Lamezia, ecco perché hanno revocato la protezione al pentito Massimo Di Stefano

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Lamezia Terme, 27 marzo – Stanno facendo molto discutere le rivelazioni del pentito Massimo Di Stefano, legato negli anni ’80 alle cosche lametine dei De Sensi e poi dei Giampà e Torcasio e diventato collaboratore di giustizia nel 1995. All’uomo e alla sua famiglia sono state revocate le tutele e i benefici per chi diventa collaboratore di giustizia. Da qui la protesta del Di Stefano. E’ di oggi l’interrogazione al Ministro dell’Interno da parte della parlamentare del Pd Doris Lo Moro in cui chiede lumi sia sulla revoca del programma di protezione che sulle recenti dichiarazioni rese dallo stesso pentito a mezzo stampa. Dal Partito Democratico, però, era già arrivata un’altra interrogazione al Ministro dell’Interno, avente come prima firmataria la parlamentare Rita Bernardini e datata 20 marzo 2012.

Dalla precedente interrogazione si risale ai motivi che avrebbero indotto la Commissione centrale per le speciali misure di protezione a revocare al pentito e ai suoi congiunti i benefici previsti dalla legge. Più precisamente, la Commissione preposta ha deliberato la revoca della protezione quasi due anni or sono, ovvero il 27 aprile 2010 mentre la decisione è stata notificata due settimane dopo, il 13 maggio 2010. Nel provvedimento si farebbe riferimento alla “sussistenza di condotte asserite come incompatibili con l'assentito programma di protezione e con lo status di collaboratore di giustizia”. Nell’interrogazione parlamentare dello scorso 20 marzo, c’è anche  la versione di Di Stefano e dei suoi familiari che sono ricorsi al Tar del Lazio perché tale revoca sarebbe “stata adottata senza una attenta valutazione di tutti gli interessi coinvolti omettendo, soprattutto, di valutare adeguatamente la situazione di pericolo concreto ed attuale alle quali il collaboratore sarebbe esposto in assenza delle misure di protezione e di tutela”.

Da qui la sentenza del Tar del Lazio del 31 gennaio scorso, che ha fatto scattare la protesta nel Di Stefano e le sue rivelazioni. Secondo quanto emerge dalla stessa interrogazione dei parlamentari del Pd, nel corpo della sentenza del Tar, che accoglie le motivazioni della Commissione dando torto ai Di Stefano, sono attribuite a quest’ultimo “specifiche e concrete inosservanze tra cui detenzione illegale di arma, munizionamento e ricettazione della stessa; certificati medici falsi ed altre falsificazioni effettuate mediante computer, atte a rivelare spregio per il rispetto della legge, le quali trovano oggettivo riscontro in una sentenza di condanna emessa dal giudice penale; nel contempo viene rilevato che la collaborazione resa dal collaborante Di Stefano non risponde più ai parametri richiesti dalla legge - ossia l'intrinseca attendibilità, la novità, la completezza e la notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio e ciò in quanto le dichiarazioni di quest'ultimo non hanno consentito di procedere penalmente nei confronti di soggetti terzi (bensì hanno condotto a provvedimenti di archiviazione); si tratta dunque di fatti ben individuati (e non generici), espressamente esplicitati nel provvedimento, di indiscussa rilevanza dal punto di vista normativo e, dunque, non trascurabili dalla Commissione ai fini del decidere, ai sensi dell'articolo 13-quater, comma 3, della legge in esame; a fronte di tali fatti, i ricorrenti non sono stati in grado di fornire elementi oggettivi, adeguatamente atti a confutarli: in particolare - per quanto attiene alle violazioni comportamentali, si sono limitati a sindacare la gravità delle condotte sanzionate, introducendo così valutazioni di merito;  in relazione alla collaborazione, hanno richiamato l'attività di collaborazione instaurata con la DDA di Roma e convocazioni della DDA di Catanzaro, ossia circostanze comunque insufficienti al fine di comprovare la resa di una collaborazione connotata dai requisiti prescritti dalla legge (...). In sintesi è da rilevare che i ricorrenti non hanno offerto elementi idonei a comprovare la sussistenza dei requisiti prescritti per il persistere dell'ammissione al programma speciale di protezione e, dunque, a dimostrare l'erroneità del vaglio della Commissione centrale, il quale si rivela adeguatamente supportato mediante l'indicazione di ben precise, oggettive circostanze, oltre che dal parere della DNA (...)”. Proprio a causa di tale sentenza, di cui sopra sono state riportate le motivazioni, che ha confermato la revoca del programma protezione, è stato intimato a Di Stefano e alla sua famiglia l’immediato rilascio dell’abitazione nella località protetta in cui si trova da diverso tempo, oltre alla revoca di tutte le misure di assistenza economica.

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