“È festa” all'Abbazia Benedettina di Lamezia con la Pfm

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Lamezia Terme – “D'un leggero uccello che va, come sempre è la festa”. Una festa targata Pfm, alfieri del prog italiano ancora sulla cresta dell’onda dopo oltre cinquant’anni di onorata carriera. Perché, in effetti, nei primissimi anni ‘70, l’Italia si rivelò tra i paesi più ricettivi alle intuizioni d’oltremanica che sul finire del decennio precedente - grazie a band come Pink Floyd, Yes, King Crimson o Genesis - diedero il via a quella rivoluzione musicale, mirata a elevare il rock a vera e propria forma d’arte, denominata progressive. Partendo dalla psichedelia, dal jazz, dalla classica e da tutta la musica colta, il nuovo genere portò in dote un concetto di canzone diverso, dalla struttura libera, diluita e complessa, prediligendo arrangiamento e architettura alla classica formula strofa/ritornello. Teorie che trovarono successivamente terreno fertile nei vari New Trolls, Banco del Mutuo Soccorso, Area e tanti altri, molti dei quali in grado di riscuotere consensi anche a livello internazionale. Ma se c’è un nome divenuto sinonimo assoluto di prog italiano nel mondo, beh, difficile non indicare la Premiata Forneria Marconi. Uno status maturato sin dal lontano 1972 con la pubblicazione di un instant classic come “Storia Di Un Minuto”, debut da annoverare tra le pietre miliari di tutta la musica italiana. Un autentico spartiacque divenuto anche il punto di partenza di un lungo tour celebrativo, “PFM 1972-2023”, con cui ripercorrere le tappe cruciali di una storia, nonostante qualche naturale cambio di line-up, ben più lunga, che ieri sera ha fatto tappa all’Abbazia Benedettina di Lamezia Terme per l’evento più atteso dell’estate firmata AMA Calabria.

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A condurre i festeggiamenti, come sempre, l’inossidabile Franz Di Cioccio, storico leader e punto fermo della band sin dai tempi dei Quelli, nella seconda metà degli anni ’60 “wrecking crew” piuttosto richiesta da giganti della musica tricolore come Mina e, soprattutto, Lucio Battisti. C’è però un sodalizio da cui non si può prescindere quando si parla della naturale evoluzione musicale e artistica (la Pfm, appunto) di quell’eccellente manipolo di sessionmen: la partnership con l’indimenticato Fabrizio De André. Galeotto il celebre tour del ’78, immortalato in un doppio live dal gran successo (Fabrizio De André in concerto - Arrangiamenti PFM Vol. I & II), in cui il gruppo riuscirà a dare nuova linfa alle composizioni del cantautore genovese attraverso arrangiamenti decisamente più rock. Una parentesi così felice da divenire ormai parte integrante dei concerti del gruppo, spesso alle prese con interi tour dedicati quasi esclusivamente alla “poesia di Fabrizio De André”. Se ne riparlerà, però, a ottobre, perché la voglia di celebrare i cinquant’anni di carriera, al momento, è ancora tanta. Ne è chiara testimonianza l’ultimo album in studio, “Ho Sognato Pecore Elettriche” (2021), concept fantascientifico in cui il prog incontra l’immaginario cyber-punk di Philip K. Dick, posto subito a inizio concerto con le suggestioni electro (siamo dalle parti di Battiato) de “Il Respiro Del Tempo”, incastonate in due suite strumentali da brividi: l’opener “Mondi Paralleli” e la semi-improvvisata (parola del bassista di lungo corso Patrick Djivas) “Transumanza Jam”, introdotta dal violino distorto di Alessandro Bonetti e guidata verso la migrazione dai funambolici intrecci tra chitarra (un Marco Sfogli in grande spolvero) e tastiere (il duo Alessandro Scaglione e Luca Zabbini, quest’utlimo anche alla voce) sull’incessante drumming della doppia batteria (Eugenio Mori e, ovviamente, Di Cioccio).

Brividi alimentati immediatamente dal repentino cambio di rotta, temporale ed emozionale, segnato dall’anthem “Impressioni di settembre”, primo tuffo nel passato cantato, inevitabilmente, a squarciagola da un’Abbazia Benedettina pressoché sold-out. Da “Storia Di Un Minuto” si passa, dunque, al successivo “Per Un Amico” con “Il Banchetto”, vicina al modello ELP (non a caso, sarà proprio il tour di quell’album a catturare l’interesse della Manticore, l’etichetta fondata da Emerson, Lake & Palmer), per poi naufragare dolcemente nel mare de “L’isola Di Niente” con “Dolcissima Maria”. Si tratta, però, dell’unica concessione alla melodia nel bel mezzo di un live che, a partire da “La Carrozza Di Hans”, rischia addirittura di deragliare verso territori quasi prog-metal, persino quando si tratta di omaggiare il sommo Demetrio Stratos con le venature pop di “Maestro Della Voce” (da “Suonare suonare”). Determinante, in tal senso, l’apporto di Sfogli, chiamato a sostituire un mostro sacro come Franco Mussida dopo l’esperienza accanto a James LaBrie, frontman dei Dream Theater. Trascorsi abbastanza evidenti in un brano dalle sonorità già robuste come “Cyber Alpha” (da “Stati D’Immaginazione”), ma anche nella sezione “Pfm In Classic”, dedicata al connubio tra rock e musica classica (da Prokofiev al Guglielmo Tell di Rossini), in questo caso totalmente al servizio di un’intera band composta da musicisti dal talento sopraffino. È il preludio al gran finale, affidato, come da tradizione, a “Celebration” (“È Festa”), impreziosita dalla reprise di “Impressioni Di Settembre”: un ultimo, esaltante atto in attesa dei consueti encores. Già, perché non esiste concerto della Pfm senza un doveroso tributo a quel Faber citato in apertura, sorta di spirito guida di uno scatenato Di Cioccio che, abbandonata definitivamente la batteria, decide di coinvolgere un pubblico ormai in visibilio in un trascinante sing along sulle note di “Volta La Carta” e “Il Pescatore”, fra i tanti classici rivisitati in quell’indimenticabile tour. Finisce così, con un solco lungo il viso, come una specie di sorriso. Il sorriso di chi ha avuto la fortuna di assistere a una notte di grande musica in tempi rigorosamente dispari. Beh, “grazie davvero”, Pfm.

Francesco Sacco

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