Catanzaro - La Polizia di Stato, a conclusione di complesse attività d’indagine condotte dalle Squadre Mobili di Catanzaro e Vibo Valentia e dal Servizio Centrale Operativo di Roma, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, dalle prime ore della mattinata odierna, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 8 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dell’omicidio di Mario Franzoni, avvenuto nell’anno 2002 a Porto Salvo, dell’omicidio di Giuseppe Salvatore Pugliese Carchedi e del tentato omicidio di Francesco Macri’, avvenuti nell’anno 2006 sulla SS 522 tra Vibo Marina e Pizzo Calabro, tutte vittime di agguati mafiosi.
Le attività d’indagine, supportate anche dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, Giuseppe Giampà, Raffaele Moscato, Pasquale Giampà, Andrea Mantella, hanno permesso di fare luce sui moventi degli omicidi e sui relativi mandanti oltreché sugli esecutori materiali dei gravi fatti di sangue, tutti riconducibili ad appartenenti alle cosche Lo Bianco e Piscopisani di Vibo Valentia oltre che ai Giampà di Lamezia.
I NOMI
Francesco Barba
Nazzareno Felice
Michele Fiorillo
Rosario Fiorillo
Vincenzo Giampà
Nazzareno Mantella
Salvatore Mantella
Rosario Primo Mantino
VIDEO
I moventi degli omicidi
In particolare, è stato accertato che l’omicidio di Franzoni era stato commissionato dal costruttore Francesco Barba ad esponenti della cosca Lo Bianco, tra cui Andrea Mantella, al fine di vendicare un episodio in cui i suoi figli erano stati minacciati con l’uso di una pistola da Mario Franzoni. Come corrispettivo l’imprenditore edile vibonese Barba si era impegnato a costruire due villette a Vibo Valentia, cedendole in favore degli esecutori materiali dell’omicidio.
In merito al tentato omicidio e successivo omicidio di Pugliese Carchedi è stato accertato che il movente immediato di tale gesto era da individuarsi in una relazione clandestina da lui intrattenuta con la figlia minorenne di Felice Nazzareno, esponente di vertice dei Piscopisani; relazione che non aveva troncato nonostante i vari avvertimenti a lui pervenuti. Tuttavia, al di là dell’apparente movente riconducibile all’antico schema del “delitto d’onore”, la reale causale del fatto è emersa essere quella dei contrasti in seno alla criminalità organizzata vibonese ed in particolare il fatto che la vittima non riconoscesse l’autorità criminale dei maggiorenti delle cosche perpetrando in assoluta autonomia delitti, anche di natura estorsiva.
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