Lamezia Terme - Numerose le segnalazioni da parte dei cittadini che hanno denunciato diversi branchi di cani vaganti che incutono timore. Abbiamo fatto così il punto della situazione sul randagismo in città. Nel periodo di lockdown, con i parchi inaccessibili alle persone, interi branchi hanno preso possesso delle aree verdi. D’altro canto, neanche la quarantena forzata ha contribuito a placare gli episodi di abbandono: numerosissime sono state infatti, in questo periodo, le segnalazioni ricevute dalle associazioni per sollecitare interventi soprattutto in soccorso di cucciolate (nella maggior parte dei casi domestiche), lasciate ai bordi delle strade anche a costo di incorrere in multe salate. L’argomento, molto dibattuto bipartisan in campagna elettorale, ritorna oggi ad essere una questione da fronteggiare con sollecitudine. In seguito ai numerosi tavoli di discussione sono stati focalizzati alcuni problemi fondamentali: il canile comunale, in gestione alla Multiservizi, con una capacità di accoglienza di 350 cani, con circa 650 ospiti è in esubero di circa il doppio e ha bloccato gli ingressi, le associazioni sono al collasso, i cittadini sono ancora restii a sterilizzare i propri animali contribuendo ad accrescere il fenomeno dei cani vaganti con cucciolate domestiche o lasciando i cani di proprietà liberi di riprodursi senza controllo. Non esiste ancora un programma di sterilizzazione per i cani vaganti sul territorio.
Provando a ragionare in numeri ecco lo scenario che si prospetta: facendo un breve calcolo, cosa succederebbe se ogni cane libero sul territorio facesse almeno una cucciolata all’anno? Con una media di sei cuccioli a parto di cui supponiamo che tre siano femmine, nel giro di dieci anni il numero dei randagi salirebbe a circa 500, a conseguenza di una sola mancata sterilizzazione. Il randagismo rappresenta un grave problema per gli animali coinvolti che sono costretti a una vita di stenti ed esposti a continui pericoli tra cui gli incidenti stradali che costituiscono un pericolo anche per l’incolumità pubblica. La loro mortalità è alta: la difficoltà di reperire cibo, le malattie, alcune forme parassitarie interne e esterne, l’esposizione a fattori climatici ostili, i maltrattamenti e gli avvelenamenti rappresentano gravissimi fattori di rischio che possono avere come conseguenza una aspettativa di vita molto bassa, soprattutto per i cuccioli. Per i cani e i gatti detenuti nelle strutture di accoglienza, anche in quelle ben gestite, la situazione è comunque critica: in mancanza di adozione, sono costretti a vivere in cattività il resto della loro vita. Abbiamo provato a chiedere delucidazioni ad alcune rappresentanti delle associazioni che operano sul territorio e si spendono per cercare di risolvere al meglio questa situazione diventata per Lamezia, ormai problematica.
Solla (delegata Oipa): “Situazione è critica, bisogna partire dalla sterilizzazione”
Clara Solla, delegata Oipa per la città di Lamezia Terme, dichiara: “Personalmente mi occupo di un branco di trenta cani che si trova all’interno di un ex centro accoglienza, tutti gli altri membri dell’associazione si occupano di gestire cani vaganti sul territorio provvedendo al sostentamento, alle cure e alla sterilizzazione”.
Come è la situazione in città, quanti sono i branchi e in che zone orbitano? Avete un’idea chiara?
“La situazione a Lamezia è piuttosto critica. Nessuna amministrazione negli ultimi 20 anni si è interessata al problema, sottovalutandolo. A causa di questa indifferenza, ai randagi già presenti in città si sono aggiunti i continui abbandoni, che hanno portato alla situazione odierna che ormai è ingestibile. I randagi, non essendo sterilizzati, si sono riprodotti a dismisura; ad alimentare questa già delicata situazione, sono stati proprio quei cittadini che privi di senso di responsabilità hanno preso un animale in casa ma poi al primo problema lo hanno abbandonano. Facendolo spesso anche riprodurre e nella maggior parte dei casi abbandonando successivamente anche le cucciolate perché difficilmente gestibili, sia economicamente, sia per motivazioni di tempo e anche perché essendo frutto di accoppiamenti "accidentali" questi splendidi esemplari di meticcio, nessuno li vuole!
I branchi presenti in città ormai sono troppi. Nella zona di Nicastro, Sambiase, area industriale, e centro commerciale si aggirano gli stessi branchi composti da circa dieci elementi, che spesso incutono timore. Devo constatare che se ne stanno formando degli altri più piccoli sia in centro che in altre zone della città. Di fatto, i randagi non sono assolutamente aggressivi, ma dovendo difendere il territorio, il loro abbaiare, viene facilmente scambiato per aggressività. Mi rendo conto che ci si può facilmente spaventare, ma bastano semplici accorgimenti affinché si possa camminare in loro presenza, senza problemi. Come facevo presente prima, quello che ormai sta diventando insostenibile sono le cucciolate. Arrivano segnalazioni giornaliere da ogni zona di Lamezia: ormai le associazioni sono al collasso. Non hanno più posto per sopperire a tutte le emergenze, ma cosa oltremodo grave è che dovendo sempre intervenire su queste ultime, non si riesce a dedicarsi ai cani adulti che rimangono quindi in strada o chiusi in canile”.
Cosa si potrebbe fare nell’immediato?
“La sterilizzazione con reimmissione sul territorio è la base dalla quale partire, come previsto dal decreto del commissario ad acta del 2015. Controllo e microchippatura dei cani padronali.
Il canile di Lamezia è saturo, come d'altronde tutti i canili della Calabria. Non si possono quindi prevedere nuovi ingressi. L'unica soluzione è sterilizzare i randagi già presenti sul territorio per bloccare la proliferazione e cominciare quindi ad arginare il fenomeno. Oltretutto, non essendoci così più femmine in calore all'interno dei branchi e dovendo, di conseguenza lottare per l'accoppiamento o per proteggere la femmina di turno, i maschi assumerebbero un atteggiamento più pacato e mansueto. Una volta sterilizzati, inoltre, farebbero da "scudo" all'ingresso di nuovi possibili branchi in città, i quali, sia per cause naturali o altro, negli anni scomparirebbero quasi definitivamente. Per quanto riguarda la microchippatura è importante perché, l'adottante o proprietario di turno, non potendo sfuggire all'obbligo di legge dell'apposizione del chip, diventerebbe più responsabile sia prima che dopo aver adottato il cane. Diventerebbe totalmente responsabile in caso di procurato incidente, morte del cane, accoppiamenti involontari, aggressioni. È brutta abitudine infatti da parte dei lametini lasciar liberi i propri cani di circolare sul territorio da soli. Mettendo a rischio gli altri cittadini e l’animale stesso. Oltre al chip quindi, polizia municipale e guardie ecozoofile dovrebbero essere attenzionate sul problema e fare controlli a tappeto per il censimento dei cani padronali. Multando chi non ha adempiuto all'obbligo di legge.”
Cosa dovrebbero fare le istituzioni, quali sono le prospettive?
“Amministrazione comunale e Asp Veterinaria dovrebbero cercare di colloquiare tra di loro per portare avanti le azioni di sterilizzazione e microchippatura.
Come presidente della consulta degli animali avevo provato a colloquiare con l’amministrazione per fare in modo che venisse applicata la legge ovvero che le sterilizzazioni con reimmissione sul territorio venissero attuate, perchè in una condizione di emergenza come quella di Lamezia sono step obbligati. Negli anni il numero dei cani ospiti è aumentato così tanto perchè si ingressavano i cani ma nessuno si era mai speso per le adozioni. In dieci anni, abbiamo scoperto, che era stata fatta una sola adozione, quando per legge ne esiste un numero minimo che ogni canile deve promuovere durante l’anno. Sarebbe auspicabile che venissero fatte anche delle convenzioni per andare incontro a chi non sterilizza per questioni economiche, perchè i prezzi degli interventi non sono accessibili a tutti.”
Cosa è stato già fatto?
“Il 3 gennaio scorso, sotto pressione delle associazioni è stata indetta una riunione a cui hanno partecipato tutte le associazioni di categoria, le guardie ecozoofile, i vigili urbani, il sindaco, l’assessore all’ambiente. Erano presenti il Rifugio Fata, l’associazione MaiDaSoli, e l’Oipa. Le proposte avanzate da parte nostra sono state quelle di cui ho parlato prima: sterilizzazione e microchippatura, controllo e censimento dei cani patronali. Ho richiesto anche che venissero fatte delle convenzioni con con le cliniche veterinarie private per offrire agli animali assistenza e cure in caso di necessità. In Calabria manca un canile sanitario; il nostro, essendo un canile rifugio, non può sopperire al discorso sanitario e non può occuparsi dei cani incidentati o di quelli che hanno bisogno di cure mediche. In canile esiste attualmente un ambulatorio che deve essere necessariamente ripristinato unicamente per le sterilizzazioni: anche quelle di eventuali gatti appartenenti alle colonie feline. Esiste un ulteriore problema burocratico legato alla sterilizzazione e reimmissione sul territorio dei randagi, che andrebbe superato: sul decreto relativo, esiste una clausola che indica la necessità di avere una certificazione di non aggressività dell’animale in questione, da attestare tramite un veterinario comportamentalista dell’Asp. Ad oggi nessun veterinario vuole assumersi questa responsabilità, va perciò risolto il problema alla radice, richiedendo la modifica del decreto, per far in modo che questa certificazione non si indispensabile. Nonostante la disponibilità dell’amministrazione comunale chi fa ancora resistenza è l’Asp veterinaria. Essendo l’iter burocratico per attuare queste procedure, lungo e cavilloso e spesso in contrasto con le esigenze immediate del problema, si sta pensando di agire diversamente per aggirare i formalismi. Il progetto su cui stiamo lavorando verte su due fronti: una raccolta fondi nella quale potranno convergere donazioni da parte di privati per supportare le associazioni e l’organizzazione di una task force di vigilanza per sanzionare chi non rispetta le regole.”
Volontaria Rifugio Fata: “Auspico collaborazione tra Associazioni, Comune e Asp”
Anna Tetro, volontaria Rifugio Fata Onlus, racconta: “Faccio volontariato da 11 anni in un rifugio del tutto auto finanziato, che fa il possibile con sacrificio per dare il suo contributo nel territorio ma che non può risolvere tutte le emergenze. Riceviamo ogni giorno tante, troppe richieste d’aiuto, sia segnalazioni di abbandoni (che indirizziamo agli enti deputati al recupero per obbligo di legge), ma anche richieste di privati cittadini che continuano a far accoppiare i propri cani e poi ci chiedono se possono portarli in struttura. Cosa non fattibile. Siamo a disposizione per divulgare e prevenire”.
Come si crea il randagismo?
“È una responsabilità della società civile, non certamente dei cani. Ci sono purtroppo abbandoni indiscriminati di ogni tipo da parte di chi si rifiuta di sterilizzare e poi abbandona nelle campagne: dai cani adulti malati, ai quali viene rifiutata ogni cura, passando per femmine incinte, fino alle cucciolate; tutto ciò avviene con evidenza per mancanza adeguata di controlli sia preventivi che punitivi secondo le leggi attuali”.
Cosa ne pensi dei branchi di randagi in giro per la città?
“Tutti noi che siamo sensibili al benessere animale notiamo da tempo la presenza altalenante di branchi più o meno numerosi in diverse zone della città: da anni chiediamo maggiore attenzione agli Enti deputati per trovare soluzioni pacifiche e determinate al censimento degli individui adulti. Come prima istanza, si dovrebbe contenerne il numero attraverso una sterilizzazione richiesta come piano straordinario, e poi proporre ai cittadini interessati e a tutte le associazioni di sostenere l’adozione dei cuccioli lasciando così fuori solo gli adulti sterilizzati; il contenimento potrà rassicurare la cittadinanza e trasformare il fenomeno da problema a risorsa. Il cane farà sempre parte della nostra comunità, e la soluzione di convivenza con i cittadini non consiste nel togliere tutti i cani dal territorio, come è sempre avvenuto, poiché dopo pochi mesi ne verrebbero altri”.
Cosa si potrebbe fare in proposito?
“Come è stato studiato dagli osservatori dei branchi del Sud, i cani proteggono il territorio prescelto dall’arrivo di nuovi elementi estranei. Sono loro stessi un antidoto ad una proliferazione indiscriminata. Serve al più presto individuarli, quelli attuali, studiarli nelle loro abitudini: creare dei team di “osservazione” costituiti da volontari delle associazioni coadiuvati dagli educatori. Una efficace mappatura eseguita con il benvolere dei veterinari dell’Asp, e di operatori comunali creerebbe una sinergia utile ad osservarli come “risorsa” di un territorio e non più come minaccia. Infatti, in altre regioni, è stata osservata una pacifica convivenza nei paesi tra comunità urbane e piccoli branchi, che sono in genere molto riservati e preferiscono vivere in semi libertà, non avvicinarsi alle persone, ma nel contempo ci regalano la loro serenità: quante volte abbiamo visto cani prendere il sole sulle rotatorie verdi, o a Natale quasi creare una sorta di presepio vivente. Solo la numerosità va contenuta e potrebbe in effetti incutere timore a qualcuno, non certamente la loro natura”.
Cosa speri per l’immediato futuro?
“Auspico una collaborazione tra Associazioni, Comune e Asp per rassicurare le persone timorose, far capire e conoscere la natura riservata dei cani. Bisogna lavorare sugli abbandoni, che sono altra cosa rispetto all’armonia di un branco che ha leggi familiari ed un suo equilibrio. Il singolo cane abbandonato, non avendo un branco e ritrovandosi disorientato, deve essere accolto in primis, e chi lo ha abbandonato deve essere perseguito come prevede la legge”.
Dora Coscarelli
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