Reggio Calabria - Hanno iniziato ad abusare di una ragazza quando non aveva ancora compiuto 14 anni, approfittando della fragile ed acerba personalità della ragazza che aveva iniziato una relazione con uno di loro, ben più grande di lei. E' quanto emerso a carico dei dieci giovani destinatari di misura cautelare emesse dal gip del Tribunale e del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria con l'accusa, a vario titolo, di violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori, lesioni personali aggravate e di favoreggiamento personale. I provvedimenti sono stati eseguiti dai carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo al termine di indagini avviate nel marzo 2015.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, la vittima, nell'estate del 2013, ha iniziato una relazione sentimentale con uno dei ragazzi del "branco" che, approfittando della sua fragilità l'ha costretta ad assecondare tutte le sue richieste, costringendola ad avere rapporti sessuale con un numero sempre maggiore di suoi amici. Secondo gli investigatori, tra la fine del 2013 e gli inizi del 2015, gli arrestati hanno più volte abusato sessualmente, anche in gruppo, della ragazza. La vittima, la cui vita è stata caratterizzata da un perdurante e grave stato d'ansia che l'ha costretta anche a mutare le proprie abitudini, nel periodo degli abusi era completamente soggiogata al "branco". I ragazzi, infatti, l'avrebbero minacciata di divulgare alcune sue foto intime e di rivelare le sue "nefandezze" ai genitori. Una minaccia implicita, secondo i carabinieri, è stata costituita dal fatto che uno degli arrestati Giovanni Iamonte, di 30 anni, è il figlio di Remingo, attualmente detenuto, ritenuto il capo dell'omonima cosca di 'ndrangheta operante a Melito. Il gruppo si è anche reso protagonista di una spedizione punitiva nei confronti di un giovane con il quale la ragazza aveva allacciato una normale relazione sentimentale allo scopo di allontanarlo e "riappropriarsi" della ragazza. Al termine delle indagini, i carabinieri hanno arrestato e portato in carcere, oltre a Iamonte, Daniele Benedetto, 21 anni, entrambi già noti alle forze dell'ordine; Pasquale Principato, 22 anni, Michele Nucera, 22 anni, Davide Schimizzi, 22 anni, Lorenzo Tripodi, 21 anni, Antonio Verduci, 22 anni. Un diciottenne che all'epoca dei fatti era minorenne, G.G., è stato portato in una comunità. Domenico Mario Pitasi, infine, è stato raggiunto dalla misura dell'obbligo di presentazione quotidiano alla Pg essendo accusato solo di favoreggiamento personale.
De Raho: "Insopportabile la presenza della 'ndrangheta in queste realtà"
"Una vera e propria discesa agli inferi". E' il giudizio del gip di Reggio Calabria Barbara Bennato per descrivere l'allucinante violenza cui è stata costretta una giovanissima originaria di Melito Porto Salvo. Attorno a Iamonte, secondo l'accusa, ha ruotato un gruppo di giovanissimi che provvedevano, ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci, "letteralmente a sequestrare la ragazzina all'uscita della scuola media costringendola a salire in macchina per condurla proprio da lui, da Giovanni Iamonte". "Una vicenda dolorosa - ha detto il comandante provinciale dell'Arma Lorenzo Falferi - che denota non solo il gravissimo stato di soggezione della vittima e della madre a causa del potere mafioso dello Iamonte, ma di una comunità". Tutto inizia quando la ragazzina si innamora di un ragazzo che gravita negli ambienti legati agli Iamonte: la madre è dipendente di una ditta che fa capo a Giovanni Iamonte, mentre il padre ne sarebbe un lontano parente.
"Per quasi due anni - ha spiegato il procuratore Federico Cafiero de Raho - le violenze, i ricatti e le intimidazioni, condizionano la giovanissima costringendola al silenzio proprio per il timbro minaccioso che lo Iamonte rappresenta visibilmente nella società, e perché anche teme che quella sua storia possa ripercuotersi sulla così detta 'immagine' della sua famiglia e sul suo futuro nel caso in cui dovesse diffondersi". Quando nel 2015 la giovane si innamora di un altro ragazzo e decide di interrompere il ricatto mafioso la "reazione del gruppo Iamonte - ha detto il comandante della Compagnia carabinieri di Melito Porto Salvo Giovanni Piccioni - è immediata, il giovane prelevato dal clan, condotto in un luogo isolato e massacrato di botte". Dopo questo episodio sono giunte le prime segnalazioni anonime ai carabinieri. Dalle indagini subito avviate emerge anche che il padre della ragazzina, subito dopo l'aggressione al giovanissimo fidanzato della figlia, chiede "conto" a Giovanni Iamonte della situazione e da quel momento la ragazza non viene più minacciata. "E' un sintomo - ha commentato Cafiero de Raho - di quanto sia ormai insopportabile la presenza della 'ndrangheta in queste realtà, anidride carbonica pura per chi ha invece bisogno di respirare ossigeno e libertà. Pensano di fare ogni cosa e di restare impuniti ma i cittadini devono reagire, svegliarsi, perché il nemico non è lo Stato ma loro, gli 'ndranghetisti e i loro complici, ovvero, chi sapendo ha visto e ha taciuto".
REAZIONI
Marziale: "La società non può più far finta di niente"
“Il quadro descritto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni della Città, è a dir poco agghiacciante. La violenza di gruppo su una minorenne è da considerarsi a tutti gli effetti un crimine intollerabile nei confronti dell'umanità debole e indifesa, pertanto, accertate le responsabilità, la Magistratura giudicante non può e non deve concedere alcuna attenuante”. E’ quanto afferma in una nota il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Antonio Marziale. “Adesso la misura è colma, complice purtroppo anche uno stato di omertà che circonda sempre storie così turpi, una omertà che non ha più confini geografici e che tocca il nostro Paese in tutte le sue latitudini e longitudini. Gli inquirenti parlano di più reati, sempre a sfondo pedo-sessuale, e le indagini delle Forze dell'ordine hanno portato alla luce anche una pressione psicologica sulla ragazzina che ha dell'incredibile. La società, in ogni sua espressione, non può più far finta di niente, associazioni, scuole, e tutte le altre aggregazioni possibili e immaginabili hanno il dovere di contribuire alla diffusione di una cultura avversa a quella violenta e sensibilizzare chiunque a sentirsi parte attiva di questo processo, ricordando che chi sa e tace è complice degli aguzzini. Il mio plauso e il mio ringraziamento alla Magistratura e alle Forze dell'ordine che hanno portato alla luce un “calvario” sul quale tutti siamo chiamati a riflettere perché i diritti dei minori non siano sofismi di sorta e non rimangano come mero inchiostro su carta straccia".
Roccisano: "Per prevenire gesti del genere necessaria attività di sensibilizzazione ed educazione"
L’Assessore regionale al lavoro – informa una nota dell’Ufficio stampa della Giunta – ha fatto questa dichiarazione: “Quanto scoperto dalle forze dell’ordine di Melito Porto Salvo in queste ore è orribile e fa venire i brividi per l’efferatezza del reato, per il perdurare nel tempo e per la grave complicità generata tra i ragazzi che hanno abusato di una piccola vita per ben due anni. Indigna talmente tanto che l’indignazione non basta, né possiamo più accontentarci di vigilare solo su interventi ex post che vanno a tentare di riparare il danno psicologico nella mente della vittima. Occorre intervenire con attività di sensibilizzazione e soprattutto di educazione che possano prevenire gesti di questo tipo. La consapevolezza di cosa sia un rapporto sano, come anche di cosa invece sia insano e perverso, deve appartenere a tutti, alle ragazzine ed ai ragazzini, e deve essere rafforzato da percorsi educativi extra familiari e scolastici. Questo è il senso che ci ha spinto, insieme al Presidente della Regione Mario Oliverio, ad inserire la promozione di attività di educazione al sentimento all’interno del piano per il diritto allo studio 2016/2017 destinate agli istituti comprensivi, quindi alle fasce più giovani che sono quelle più in grado di recepire tutti gli stimoli che i percorsi di educazione ai sentimenti possono dare. La condanna del gesto deve essere accompagnata, quindi, da azioni di sostegno alla vittima, azioni sulle quali ci preoccuperemo di vigilare per essere certi del giusto apporto ricevuto ma, soprattutto, insieme a tutte le istituzioni civili ed ecclesiali, nonché alle associazioni. Dobbiamo investire per la creazione di giovani generazioni sane e consapevoli delle loro azioni e di una comunità coesa che tuteli, a sua volta, le sue componenti più deboli”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA