Lamezia: La Impacciatore porta in scena il suo monologo al teatro Politeama

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Lamezia Terme, 10 febbraio - È la storia di un amore, disperato, immobile, costretto ad una sedia d’antan, per le tante incomprensioni nascoste dietro mani che asciugano lacrime o strappano vite, per le tante cose non dettte, o meglio dette troppo trardi, quando ormai una donna si è ritrovata a dover raccontare tutto con voce increspata dal pianto, interrotto e arruffato come l’acconciatura di quell’ultima sera. 

Ad un nuovo appuntamento con la stagione di Prosa, sul palco del Teatro Politeama di Lamezia Terme, su uno sfondo fiorato, di fiori che non rilasciano né gioia né profumo quando di quel tormento restituiscono a fatica i colori sulla carta da parati, Sabrina Impacciatore è stata quella voce e quel volto struccato, impastriccato di rimmel e dolore, lungo una confessione d’autore sentita e ispirata, intimamente concessa fin dentro le viscere: “Gli ho detto: - Dimmi la verità - e ha detto: - Quale verità”.

Per la regia di Valerio Binasco, dietro un ritratto di luci e scene di Laura Benzi, con musiche originali di Arturo Annecchino e il costume curato da Sandra Cardini, è andato in scena “È stato così”, tratto dal romanzo omonimo del 1947 di Natalia Ginzburg; riversatosi in un monologo ininterrotto, incessante per poco più di un’ora, cadenzato dai ricordi e lungo quanto un unico e solo, fino ad essere dirottato verso l’epilogo drammatico e irrecuperabile, “un treno lungo lungo con una grossa nuvola di fumo nero”.

È per raccontare un matrimonio di due inconciliabili solitudini che quelle pagine si fanno teatro, per narrare in un coro per voce sola una storia attraversata da due incolmabili abbandoni, quando ognuno si ama per sé e si fa vera e cocente l’evenienza che lui ha un’altra che invece a sé lo attira e lo conduce: “... lui che si sporgeva dal finestrino e salutava col fazzoletto”.

Un testo scarno, quanto malinconico e a tratti pessimista, sotto luci che non sono della ribalta, ma soffuse e a singhiozzo su quell’unico ritratto di donna che non cerca pietà né vie d’uscita, ma quasi soltanto l’ascolto di quell’ultima, intima e drammatica sequela di parole: “Gli ho sparato negli occhi”.

Pasquale Allegro

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