Autonomia differenziata, l'intervento dell'avvocato De Grazia: "Sulla Calabria avrà effetti devastanti"

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Lamezia Terme - Pubblichiamo di seguito un intervento dell'avvocato Mario De Grazia, a nome del comitato "Difendiamo la Costituzione" sull'autonomia differenziata.

“Il nostro Paese non è uscito ‘migliore’ dalla grave pandemia di covid, al contrario sembra più impoverito, diviso, come entrato in una logica in cui l’egoismo e l’individualismo si traducono anche in scelte politiche che, allontanando la solidarietà e il senso relazionale della comunità, finiscono con alimentare  un desiderio di separatezza di parti del territorio più ricche e dinamiche dalle altre considerate spesso come un peso. Un retro pensiero, questo, che ha un’origine lontana che ci riporta, da una parte, al tentativo mal riuscito delle confuse modifiche costituzionali del capitolo V con cui, sotto certi aspetti, venne 'costituzionalizzata' la possibilità di scelta da parte delle Regioni dell’ autonomia differenziata, dall’altra, ad una cultura della divisione che si è progressivamente trasformata in una sorta d’ indifferenza collettiva per le sorti  degli altri e, di converso, in una secca cesura nell’impalcatura solidale e democratica dello Stato per come i Costituenti l’avevano pensata. L’Autonomia differenziata, così come è formulata, per quanto la si voglia  edulcorare con nuovi innesti terminologici, contrasta con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 5 della Carta, rompe il concetto di unità,  divide il Paese, accresce la povertà, cancella la solidarietà. Con essa molte funzioni amministrative e legislative, se ne contano 23 e tra queste la scuola e l’Università, la sanità (in gran parte lo è già), l’ambiente, l’energia, i trasporti, i beni culturali, potranno essere demandate alle Regioni che ne hanno già fatto o che ne faranno richiesta in seguito all’approvazione definitiva della legge. Mentre, le Regioni meridionali, in particolare la Calabria, già fiaccate dalla grave situazione economica, dall’inflazione e dal basso reddito pro-capite, dall’inarrestabile fuga dei giovani in cerca di lavoro, dal dissesto del territorio, subiranno sulla loro pelle gli effetti devastanti di questa secessione dal resto delle Regioni ricche. È vero che con la modifica degli artt. 116 e 117 del capitolo V della Costituzione, approvata nel 2001, le Regioni, a determinate condizioni, possono chiedere l’autonomia differenziata nelle 23 materie oggi di competenza dello Stato, ma è altresì  importante ricordare che l’art. 3 della Carta, posto tra gli articoli di principio e considerati fondamentali e immodificabili, richiamando con estrema chiarezza la dignità e l’uguaglianza di tutti i cittadini, in combinato disposto con l’art. 117, prescrive che sia sempre lo Stato a garantire l’effettiva parità, secondo modi e criteri che salvaguardino il dignitoso livello delle prestazioni dei servizi per tutti i cittadini della Repubblica (Lep). Per garantire i diritti e i servizi a tutti i cittadini, ovunque residenti, in Lombardia, in Calabria o in Molise, non solo in termini normativi ma anche concreti e attuali, occorrerà ricorrere a pesanti politiche fiscali per trovare le risorse per garantire pari livelli di erogazione di servizi a tutti (dalla Sicilia al Piemonte). Serviranno, pertanto, secondo le stime degli esperti più accreditati, cifre considerevoli – nell’ordine di una decina di miliardi all’anno – che nessuno sa come e dove reperire. È probabile, allora, che questo governo, per portare a casa la riforma, pensa di  rimodulare la spesa a favore delle regioni più arretrate secondo standard più riduttivi ed accessibili che finiranno col penalizzare ancor più le Regioni meridionali. Oppure, altra ipotesi avanzata da alcuni tra i fautori di questa riforma, riterrà di assumere quale riferimento per finanziare i Lep  la cosiddetta spesa storica, cioè quella finora sostenuta dallo Stato per garantire l’erogazione dei servizi. Ma quest’ultima ipotesi poco inciderà nel colmare il gap esistente, per come  segnala ancora la Banca d’Italia che sull’argomento così si esprime: l’eventuale scelta della spesa storica «determinerebbe la “cristallizzazione” degli attuali divari nell’offerta di prestazioni pubbliche sul territorio». Cioè, in buona sostanza, consoliderebbe la distanza già esistente tra il Nord e il Sud dell’Italia. Secondo i dati Istat 2023, in Italia,  a causa della crisi economica, dell’inflazione, delle conseguenze della guerra, del costo delle fonti energetiche, della fine del reddito di cittadinanza, la povertà assoluta e quella relativa sono in aumento rispetto agli anni precedenti. Oltre 2 milioni di famiglie ( 8,5% del totale) vivono in condizioni di povertà assoluta e 2 milioni e ottocentomila famiglie, con salari bassi, vivono sotto la soglia della povertà relativa. Tali povertà si confermano essere molto più alte nelle estreme Regioni meridionali; Calabria, Sicilia, Basilicata, Campania, dove risiedono il 42% di famiglie povere, e ne portano il triste primato. Molto significativo, a tal proposito è l’appello della Conferenza Episcopale Italiana, e in particolare di quella calabrese, che, ritenendo l’autonomia differenziata divisiva e dannosa per il Paese, hanno già espresso agli inizi del mese di Febbraio, la necessità di opporsi alla disgregazione dell’unità d’Italia. I vescovi di Cosenza e di Rossano hanno invitato i cittadini calabresi a superare la rassegnazione e a farsi sentire, e hanno ammonito tutti, politici e parlamentari, a non indebolire il principio costituzionale della solidarietà e dell’unità. Con l’autonomia, le Regioni 'differenziate' si trasformeranno di fatto in Regioni a statuto speciale e godranno, per l’inevitabile affievolirsi del vincolo di solidarietà e di reale e concreta perequazione nella ripartizione delle risorse, di una maggiore possibilità di spesa. Succederà, per esempio, che la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, Regioni più popolate d’Italia che rappresentando il 40% del PIL, utilizzeranno maggiori entrate tributarie e potranno, per fare fronte ai servizi decentrati, trattenere dall’ammontare del prelievo fiscale operato sui loro territori fino al 10% della tassazione. Al contrario le regioni meridionali, trovandosi ben al di sotto della media pro capite nazionale, con un gettito di entrate fiscali di molto inferiore, già penalizzate dalle condizioni di arretratezza in cui si dibattono da sempre, nei servizi primari come la salute, la scuola, gli asili, la sistemazione del territorio e che non riescono a garantire per tutti i cittadini i diritti sociali e civili  di cui all’art. 3 della costituzione, si vedranno ridurre drasticamente le risorse finanziarie necessarie a farvi fronte. Come si legge e si vede, sulla questione Lep e sulla relativa pesante difficoltà di reperire le risorse  finanziarie per operare la necessaria perequazione, anche alla luce della legge di bilancio, la confusione regna sovrana. Motivo questo per ulteriormente indurre le forze politiche di opposizione a elevare lo scontro politico e sociale nel Paese e mettere a nudo le risibili  giustificazioni che adducono i parlamentari meridionali del centrodestra che l’hanno già votata, sulla preventiva approvazione dei Lep e del reperimento delle risorse per realizzare i servizi e le prestazioni ai cittadini in modo paritario e su tutto il territorio nazionale. L’elenco di competenze (se ne contano 23) che dovrebbero passare dallo Stato alle Regioni fa davvero impressione. Vi è, in questo processo di trasferimento, non solo il rischio effettivo per cui diventerà insopportabile il peso finanziario per le regioni meridionali, che dovranno far fronte, con pochissime risorse, ai servizi di civiltà per i cittadini, ma si avrà anche, come conseguenza,  la disarticolazione delle discipline normative a tutto discapito delle politiche unitarie nazionali che riguardano l’istruzione, la sanità, l’ambiente, il territorio, i trasporti, la cultura etc. I partiti e i parlamentari di destra (soprattutto quelli meridionali) che hanno votato questa sciagurata riforma, ignorano o vogliono ignorare che la forza e la bellezza della nostra Costituzione consiste nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità nazionale, tra Comuni e Stato, tra pluralismo e concordia, con al centro di ogni divenire e di ogni progresso la persona umana e la sua dignità”.

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