Lamezia terme, 15 dicembre - “A mani nude, perché la fede, la cultura e le parole sono state le sole armi a disposizione di Don Pino Puglisi per combattere la mafia”. Con queste parole Vincenzo Ceruso, scrittore siciliano laureato in filosofia, ha spiegato i motivi che si celano dietro il suo racconto sulla vita e la morte di Don Giuseppe Puglisi, per tutti Pino, sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, mentre prestava servizio come parroco nel difficile quartiere palermitano di Brancaccio. Il libro “A mani nude - Don Pino Puglisi”, edito da San Paolo, con la prefazione del ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è stato presentato presso la Libreria Tavella di Lamezia Terme, in occasione della quarta edizione del corso di formazione socio-politica organizzato da Simone Cicco, giovane avvocato lametino, in collaborazione con il presidente della Fondazione Terina, Giancarlo Nicotera. L’autore ha raccolto pagine di quella che può essere considerata la straordinaria esistenza di un uomo consacrato alla verità della fede, e alla sua applicazione fin dentro i vicoli e le strade delle città, fino a confonderne i giorni della speranza con il martirio, sacrificio finalmente riconosciuto anche dalla Chiesa che lo proclamerà beato il maggio prossimo. Della vita del suo parroco, nonché suo ex-insegnante di liceo, tra quelle righe Ceruso ricorda soprattutto “la capacità di parlare al cuore dei giovani e di provare profonda indignazione verso la società mafiosa”.
Riflettendo sulle possibilità infinite di riscatto che un simile impegno potesse risvegliare nel cuore degli uomini, responsabilità di una figura a dire il vero defilata – “non era né un semplice parroco incappato in un incidente di percorso, né un prete antimafia”, sottolinea Ceruso -, il libro restituisce il ricordo di un uomo che “può ancora parlare a una società rassegnata che pensa ormai non si possa più cambiare”. Il suo operato è stato incisivo e concreto, “perché Don Pino ha cambiato le cose – è il tema biografico principale – così i giovani non hanno più visto nei mafiosi il mito da inseguire”. Simone Cicco ribadisce la portata tutta attuale del messaggio di Puglisi – “un eroe dei nostri tempi”, lo definisce –, nel merito di una virtuosa capacità di entrare in empatia con i giovani che ha consentito al religioso di “rivolgere loro parole di conforto e speranza, risvegliando le loro coscienze dal torpore del tutto è perduto”. E poi, ricollegandosi a quanto prima espresso dall’autore, Cicco riconosce nell’educazione e nell’istruzione impartite da Puglisi, il valore supremo di ogni strumento di lotta per sconfiggere la scuola di formazione mafiosa. “La mafia combatte la cultura”, gli fa eco Giancarlo Nicotera, “proprio perché è con essa che Don Pino ha colpito profondamente quella criminalità che impartiva, nel quartiere e in tutta la città, un modo di vivere malato, il suo modo di fare cultura”. E quasi stesse toccando con mano la verità di questa sua affermazione, Nicotera conclude sottolineando l’errore incosciente commesso dalla mafia uccidendo Don Pino, “perché così hanno reso più importante la sua figura e la sua opera – è il senso della dichiarazione – permettendo che dal suo martirio venisse avviato un percorso”. Fatto di tracce indelebili, in un solco profondo di redenzione dal dolore, come per quel sorriso che ha spinto poi un assassino a pentirsi. Quello impresso sul volto di Don Pino Puglisi prima di morire.
Pasquale Allegro
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