenzano 14 anni e 8 mesi, 10 mila euro di multa, ad Antonio DavoliGiovannino Iannazzo, Santo Iannazzo, Emanuele Iannazzo, 14 anni di reclusione e 10 mila euro di multa; a Gino Giovanni Daponte 14 anni; a Domenico Antonio Cannizzaro (classe’66) e Francesco Iannazzo 12 anni; a Claudio Scardamaglia 11 anni e 4 mesi e 14mila euro di multa; a Francesco Mascaro 10 anni; a Gregorio Scalise 8 anni e 6mila euro di multa; a Vincenzo Giampà 8 anni e 8 mesi, 16mila euro di multa; ad Adriano Sesto, Domenico Cannizzaro (classe ’75), Antonino Cannizzaro (classe ’79), Mario Chieffallo, Antonio Chieffallo, Peppino Daponte, Salvatore F. Pontieri, Pasquale Lupia, S.D.M. 8 anni (assolto in appello); ad Antonio Muraca 4 anni e 8 mesi e 10mila euro di multa; ad Angelo Provenzano 1 anno e 6 mesi di reclusione; per Natalie Zingraff la condanna è stata di 4 mesi e 200 euro di multa con pena sospesa e non menzione ed è stataassolta dal capo 1 (partecipazione all’associazione mafiosa) per non aver commesso il fatto. 

I tre collaboratori di giustizia soono stati condannati alle pene di: Gennaro Pulice a 8 anni; Pietro Paolo Stranges a 4 anni e Matteo Vescio a 4 anni e 8 mesi. 

Tanti gli imputati, altrettanti gli avvocati: il collegio difensivo era composto tra gli altri, Andricciola, Careri, Canzoniere, Cerra, Gambardella, Mancini, Larussa, Cerminara, Muscimarro, Rania, Ferraro, Folino, Staiano, Pittelli, Zofrea, Cicino. 

Claudia Strangis

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