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Le donne sono penalizzate anche negli spot pubblicitari. Oltre alle continue notizie di femminicidio che inondano da troppo tempo le prime pagine dei giornali. C’è anche questo! Se notate i messaggi pubblicitari, in molti casi sono pieni di stereotipi, con advertising e gap di genere che risalgono a dieci anni fa. Evince una forma di maschilismo comunicativo/pubblicitario inutile e pericoloso che in sostanza è rimasto fermo nell’ evoluzione delle ideologie. E questa frenata comporta una pessima strategia che contribuisce alla diffusione di valori e di linguaggi che sfociano in una illustrazione dell’immaginario collettivo orientata in opinioni e atteggiamenti. Se notate è proprio la messaggistica di alcuni spot e trasmissioni televisive che sembra indicare come è meglio essere, comportarsi e cosa dire. E non solo.
Ma punta sulle fragilità e su modelli appiattiti o che si rivolgono ai disagi delle persone. Come se volesse convincere il pubblico che sarebbe meglio accettarli. Inoltre nel 2014 nell'indagine Come la pubblicità racconta le donne e gli uomini in Italia condotta da Massimo Guastini, presidente dell’Art Directors Club Italiano (Adci), insieme a Nielsen Italia e al Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, veniva evidenziato un quadro abbastanza sessista della pubblicità. Infatti metteva in luce come venivano promossi stereotipi e modelli discriminanti, sulla donna.
Dal punto di vista della personalità e delle competenze. E, la donna era inserita nella comunicazione, troppo spesso come oggetto e non come soggetto, relegata a ruoli gregari, decorativi e ipersessualizzati. A differenza del profilo dell’uomo, sempre sbilanciato verso il lavoro. Da allora sono trascorsi undici anni e dovremmo chiederci se ci siano stati cambiamenti. Domanda retorica! Da non dimenticare che si producono spot al femminile che aspirano a diffondere significati importanti legati al gender gap, al superamento della visione patriarcale, alla valorizzazione di forme e bellezze diverse. E puntano sull’ autostima, sull’ autodeterminazione e sulla fiducia in noi stesse andando oltre l'immagine dei prodotti che valorizzano il solo lato esteriore. E abbiamo sempre bisogno di ripetere quanto valiamo, di dichiararlo con orgoglio per farci ricordare come se dovessimo essere giudicate solo per l'aspetto. E che la bellezza è il nostro valore più grande. In una società che si ritiene così moderna ed emancipata, nella pubblicità così come negli spettacoli, le donne davvero non dovrebbero più essere presentate come stupidine, isteriche, frivole, sciape, prudenti, tormentate da make up, palestra e cibi sani. Altrimenti passa un messaggio che non enuncia competenza e affidabilità, a differenza di quelli maschili che li vedono avventurosi, e incasellati in una specie di perfezione da spot che è ideato dal senso di solidarietà che è una prerogativa innata in loro.
Se si parla di emotività poi, non è un dato reale che sono solo isteriche, esagerate, adolescenziali. E non è esatto che ci esaltiamo quando riusciamo a far sparire la polvere con un particolare piumino o donando lucentezza alle piastrelle del bagno. È la ripetizione dello stesso ritratto che discrimina e infastidisce e che si rivolge solo a un tipo di donna o a alcuni aspetti antiquati, deprmenti e casalinghi anni 50’che non appartengono a questo modello sociale. Si tratta di una versione unica, inespressiva, passiva, monotona, squallida. Limitante per l’ affermazione sociale. E pensiamo ad aspetti più ampi e seri, a come la pubblicità possa essere subdola quando rivela modelli di genere inquietanti, legati a contenuti di identità, violenza e potere.
E dovremmo indignarci per queste rappresentazioni limitate e limitanti della nostra immagine. Se la questione del sessismo nella pubblicità è ancora discussa, se non possiamo non riconoscere una certa evoluzione positiva nella comunicazione, se la regolamentazione dei messaggi dal punto di vista legislativo è ancora vaga, auguriamo che un giorno (prima possibile) i creativi pubblicitari, avvertano una fantasia ancora più fervida nella narrazione dei due generi che ci aiuti a dismettere stereotipi, a suggestionare un cambiamento verso la parità, a diventare più critici, consapevoli e creativi. C'è ancora molto da fare. Come nella quotidianità dove i creativi sono i signori maschi e il pensiero di una parte di loro sembra essere appeso al chiodo come avviene a fine carriera agonistica per le scarpette da calcio. Ma deve iniziare un'altra mentalità che rispetti coloro che sono il sesso forte per nulla stupidine e isteriche ma in cima ai pensieri dei nuovi genitori che preferiscono una femmninuccia perché sono ritenute nei sondaggi più complete affidabili e figlie preferite.
