'Ndrangheta, sequestro Barbara Piattelli: "Cerco i ragazzi che nel 1980 mi salvarono a Lamezia"

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Lamezia Terme - Barbara Piattelli ha racconta in un documentario i suoi "343 giorni all'inferno". La donna nel 1980 fu rapita a Roma e portata in Calabria. Ora, intervistata nel programma di Ra3 “Chi l’ha visto?” cerca quelli che chiama “i miei salvatori”. Era il 10 gennaio 1980 quando la giovane figlia del sarto romano Bruno Piattelli, allora 27enne, fu rapita a scopo estorsivo. Erano gli anni dei sequestri. Oggi, dopo 42 anni, resta la rabbia per non conoscere ancora il volto dei responsabili di quel terribile anno ma Barbara ricorda bene il volto dei giovani che la soccorsero. Così, per chiudere il cerchio di questa vicenda, Barbara cerca ora i suoi soccorritori. Dopo 11 mesi di prigionia in una grotta nelle montagne dell’Aspromonte - racconta la donna all’inviata del programma di Rai3 - in una fredda giornata del 18 dicembre del 1980, fu rilasciata (dopo che il padre con tanti sforzi e sacrifici riuscì a pagare l’enorme cifra richiesta per il suo riscatto). “Mi hanno lasciata in uno sterrato e mi hanno detto di contare fino a 100 e poi sbendarmi. Successivamente si è avvicinata un’auto con 4 ragazzi”. La giovane, impaurita e titubante si è poi lasciata aiutare. I giovani l’hanno accompagnata nella più vicina stazione dei carabinieri di Lamezia, a Sant’Eufemia. 

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Alla domanda della giornalista se avesse mai pensato in questi anni a quei ragazzi Barbara ha affermato di averli pensati spesso senza mai riuscire a rintracciarli. Li ha definiti “i miei salvatori” e, ricorda: “si sono offerti di accompagnarmi… anche fino a Roma”. La giovane aveva loro raccontato brevemente, tra l’incredulità dei quattro ragazzi, quanto le era accaduto. Arrivata dai carabinieri ha poi contattato il suo papà. L’incubo era finito.  Oggi, chiede un aiuto concreto per rintracciare quei ragazzi, a bordo di una Fiat 128 bianca, che allo svincolo di Lamezia Terme la soccorsero.

La storia del suo sequestro

Barbara Piattelli, la figlia del famoso sarto Bruno, sta rientrando a casa con la madre a Roma, era il 10 gennaio 1980. È di corsa, perché ha appuntamento con il fidanzato per andare a vedere il nuovo spettacolo di Carlo Verdone. Entra con l'auto in garage quando due banditi, quasi certamente tre, l'aggrediscono. Tirano lei fuori dalla macchina e gettano in terra la madre, minacciandola con la pistola. Barbara ha solo 27 anni e il suo diventerà uno dei più lunghi rapimenti a scopo d'estorsione di cui sia stata vittima una donna. Per la prima volta, dopo oltre 40 anni, è proprio lei a ripercorrere quell'incubo, rimasto ancora un mistero, e i mesi durissimi di prigionia che seguirono in "343 giorni all'inferno", il documentario scritto e ideato da Vania Colasanti, con la collaborazione di Vincenzo Faccioli Pintozzi e la regia di Letizia Rossi, in prima visione esclusiva su RaiPlay dal 25 novembre.

"Questa vicenda mi ha rubato un anno di vita che nessuno mi restituisce", racconta lei, forte fortissima, anche quando in quella grotta in Aspromonte i suoi aguzzini arrivarono a tenerla in catene. Si commuove a ripensare a quei momenti, alla sua famiglia grazie alla quale è riuscita a sopravvivere per lunghi 11 mesi ma per i quali non ha mai avuto giustizia. Nel corso della puntata sono state fatte ascoltare delle registrazioni originali delle telefonate tra il bandito che si faceva chiamare “Saturno” e i familiari di Barbara e immagini e interviste d'epoca. Tra queste anche quella del giovane che la notò: ha raccontato all’epoca, la giovane donna, impaurita, che camminava sulla strada a Lamezia sotto la pioggia. Barbara Piattelli, che si è poi spostata, è diventata mamma e ora anche nonna, resta però il desiderio di essere riconosciuta come vittima della criminalità organizzata e di conoscere il volto dei suoi quattro salvatori e si appella così ai lametini e ai calabresi. 

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