“Doppia traccia”, i mondi paralleli della Pfm e Fabrizio De André conquistano Borgia

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Borgia – Un nuovo tour per collegare due mondi apparentemente distanti ma, in realtà, così complementari da divenire quasi inscindibili, indivisibili, anzi, imprescindibili. Da un lato, la Pfm, forse il principale monicker ad aver assimilato le intuizioni d’oltremanica che, sul finire degli anni ’60, grazie a band come Pink Floyd, Yes, King Crimson o Genesis, diedero il via a quella autentica rivoluzione musicale, mirata a elevare il rock a vera e propria forma d’arte, denominata progressive. Dall’altro, Fabrizio De André, uno dei più importanti cantautori italiani, il poeta degli sconfitti, il ponte ideale tra gli chansonnier francesi degli anni ’50 e il folk del Greenwich Village: da Bob Dylan, il primo a flirtare con l’elettricità e rinnovare la canzone di protesta, a Leonard Cohen, probabilmente il massimo esempio del legame tra musica e poesia. Due mondi destinati a incontrarsi definitivamente, dopo gli approcci de “La Buona Novella”, nel 1978, per una tournée capace di segnare “un solco lungo il viso” della musica italiana.

Una parentesi talmente felice da esser rievocata costantemente durante i concerti della Premiata Forneria Marconi, come accaduto, ieri sera, al Borgia Summer Vibes, nell’unica tappa calabrese del “Doppia Traccia Tour”, dedicato proprio ai due volti del gruppo prog italiano più famoso al mondo, ancora sugli scudi dopo oltre cinquant’anni di carriera. Soprattutto dal vivo, dimensione ideale per ripercorrere, nel corso di due set distinti, sia gli highlights di quella fantastica storia ben più lunga di un minuto, sia i brani più amati del sodalizio con l’indimenticato Faber, immortalato in un doppio live dal gran successo (“Fabrizio De André in concerto - Arrangiamenti PFM Vol. I & II”) in grado di dare nuova linfa alle composizioni del cantautore genovese. Nonostante le differenze di approccio e sonorità, non si tratta, però, di “Mondi Paralleli”, opening già paradigmatica tratta dall’ultimo album in studio, “Ho Sognato Pecore Elettriche” (2021), concept fantascientifico in cui il prog incontra l’immaginario cyber-punk di Philip K. Dick, posto a inizio concerto con le suggestioni electro (siamo dalle parti di Battiato) de “Il Respiro Del Tempo”. Il lato più pop del repertorio Pfm vien poi fuori con i due estratti da “Suonare Suonare” (1980): la titletrack e, soprattutto, “Maestro Della Voce”, vibrante omaggio al sommo Demetrio Stratos da annoverare tra le principali hit della band milanese.

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Sarà, però, l’unica concessione al mainstream di una setlist chiaramente prog oriented, condotta verso territori quasi metal dai funambolici intrecci tra chitarra (un Marco Sfogli in grande spolvero) e tastiere (il duo Alessandro Scaglione e Luca Zabbini, quest’ultimo anche alla voce) sull’incessante drumming di Eugenio Mori e del frontman Franz Di Cioccio. Determinante, in tal senso, proprio l’apporto di Sfogli, rientrato temporaneamente al posto dell’infortunato Giacomo Castellano, in precedenza chiamato a sostituire un mostro sacro come Franco Mussida dopo l’esperienza accanto a James LaBrie, frontman dei Dream Theater. Trascorsi abbastanza evidenti in un brano dalle sonorità già robuste come “Cyber Alpha” (da “Stati D’Immaginazione”, del 2006), ma anche nell’unica concessione a “Pfm In Classic” (2013), dedicata al connubio tra rock e musica classica (“Romeo & Giuletta: Danza Dei Cavalieri” di Prokofiev). Un trattamento riservato persino ai classici del debut “Storia Di Un Minuto” (1972),tra le pietre miliari di tutta la musica italiana: “Dove… Quando…”, “La Carrozza di Hans” e, ovviamente, l’anthem “Impressioni Di Settembre”, introdotta dal violino da brividi di Lucio Fabbri e urlata a squarciagola da tutta Piazza SS. Rosario.

È il preludio all’attesa sezione dedicata alla partnership con l’amico Faber, raccontata dal bassista Patrick Djivas prima della vera sorpresa della serata: “La Canzone Di Marinella” cantata dalla voce registrata dello stesso De André, sorta di spirito guida di Di Cioccio soprattutto nei momenti più riflessivi (la splendida “Giugno ‘73” e “L’Infanzia Di Maria”). Discorso diverso per la consueta baraonda finale di “Volta La Carta”, il cajun country in gallurese di “Zirichiltaggia” e “Il Pescatore”, accompagnata dal sing along di un pubblico ormai in visibilio. In chiusura un solo encore, ma di quelli irrinunciabili: “Celebration” (“È Festa”), impreziosita dalla reprise di “Impressioni Di Settembre”, ultimo esaltante atto con cui tener fede anche a quella “sequenza circolare” tanto cara al prog tricolore (vedi Locanda Delle Fate). Finisce così, con un solco lungo il viso, come una specie di sorriso. Il sorriso di chi ha avuto la fortuna di prender parte all’ennesima celebrazione di una storia semmai immortale, affatto scalfita dallo scorrere inesorabile del tempo e dalle sue derive digitali. La storia della Pfm e di Fabrizio De André. 

Francesco Sacco

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