(Foto di Marco Cimino)
Maida – Da “Amarsi Un Po’” a “Volevo magia”, come cantavano i Verdena nella titletrack del loro ultimo album in studio, pubblicato sul finire del 2022 dopo un’attesa quasi estenuante. Perché sono trascorsi più di otto anni dal precedente “Endkadenz”, doppio volume che, nell’estate del 2015, portò la band dei fratelli Ferrari a esibirsi anche in Calabria. Dove? Ma al Color Fest, ovviamente. Si trattava, per la precisione, della terza edizione, all’epoca concentrata in un solo, intensissimo giorno che, tra l’altro, poteva vantare in line-up altri nomi di un certo calibro quali Iosonouncane (poi tornato con il radicale “Ira” nel 2021) e Soft Moon, progetto del primissimo ospite internazionale della manifestazione ideata dall’associazione Che Cosa Sono Le Nuvole: Luis Vazquez. Da allora, il festival è cresciuto, è cambiato, si è evoluto per certi aspetti, affermandosi come uno dei principali punti di riferimento in ambito indie (per quel che ormai può valere tale definizione) di tutto il Meridione. Ma la magia, al di là del ritorno dei Verdena, è rimasta. Ne è prova la grande affluenza di pubblico dell’Agriturismo Costantino di Maida, ormai location consolidata dell’ennesima edizione monstre composta da ben venti artisti con cui abbracciare – as usual – generi diversi, trend del momento e nomi storici sempre fedeli allo spirito alternativo alla base di quella folle idea chiamata Color. Basti pensare, a proposito di comeback, all’accoppiata Giorgio Canali-Praino, segno tangibile del legame con un passato mai dimenticato. Ma c’è un forte senso di continuità anche nelle pulsazioni disco chic di Napoli Segreta, poste in chiusura della seconda giornata ad appena un anno di distanza dal travolgente carrozzone funk firmato Nu Genea, per non parlare delle suggestioni world di Seun Kuti (figlio del sommo Fela Kuti, pioniere dell’afrobeat) e dell’evento probabilmente più atteso dell’estate targata Color: quei Franz Ferdinand arrivati a Maida per l’unica tappa in tutto il Centro-Sud del tour di supporto al loro primo greatest hits, “Hits To The Head”, occasione ideale per ripercorrere una carriera ventennale che li ha imposti tra i maggiori esponenti della first wave del post-punk revival. Una data esclusiva resa possibile grazie alla partnership con un’altra importante realtà del territorio: il Be Alternative, che giusto un paio di settimane fa ha inaugurato la sua serie di concerti in Sila con i Nu Genea. Insomma, corsi e ricorsi storici, verrebbe da dire, per un evento di cartello co-prodotto da due festival affini per direzione artistica e unità di intenti, a quanto pare. Una fusione dai risultati ben poco cronenberghiani, fortunatamente, ma in effetti c’era da aspettarselo con un nome così. È questa la ciliegina sulla torta di un’altra edizione di successo, cresciuta gradualmente, fino a raggiungere il sold-out, dopo una prima giornata, in realtà, un po’ in sordina (soprattutto se rapportata a Day I e Day II).
Day I
Si potrebbe definire, con qualche piccola eccezione, il giorno della Generazione Z, in bilico fra trap, sonorità elettroniche a tratti esasperate e proposte decisamente sopra le righe figlie del “favoloso mondo del web”. Il caso più eclatante riguarda chi non è stato certamente aiutato dalla scelta di collocarlo dopo uno dei set migliori del lotto: quello di Meg, regina della scena elettronica cantautorale italiana attiva, in vari ambiti, da oltre trent’anni. Artista magnetica ed estremamente versatile, l’ex 99 Posse è salita sul palco del Color per l’unica tappa in Calabria del lungo tour di supporto a “Vesuvia”, creando immediatamente una netta linea di demarcazione tra la sua performance (così intensa da esser definita da qualcuno “fuori concorso) e quelle successive, con buona pace di chi, sprovvisto di contromisure adeguate, ha rischiato di uscire dal confronto con le ossa rotte. È ciò che è successo a Nello Taver, youtuber prestato (chissà perché) alla musica che, tra flati gratuiti e monologhi infiniti prossimi al delirio, ha cercato di mascherare dietro quell’approccio politically uncorrect i limiti di una proposta dai contenuti, lirici e sonori, abbastanza discutibili. Un set per certi versi agghiacciante, eppure, va detto, seguitissimo dai tanti millennial pronti a interagire con lui (e, talvolta, farsi insultare) durante gli innumerevoli sproloqui infilati tra un freestyle e l’altro. Se il suo obiettivo era, effettivamente, quello di “rovinare la cena agli ospiti dell’agriturismo” (testuali parole), beh, ci è riuscito alla grande. D’altronde, bisogna pur dare a Nello quel che è di Nello, giusto? Di ben altro tenore, invece, le provocazioni di Sibode Dj, sorta di alter-ego volutamente trash di Simone Marzocchi, musicista e compositore dal curriculum piuttosto impegnativo, costruito in anni di collaborazioni con diverse realtà musicali e teatrali italiane (l’Orchestra Arcangelo Corelli di Ravenna, lo Youbrass Quartet e il il Teatro delle Albe, giusto per citarne alcune). Un background in parte cancellato dalla trasformazione in Sibode Dj, sorta di Mr.Hyde ossessionato dalla sessualità del corpo e dalle video-lezioni di aerobica di Jane Fonda. A differenza del personaggio creato da Robert Louis Stevenson, però, non vi è malvagità in Sibode, no. È tutta una questione di ironia, stavolta tangibile, reale. Un approccio stralunato con cui ripudiare quella tendenza a far sempre “le cose serie in modo serio” del Dr.Jekyll Simone, ora alle prese con loop martellanti e lascivi su cui poggiare, di volta in volta, chitarre, tastiere e, ovviamente, tromba, suo strumento di riferimento. Nulla di trascendentale, sia chiaro, ma idee e talento certamente non mancano. Stesso discorso per la Lovegang 126, collettivo hip hop romano composto da Franco126, Ketama126, Drone126, Asp126, Pretty Solero, Ugo Borghetti e Nino Brown. Tutta gente già piuttosto nota individualmente, (ri)unita dalla passione comune per il rap old school, nata proprio sui 126 scalini della Scalea del Tamburino di Trastevere a inizio millennio. Perché, in effetti, in tempi di sboronate trap, il recupero di sonorità e approcci di un certo tipo non può che risultare una boccata d’aria fresca. Il loro set, bilanciato tra brani in proprio (spesso, comunque, con qualche featuring di membri della gang) ed estratti dall’ultimo album in studio, “Cristi e Diavoli” (“Marciapiedi”, “Tic-Tac”, “Morto In Foce” e tanti altri), non ha fatto altro che confermare la bontà di un progetto fieramente indipendente, dal taglio sicuramente vintage ma sempre declinato secondo quella sensibilità pop tipica del nuovo cantautorato italiano. Un pop rap dal sapore nostalgico, fatto di spaccati di vita urbana, perdite dolorose e amicizia, quella vera, punto di partenza di una crew in grado di legare, con successo, l’hip hop e l’it-pop. Una formula che ha reso il live della Lovegang 126 il più apprezzato di un Day I - è bene ricordarlo - aperto dai vincitori del contest “Supernova”, i Santateresa, seguiti dai Fuera. In chiusura, l’aftershow di Lacrima Party.
Day II
Archiviata la prima giornata, atmosfera decisamente più rovente in un secondo appuntamento culminato nel gran ritorno dei Verdena, protagonisti di un set tiratissimo, prossimo a deragliare verso sonorità quasi heavy nei momenti più sostenuti. D’altronde, è sempre stata una loro peculiarità, in particolare su “Volevo Magia”, album ricco di spunti aggressivi, tra stoner, hardcore e sfuriate proto-metal, senza trascurare quello psych-pop che, da “Wow” (2011), ha condotto la loro musica verso territori sempre più inafferrabili. Un maelstrom di grande impatto ben rappresentato dai numerosi episodi in scaletta, su tutti il rock’n’roll trasfigurato di “Paul e Linda”, il pop obliquo di “Chaise Longue”, le aperture melodiche di “Sui Ghiacciai” e “Cielo Super Acceso”, la nevrastenica titletrack e le inflessioni doom cariche di effetti della conclusiva “Pascolare”. Particolarmente saccheggiati anche “Wow” (“Loniterp”, “Miglioramento”, la ballad “Scegli Me” e i furiosi stacchi di “Lui Gareggia”) e “Requiem” (“Angie” e, a proposito di furia, la combo “Don Calisto/Muori Delay”), mentre il resto della setlist prosegue in modo più o meno antologico andando a toccare l’intera discografia del trio bergamasco (ad eccezione di “Solo Un Grande Sasso”): da “Endkadenz” (“Un Po’ Esageri”) all’omonimo debut del ’99 (“Dentro Sharon” e l’anthem “Valvonauta”), passando per “Il Suicidio Dei Samurai” (il classico “Luna” e “Logorrea”). Se i Verdena hanno, giustamente, recitato la parte del leone, una menzione d’onore va però fatta a chi ha avuto il compito di scaldare l’atmosfera sul Palco B a colpi di tribalismi e ritmiche terzomondiste quanto mai travolgenti. Già, perché la performance di Seun Kuti con gli Egyppt 80 ha dimostrato come l’eredità del padre sia viva, vivissima, traghettando l’afrobeat verso il terzo millennio grazie a un processo di globalizzazione sorprendente in cui far confluire suoni, esperienze ed etnie diverse (a partire dai componenti della “più infernale macchina ritmica dell’Africa tropicale”, per citare l’indimenticato Fela). Un afrobeat per le nuove generazioni che non dimentica la portata di un messaggio carico di impegno sociale, ora veicolato attraverso la contaminazione tra cultura yorubac e l’evoluzione di tutta la black music negli ultimi quarant’anni (rap, neo-soul e acid jazz). Sono questi i momenti cruciali di un Day II completato da Icona Cluster (sempre da “Supernova”), Parbleu, Whitemary e dal recupero dei tesori nascosti della disco music partenopea firmato Napoli Segreta (talmente numerosi, però, da far risultare il loro set un po’ ridondante, a discapito del dj set firmato Disco Tic).
Day III - BeColor
Si arriva, così, al tanto atteso BeColor Day. Sono trascorsi all’incirca vent’anni dal debutto dei Franz Ferdinand, balzati subito in vetta alle classifiche di mezzo mondo grazie a quell’instant classic intitolato “Take Me Out”, singolone che fece la fortuna anche del loro album d’esordio, disco di platino sia negli States che nel Regno Unito. Da allora, la band scozzese è riuscita a coniare una propria cifra stilistica, capace di coniugare reminiscenze glam, synth pop e chitarre post-punk, rendendo la nu new wave appetibile alle dancefloor e, dunque, alle charts. Una formula un po’ ruffiana, forse, come sottolineato dai detrattori, ma, a conti fatti, vincente almeno per un paio di motivi: la rara abilità nel vivisezionare un vocabolario piuttosto ampio (e colto) per creare melodie irresistibili e la voglia contagiosa di regalare al proprio pubblico sempre nuova “musica con cui far ballare le ragazze”, per citare lo straripante frontman Alex Kapranos. C’è solo un piccolo particolare: le canzoni dei Franz Ferdinand hanno il potere di far ballare proprio tutti! È quanto accaduto nella magica notte del BeColor, esperimento avviato nel migliore dei modi grazie all’incredibile talento e presenza scenica di una band che ha mostrato quanto sia fondamentale, nella riuscita di ogni live degno di tale nome, un aspetto a volte trascurato dai più: divertirsi. Protagonisti di uno show serratissimo, Kapranos e soci hanno sciorinato, senza soluzione di continuità, le principali hit della loro discografia, trascinando i presenti in un’adrenalinica corsa a perdifiato lungo sentieri sinuosi che dalle ritmiche squadrate di Fall e Gang Of Four (le superhit “Take Me Out”, “Do You Want To” e “No You Girls”, cantate a squarciagola dall’intero parterre) conducono ai conterranei Simple Minds post “New Gold Dream” (“Love Illumination”), dopo aver lambito il new romantic (le ballabilissime “Right Action” e “Glimps Of Love”) e persino l’Hi-Nrg (con “Outsiders”, resa ancor più percussiva sul finale dall’intera band, siamo addirittura dalle parti di “I Feel Love”). Qualcosa che, in precedenza, era riuscita soltanto, con le dovute proporzioni, alla scena di Madchester, non a caso culla del futuro brit pop. Un filone con cui la band ha sempre avuto diversi punti di contatto, non fosse per quell’attitudine da dandy ammiccanti mutuata, a proposito di tentazioni new romantic, da gente come David Bowie e Bryan Ferry. Non manca una certa dose di fatalismo nelle loro canzoni (“The Fallen” e la ballad “Walk Away”), ma anche le pene d’amore diventano un buon viatico per esorcizzare problematiche varie ed eventuali, ballandoci sopra fino a perdere il controllo (l’eternal flame della conclusiva “This Fire”). Sono questi gli highlights di un set ad alto voltaggio in grado di alzare definitivamente l’asticella e dar vita a un live epocale, eseguito senza la benché minima sbavatura nonostante quell’approccio scanzonato che avrebbe potuto intaccare la concentrazione di chiunque. Non dei Franz Ferdinand, mattatori assoluti del party dell’estate 2023. Chiassoso ed energico, sì, ma di gran classe. È l’ultimo, esaltante atto del Day III (e, dunque, del Color Fest XI), altra giornata significativa impreziosita da Duck Baleno, Ada Oda, Angelica, Bruno Belissimo, dal dj set al femminile di Satan Said Dance e, soprattutto, dalla “strana coppia” Praino/Giorgio Canali, reduci dalla release dell’EP “Rocamboleschi Finali”, presentato interamente sul Palco B (degne di nota, in particolare, “Grande Festa” e “Giovani Oggi”), con un occhio di riguardo alla produzione dell’ex CSI con i Rossofuoco (“Morire Perché”, “Rossocome” e “Mostri Sotto Il Letto”). Se qualcuno cercava la magia, beh, eccola. Un altro gran bell’incantesimo targato Color Fest (e Be Alternative).
Francesco Sacco
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