
Lamezia Terme - In vista dell’assemblea degli iscritti del 30 ottobre, Antonio Pandolfo, militante del PD, già candidato al consiglio comunale ed alla segreteria cittadina, interviene sul momento politico del partito a Lamezia.
“Dopo tre settimane dalle elezioni regionali, si aprirà finalmente una discussione sul risultato del centrosinistra e del Partito Democratico e probabilmente - scrive Pandolfo nella sua riflessione - si procederà ad analizzare l’esito del voto. Il Partito appare in una fase di stasi e tra i militanti prevale un senso di rassegnazione e sconforto di fronte a questa situazione. Temo, che a sinistra, si stia tornando al clima letargico che ha caratterizzato i lunghi anni delle amministrazioni di centrodestra in città, senza un serio dibattito, con la gente sempre più estrania dalle questioni politiche ed amministrative. Per questa mia consapevolezza ho voluto scrivere queste righe, specie dopo la lettura dell’articolo “Aprire una nuova stagione politica” di P. Roppa sul Quotidiano, il giornalista poneva una serie di questioni tra cui la principale era proprio l’assenza di un sussulto dopo la debacle. È necessario ed urgente invitare i compagni ed il gruppo dirigente ad una profonda riflessione su quello che è accaduto e sul perché, in pochi mesi, siamo passati dall’essere il primo Partito in città con quasi 4800 voti, a scendere sotto i 2500, collezionando a Lamezia il peggior risultato da quando esistiamo e sprecando quell’immenso patrimonio che avevamo conquistato, pur perdendo, durante la campagna per le comunali. Mi rendo conto di non essere una voce imparziale, avevo già denunciato i rischi di un Partito avvitato su sé stesso e con lo sguardo rivolto solo alla scelta di chi candidare alle elezioni. Ritenevo, infatti, che con una impostazione così miope Lamezia rischiava di servire solo come serbatoio dove racimolare consensi per soggetti estranei alla nostra città, ma senza alcun progetto o prospettiva per essa. Rimango convinto che le forzature della fase congressuale abbiano creato un profondo sconforto non solo tra chi sì era impegnato alle ultime elezioni, ma anche nella nostra base, creando le condizioni per questo pessimo risultato”.
Secondo Pandolfo “la sconfitta contro Occhiuto, ovviamente, trascende dalle criticità del Pd di Lamezia, e vi sono evidenti colpe della segreteria regionale sia per non aver portato avanti un‘opposizione credibile alla destra, sia per essere stati succubi di esperimenti fatti a Roma (in cui la Calabria non ha avuto voce) ed in ultimo per una chiusura burocratica delle liste volta a preservare l’esistente, ma senza consentire alcun allargamento. Mi devo però concentrare su Lamezia dove osservo come il nostro risultato sia la cronaca di una morte annunciata: l’esclusione di una parte significativa del Partito dopo il congresso, con gli strascichi successivi hanno fatto sì che chi si era dato da fare in tutte le precedenti competizioni elettorali abbia seriamente iniziato a domandarsi “ma chi ce lo fa fare?”. E mentre, scorreva il (poco) tempo della campagna per la regione mi veniva in mente un libro sulla Prima Guerra mondiale, o meglio su come si ci è arrivati "I sonnambuli" di Clark. Il testo si incentra sulle classi dirigenti europee che pur vedendo chiaramente che ci sono i sintomi del disastro imminente non sono in grado di leggerli o, comunque, preferiscono ignorarli. La sensazione che ho avuto in questi mesi è proprio questa: il Partito, come un sonnambulo, viaggiava spedito verso il disastro elettorale. A questo punto occorre riflettere sul “Che fare?”. Di fronte alla sconfitta di queste proporzioni con una destra, che oltre ad aver conquistato il Comune, riesce a racimolare moltissimi consensi sia nella sua componente più radicale: la Lega è primo partito in città, sia in quella più moderata eleggendo un candidato locale, abbiamo l’obbligo morale di costruire un’opposizione all’altezza. Questo specie nei confronti di quegli oltre 12 mila cittadini che hanno creduto in noi alle comunali. Il Partito si è presentato all’opinione pubblica come estremamente frammentato e vittima di lotte interne chiuso al corpo elettorale, ma anche verso “nuove energie” presenti in città. Rilanciare il ruolo del Partito vuol dire innanzitutto ricostruire l’Unità, per fare in modo che tutte le voci delle diverse anime che lo compongono si sentano rispettate ed in grado di dare il proprio contributo, ridando slancio alla elaborazione ed alla discussione interna ed anche al confronto”.
Per l’esponente Pd “il rilancio del Partito di Lamezia richiede l‘autorevolezza dello stesso rispetto al contesto regionale e nazionale dobbiamo avere una nostra libertà progettuale e non farci dettare la linea da eletti di altri territori. Proprio per questo invito il Segretario e l’attuale dirigenza a “ripartire daccapo”: azzerare tutti gli organi ed a riiniziare il lavoro coinvolgendo i compagni che sono stati esclusi, li invito ad aprirsi al nostro elettorato per iniziare una nuova fase. L’idea di poter condurre in maniera solitaria la più grande forza del centrosinistra, in aperta contrapposizione all’altra metà dell’equipaggio, si è schiantata contro gli scogli della realtà il 5 e 6 ottobre. Il gruppo dirigente del PD può davvero pensare di andare avanti come se nulla fosse accaduto di fronte a questa sconfitta. Non ho la bacchetta magica, né ricette miracolose da proporre, né tantomeno rivendico alcunché, ma è chiaro che qualsiasi prospettiva di una nuova stagione non potrà che partire da una gestione unitaria del Partito. L’Unità va praticata e non proclamata (come fatto fin ora). È irritante sentirsi ripetere che “siamo testardamente unitari!” se, poi, di fronte ad una sconfitta di questa portata si fa finta di niente e le cose non cambiano, ritengo che questa, la gestione unitaria, sia l’unica strada da percorrere per far uscire il Partito dalla palude della rassegnazione”, conclude Antonio.
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