Lamezia, ecco tutti i dettagli dell'operazione che ha condotto all'arresto di Giuseppe Giampà

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Lamezia Terme, 20 luglio – I dettagli dell'operazione "Deja-vu", che ha portato all'arresto di Giuseppe Giampà e dei suoi sodali, sono stati illustrati questa mattina dal procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli, dal questore Vincenzo Roca, dal dirigente della squadra mobile Rodolfo Reperti, dal suo vice, Angelo Padano e dal vice dirigente del commissariato di Lamezia Terme Lucia Cundari.

Torcasio già accusato di estorsione ai danni di Rocco Mangiardi

Nel provvedimento che porta la firma del  sostituto procuratore Elio Romano emergono diversi particolari come il fatto che uno degli arrestati, Angelo Torcasio, che si trovava già agli arresti domiciliari, era già stato accusato di estorsione ai danni di Rocco Mangiardi nell'ambito dell'operazione "Progresso". Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini gli indagati avrebbero avanzato diverse richieste estorsive ai danni di due imprenditori edili impegnati sul territorio di Lamezia, anticipate ed accompagnate da gravi atti intimidatori come delle lettere recapitate assieme a cartucce calibro 7.65, oltre a danneggiamenti e pesanti minacce di morte alle vittime titolari delle imprese edili ed ai loro familiari.

Le richieste estorsive al primo imprenditore edile

I fatti contestati risalgono a marzo scorso ed, in un primo caso, sono  addebitati a Giampà, Torcasio e Cosentino, i quali avrebbero minacciato il titolare di un'impresa impegnata nella costruzione di  un grosso fabbricato in piazza della Repubblica per conto di una cooperativa d'imprese, proprio di fronte il Palazzo di Giustizia. La prima vittima avrebbe ricevuto i primi di marzo una lettera intimidatoria (“mettiti in regola con il lavoro altrimenti verrà scaricato tutto sulla tua famiglia”) nella cui busta erano presenti tre proiettili di una 7.65. Successivamente, i primi di aprile, lo stesso imprenditore edile aveva subito l’incendio della sua autovettura e sarebbe poi stato avvicinato nei pressi di Piazza d’Armi da Cosentino il quale gli avrebbe detto di andare a trovare Torcasio che doveva parlargli. Il titolare dell’impresa, nei giorni a seguire, seguì “l’invito” e si recò effettivamente da Torcasio il quale lo fece accomodare nel suo magazzino/laboratorio adibito alla lavorazione della porchetta. In quella occasione, Torcasio avrebbe detto all’imprenditore edile che se voleva continuare a lavorare in tranquillità doveva pagare una certa cifra, 50.000 euro, a Giuseppe Giampà. L’uomo avrebbe iniziato a tentennare e dire che quella cifra, proprio non l’aveva disponibile. A quel punto Torcasio avrebbe detto alla vittima di “accontentare” Giampà con una prima tranche da 5.000 euro ribadendo a più riprese, viste le reiterate resistenze della vittima, che in caso contrario, oltre alla macchina già bruciata avrebbe avuto le bombe in casa. Episodio quest’ultimo che non si è poi verificato per l’intervento delle forze di polizia.

Le richieste estorsive al secondo imprenditore edile

Stessa modalità anche per la seconda vittima, un imprenditore edile impegnato nella realizzazione di alcuni fabbricati, proprio al di sotto del tracciato ferroviario nel quartiere di Nicastro. I fatti, in questo caso, risalirebbero al gennaio del 2011 quando l’imprenditore edile trovò una bottiglietta contenente liquido infiammabile davanti al cancello del suo cantiere, atto reiterato due mesi dopo, con un accendino attaccato all’esterno e due cartucce seguito da ulteriore atto intimidatorio tramite il recapito di una busta contenete minacce (“non ho visto assicurazioni sul cantiere a Scinà, come tu sai è obbligatoria perché i primi colpi sono stati vaganti i secondi saranno diretti”). Dopo questi episodi, la vittima veniva poi avvicinata da Chirico, il quale gli avrebbe detto di “mandare del denaro a quelli della montagna”. Secondo gli investigatori della Dda il riferimento sarebbe alle famiglie Cappello e/o Arcieri.

Pericolo di fuga alla base dell’arresto

Le manette scattate oggi per i quattro accusati di estorsione aggravata da intimidazioni “corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso” si sarebbero rese necessarie per il pericolo di fuga dei quattro che, potenzialmente, potevano già essere stati messi a conoscenza delle indagini in corso nei loro confronti.

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