Studio Istat: blocco delle nascite in Italia ma la Calabria fra le regioni in cui si fanno più figli

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Roma - La natalità in Italia è al minimo storico: meno di 7 neonati. È quanto emerge dagli indicatori demografici dell'Istat relativi al 2022 e da poco pubblicati. Il calo della popolazione residente (-3% all'1 gennaio 2023) “è frutto - spiegano i ricercatori - di una dinamica demografica sfavorevole che vede un eccesso dei decessi sulle nascite, non compensato dai movimenti migratori con l'estero. I decessi sono stati 713 mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale quindi di -320mila unità”.

In Calabria un tasso di natività alto

Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità. La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19). Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento e la Calabria è una tra le regioni in cui la media dei figli per donna si attesta all'1.28%. al di sopra della media nazionale. La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna. Le regioni a seguire, Sicilia, Campania e Calabria registrano i valori più alti. In fondo alla classifica la Sardegna con un media dello 0,95.

Calo demografico nel Sud e in Calabria

"Appurato che nel 2022 la popolazione residente presenta una decrescita simile a quella del 2019 (-2,9) - si legge nel report - sul piano territoriale si evidenzia un calo demografico importante che interessa il Mezzogiorno (-6,3). Il Centro (-2,6) e soprattutto il Nord (-0,9), che pur presentano un saldo demografico negativo, hanno valori migliori della media nazionale". Sul piano regionale, la popolazione risulta in aumento solo in Trentino-Alto Adige (+1,6), in Lombardia (+0,8) e in Emilia-Romagna (+0,4). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata, il Molise, la Sardegna e la Calabria, tutte con tassi di decrescita più bassi del -7.

Presenza straniera in aumento ma non nel Sud

L'Italia recupera attrattività nei confronti dell'estero: il saldo migratorio netto sale da +88mila nel 2020 e +160mila nel 2021 a +229mila nel 2022 (con 361mila iscrizioni dall'estero e 132mila cancellazioni per l'estero). L'Istat spiega però che il saldo migratorio con l'estero positivo appare "in grado di compensare solo in parte l'effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale". La popolazione di cittadinanza straniera al 1 gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9) sull'anno precedente. L'incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale èdell'8,6%, in leggero aumento rispetto al 2022 (8,5%). Quasi il 60% degli stranieri, pari a 2 milioni 989mila unità, risiede al Nord, per un'incidenza dell'11%, la più alta del Paese. Risulta attrattivo per gli stranieri anche il Centro, dove risiede un milione 238mila individui (25% del totale) con un'incidenza del 10,6%, al di sopra della media nazionale. Il Mezzogiorno ha invece meno presenza straniera, 824mila unità (16%), per un'incidenza del 4,2%.

Speranza di vita in crescita

La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, solo per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto all’anno precedente. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne. In Calabria per gli uomini è di 79,5 anni, mentre per le donne di 83,8 anni. Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima - osserva l'Istat - può aver acuito il trend. L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione.

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