Il presidente di Giuria Federico Moccia con Giuseppe Vitale e sua moglie Rosanna.
Lamezia Terme – E’ stato il giudice lametino Giuseppe Vitale, già vicesindaco della città, ad aggiudicarsi il primo premio per la VI edizione del premio letterario internazionale “Gabriele D’Annunzio” con il romanzo “Come se l’accarezzasse il vento – Calafuri” pubblicato da Gangemi Editore nel 2013. Il premio gli è stato conferito il 29 ottobre scorso nella prestigiosa cornice dell’"Aurum” di Pescara da una giuria presieduta dal regista e scrittore Federico Moccia. Nella stessa serata il cantautore e scrittore Roberto Vecchioni è stato insignito del riconoscimento “Il D’annunzio d’oro".
Tra i cinque finalisti selezionati, il romanzo di Vitale ha ottenuto il primo premio con la seguente motivazione da parte del presidente di giuria Moccia: “Un romanzo di ampio respiro, intenso e coinvolgente insieme. La vicenda d’amore di un giovane ragazzo di una famiglia perbene per una donna sposata – raccontata con trasporto e abilità narrativa – si intreccia con la storia della Calabria del dopoguerra, dove il racconto nasce e si ambienta. Oltre alla vicenda sentimentale di Ugo e all’ordito psicologico che da essa si dipana, notevole è l’affresco realizzato sulla borghesia del tempo e sui suoi valori in complesso rapporto con la società meridionale; una società in cui già si avverte quella presenza malavitosa che inizia ad affondare le proprie radici e a legarsi alla politica e alla amministrazione dei luoghi. Suggestivo poi il ritratto dei “marinoti”, gente umile, abituata ai sacrifici della vita, ma arguta al tempo stesso, così lontana dalla borghesia “buona” cui appartiene la famiglia del protagonista, eppure così strettamente ad essa legata. I “marinoti” sono forse gli ultimi della scala sociale del tempo, però detengono ancora i valori autentici della vita e la loro quotidianità scorre tra gesti semplici e rispetto reciproco”.
E sul libro di Guseppe Vitale, “Come se l’accarezzasse il vento – Calafuri” è stata scritta una relazione anche dal presidente dell’Uniter di Lamezia, Italo Leone: “Leggendo il romanzo di Giuseppe Vitale il lettore attento e curioso ritrova il piacere di immergersi in un racconto che ha il sapore della narrativa tradizionale. Il romanzo di Vitale è il risultato di un grande amore per la letteratura e per la Calabria, e per i valori di libertà e giustizia che egli ha maturato non solo per meriti personali e per essere stato un magistrato impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata in un territorio difficile come la Calabria, ma anche per la sua formazione umana nell'ambito di una sana famiglia borghese. Calafuri è anche un romanzo di formazione – aggiunge ancora - di maturazione sentimentale e ideologica, l'deologia di una sinistra che non ci fu e non c'è: una sinistra della legalità e della giustizia sociale, che per certi versi s'accosta al cristianesimo evangelico delle origini. Ne scaturisce una fede poco dogmatica, aperta ai bisogni degli altri, un credo che si manifesta nelle parole di Rocco, il pescatore dei marinoti di Calafuri".
E sulla lingua Leone aggiunge infine: “La lingua del romanzo è l'italiano, un italiano classico, ma questa lingua è intrisa di espressioni del dialetto calabrese della provincia di Reggio, se ci si riferisce al contesto sociale popolare, al latino o al francese per il contesto sociale più elevato. In alcuni casi l'autore si abbandona a veri esercizi di bravura, come nella rievocazione della sua insegnante privata di francese degli anni del ginnasio M.lle Podenas, che amava recitare in particolare un brano di Chateaubriand delle Mémoires d'outre- tombe”.
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