Lamezia, l’atleta paralimpica Giusy Versace incontra studenti al Polo “Rambaldi”: “Lo sport è un diritto di tutti”

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Lamezia Terme - Una storia di quelle che rinfrancano l’anima, che danno la forza per affrontare con coraggio qualsiasi sfida la vita proponga: è la storia di Giusy Versace, atleta paralimpica reggina, 11 titoli italiani all’attivo, 3 europei, tante vittorie e record mondiali che ancora portano il suo nome, e che l’hanno spinta a non fermarsi, a cercare di cambiare le cose in materia d’inclusione entrando in Parlamento, e diventando vicepresidente della Commissione Cultura, Sport, Istruzione della Camera, ma anche ad esprimere la propria femminilità e gioia di vivere attraverso la danza, in un noto format televisivo. Tutto questo con un’amputazione bilaterale degli arti inferiori causata da un incidente stradale, durante una trasferta di lavoro. Eppure Giusy ci tiene a far capire che non si sente affatto una superdonna.

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“Dietro all’immagine che oggi vedete di me c’è tanto lavoro, sforzi, pignoleria”, dice sorridendo alla platea di ragazzi lametini che l’hanno ascoltata a lungo nell’incontro voluto dall’Osservatorio per l’inclusione scolastica “Antonio Saffioti” presso la sala “Scarselletti” del Polo Tecnologico “Carlo Rambaldi”, alla presenza del sindaco Mascaro, del vescovo Parisi, della dirigente Anna Primavera, del presidente dell’Osservatorio Alfredo Saladini e della vicepresidente e promotrice Michela Cimmino, ma anche di una rappresentanza degli studenti del Liceo Classico “Fiorentino” e del Liceo Scientifico “Galilei”, accompagnati dai dirigenti e da numerosi insegnanti. Fra le scuole presenti, insieme a Classico e Scientifico anche l'Istituto professionale "De Fazio".

L’incontro, moderato dal giornalista Salvatore D’Elia, è stato introdotto dai saluti della dirigente Primavera, del presidente Saladini, e del sindaco Mascaro, che non ha mancato di dirsi “orgoglioso dell’operato dell’Osservatorio, fortemente voluto dall’assessore alla cultura Gargano, e alle politiche sociali Bambara, perché è nelle aule scolastiche che si gioca il futuro di un’intera comunità, è qui che possiamo creare una società migliore”. Un riferimento anche alle associazioni presenti all’evento, in particolare Lucky Friends e Il Girasole, che “formano ragazzi oggi eccellenze nello sport, nell’arte, nella cultura”.

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Ragazzi che hanno avuto la possibilità di confrontarsi con una persona che ha attraversato e vinto la sfida più difficile: quella con sé stessa e con il proprio limite, trasformandolo in una risorsa. Una donna che ha scritto due libri e che ha creato la Fondazione “Disabili no limits” per aiutare ragazzi che desiderano fare sport paralimpici ma hanno bisogno di supporti tecnologici non ancora garantiti dal sistema sanitario nazionale, spingendoli a vivere la disabilità in un modo nuovo. “Quest’anno”, racconta l’atleta, “saranno 18 anni dall’incidente, e il 22 agosto brinderò alla vita, ancora una volta, perché è vero che ho lasciato entrambe le gambe sotto al guardrail, ma ho anche rischiato di morire, e invece oggi sono qui: quindi bisogna fare festa”. A vederla oggi sembra sia stato tutto semplice ma lei ci tiene a spiegare che non è affatto così.

“Ho impiegato due anni solo per fare il primo gradino, e ho cominciato ad allenarmi con un piede di legno passato dall’Asl, come tutti gli amputati. Le protesi non sono una passeggiata, e non tutti riescono a tollerarle – Zanardi, ad esempio, nella vita quotidiana non le porta. Bisogna comunque adattarle al corpo, fare modifiche e tentativi – che significa ferirsi le gambe, cadere, farsi male, medicarsi e igienizzarsi ogni sera dopo averle tolte. Ma non bisogna avere paura di sentirsi diversi, di affrontare gli altri, perché serve a cambiare la loro mentalità. Oggi le persone mi chiamano “l’atleta”, “la ballerina”. Invece la prima volta che sono andata in spiaggia a Scilla con le protesi e me le sono tolte, una madre ha coperto gli occhi con la mano alla sua bambina. Adesso se vado, tutti vogliono fotografarsi con me, soprattutto i più piccoli”. Qualcuno chiede anche chi o cosa l’abbia aiutata nel suo percorso, e Giusy chiarisce che non si tratta solo di avere una soglia del dolore molto alta.

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“La fede mi ha dato la forza quando credevo di non averla. La mia famiglia è stata scudo e stampella, mi ha protetta e sorretta. Come mio fratello, come le mie compagne di scuola: senza di loro sarei crollata. Non sono così fantastica ed eccezionale come mi dipingono: ci sono state accanto a me persona che ci hanno creduto più di me. Se oggi mi considerassi sfortunata, farei peccato, perché ho una testa funzionante e un cuore pulito, ancora capace di amare. Tanta gente con il dolore si chiude, si irrigidisce. Qualcuno non ce l’ha fatta.” Ancora il racconto della sua esperienza a Lourdes, e un appunto alla realtà regionale, “dove a volte ancora ci si vergogna, i disabili vivono segregati nelle famiglie o nelle associazioni, ed è perfino difficile aiutarli”. Il compito di concludere viene affidato al Vescovo: “Grazie all’esperienza di oggi è possibile sfatare il mito del superuomo, e parlare del senso e della consapevolezza del limite come base per superarlo. Il limite ci insegna a mostrarci per ciò che siamo, e non per ciò che vorremmo far vedere di essere: un’immagine bella ma falsa.”

Ancora il Vescovo sottolinea l’aspetto della fede, non come profilassi dal male ma come strumento di resurrezione; poi il ruolo della famiglia e degli amici “veri e non virtuali”; infine il superamento della concezione di homo faber, “perché non abbiamo valore solo in quanto capaci di essere produttivi” e anche di homo sapiens “perché tante cose non possiamo capirle e conoscerle mai”. E la riscoperta del concetto di homo patiens, “perché il dolore non invalida la dignità dell’uomo, ma può renderlo una risorsa, e questa è già una grande lezione di vita”.

Giulia De Sensi

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