Lamezia Terme – Il collaboratore di giustizia Angelo Torcasio, difeso dall’avvocato Cellini, presente in video conferenza dal sito riservato, ha risposto alle domande del Pm Elio Romano nell’ambito del processo Chimera davanti al Presidente Carè e, a latere, i giudici Aragona e Martire. Cesare Gualtieri, Peppino Festante, Lucia Vaccaro, Massimo Crapella e Giancarlo Puzzo sono gli imputati in questo procedimento che hanno scelto il rito ordinario. Torcasio, collaboratore dal 2011, è stato il primo degli ex affiliati alla cosca Giampà a scegliere di collaborare con la giustizia. Entrato nella cosca Giampà nei primi mesi del 2003, Torcasio, racconta oggi in aula, è stato spinto da motivi di vendetta a seguito della morte del fratello Antonio ucciso dai Torcasio nel 2001. Da allora Torcasio divenne un affiliato alla cosca Giampà. “Tutti i Gualtieri erano devoti ai Torcasio” sottolinea il collaboratore in merito all’avvicinamento delle famiglie confluite poi nella cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri. Angelo Torcasio, facente parte del cosiddetto “gruppo di fuoco” spiega come funzionava l’organizzazione degli omicidi che, in particolare tra il 2000 e il 2011, hanno insanguinato Lamezia. Ritenuto il “figlioccio” del cognato del ‘Professore’, Torcasio ricorda in aula come dal 2008 e fino al 2010 si è occupato anche di rappresentare la famiglia Giampà e di fargli da tramite con le famiglie Iannazzo, Daponte, Cannizzaro. Tra le mansioni di Torcasio, anche le estorsioni.
Da gennaio 2011 però, nella cosca si verificò una spaccatura e, Angelo Torcasio, dopo l’arresto per tentata estorsione, nel luglio 2011 scelse di diventare collaboratore di giustizia. Sentimento scaturito, racconta Angelo Torcasio anche “dopo l‘omicidio di Giuseppe Chirumbolo” avvenuto nel 2010. L’omicidio ha provocato “una spaccatura dentro di me” evidenzia il collaboratore a seguito di quell’omicidio maturato “per un piccolo sgarro ai Giampà - aggiunge - non mi piaceva l’ambiente e poi mi volevo staccare da questa vita, anche per i miei figli”.
Confusione in aula al punto da sospendere l’udienza per qualche minuto a causa di un problema di omonimia. Il collaboratore, infatti, confonde Cesare Gualtieri ’69, imputato in questo procedimento, con Cesare Gualtieri ’78. “Lo conosco ma non ho niente da dire su di lui” aveva dichiarato prima del riconoscimento visivo dell’imputato. Successivamente il collaboratore di giustizia identifica Cesare Gualtieri, fratello di Federico, ucciso nel 2007, come “u bruttu”. “È associato alla famiglia Gualtieri - aggiunge - per conto loro faceva estorsioni, noi ci guardavano sia da lui che dal figlio. Era sempre contro a noi perché gli avevamo ucciso un fratello”. Torcasio elenca poi gli imprenditori sottoposti ad estorsioni a Lamezia, come un noto negozio di abbigliamento in città e di ottica ad opera della cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri. Il collaboratore afferma di conoscere anche Massimo Crapella in quanto conosceva suo fratello e Peppino Festante che, dichiara “lo conoscevo da quando ero bambino, dai miei associati sapevo che faceva uso di droga e anche spacciava per i Gualtieri”. Si conclude così l’esame del collaboratore da parte del Pm Romano e si rinvia, invece, alla prossima udienza per il controesame degli avvocati.
In aula anche il maresciallo Santo e il commerciante Cantafio
In aula, inoltre, sono stati sentiti sempre nel corso dell’odierna udienza, il maresciallo capo, Antonio Santo, che presta servizio a Catanzaro da 15 anni. Il maresciallo racconta di essersi occupato, insieme al con nucleo investigativo, anche dell’indagine Chimera, tramite l’analisi e il riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori Umberto Egidio Muraca e Giuseppe Giampà e sull’aspetto estorsivo del gruppo Cerra-Torcasio-Gualtieri. Il maresciallo, in particolare, riferisce sull’estorsione all’area servizio sulla SS 280 nel febbraio 2011 e degli atti intimidatori nel cantiere sito in località lenza di Lamezia alla costruenda area di servizio.
Sul banco dei testimoni anche Pasquale Cantafio, ottico a Lamezia e amministratore di diversi negozi in città e in altre province della Calabria. L’esame si concentra sugli atti intimidatori e sulle telefonate estorsive ricevute dal commerciante. Cantafio, racconta essere legato da un rapporto di parentela con Cesare, Gualtieri, imputato in questo processo. “Il padre di Cesare è cugino di mia moglie”, evidenzia Cantafio. “Applichiamo sconti del 30% a tutti i clienti - racconta Cantafio in aula – e, se è un parente, uno studente o un amico applichiamo anche il 40%”. Il Pm contesta al teste che nei verbali degli interrogatori ai carabinieri, aveva aggiunto che applicava lo sconto anche a soggetti che facevano parte della criminalità. Dal momento che con Gualtieri aveva un rapporto di parentela, quindi, evidenzia in aula Cantafio “gli applicavo anche uno sconto più elevato”. Anche il figlio di Gualtieri si sarebbe recato nel negozio per acquistare degli occhiali da sole che però, “non mi sono stati pagati anche perché poi furono arrestati”, aggiunge l’imputato. Nel corso dell’esame e del controesame dell’avvocato Veneziano emerge un episodio nel quale Cesare Gualtieri “una volta passò dal negozio con la moto e mi disse di non pretendere i soldi dal figlio che poi li avrebbe pagati lui”. Il processo è stato, infine, rinviato al 21 febbraio con il controesame del collaboratore Angelo Torcasio e l’esame di altri testimoni.
R.V.
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