Webinar a più voci su rapporto Chiesa-mafia, Pm Manzini: "Consenso alla ‘ndrangheta nasce anche da sua vicinanza a riti religiosi”

mafia-chiesa-.jpg

Lamezia Terme - “Parlare di politica oggi, significa occuparsi dei problemi della quotidianità, non possiamo fare finta che la mafia non esista, perciò è necessario affrontare anche questa tematica. Ancora più complesso è l’argomento che affronteremo oggi, si parlerà del rapporto tra mafia e Chiesa. - così  l’onorevole Antonio Viscomi ha introdotto l’argomento di discussione del webinar “Chiesa e mafie. Quali strumenti di contrasto?” promosso dall’associazione di cultura politica “Luigi Sturzo”di cui è presidente. - La mafia non è più quella di una volta, con la coppola e la lupara, - ha affermato, - oggi si nasconde molto bene tra i meandri del potere: dobbiamo avere occhiali con lenti spesse per poter guardare bene e per decidere di non averci nulla a che fare. Con i mafiosi neanche un caffè insieme dobbiamo prendere.” 

 Ad entrare nel vivo della discussione virtuale è stato l’avvocato penalista Sebastian Ciancio, che ha fatto da moderatore, ricordando prima di tutto il ruolo di Don Luigi Sturzo a cui è intitolata l’associazione e il suo impegno per la lotta alla mafia: “l’azione di Don Sturzo è stata molto lungimirante. Stiamo parlando degli inizi del ‘900, quando per contrastare la corruzione egli scelse la via della cultura”. 

Come ha spiegato bene Felice Caristo, studioso di tematiche costituzionali, la motivazione che ha spinto l’associazione a sollevare l’argomento oggetto di studio, è partita da una frase pronunciata dalla vedova di un boss di ‘Ndrangheta, emersa da un’intercettazione telefonica, durante la quale pregava la Madonna affinché aiutasse i figli a trovare i killer del marito per fare giustizia. “Soprattutto qui al sud - ha affermato Caristo,- dove il legame con la chiesa è più forte, è frequente che avvenga una commistione tra Chiesa e mafia. Accade, ad esempio, che i riti religiosi vengano utilizzati dalla ‘ndrangheta e stravolti. Avvengono delle vere e proprie distorsioni religiose: ad esempio, per alcune organizzazioni criminali, il rito di iniziazione per i nuovi affiliati si chiama Battesimo, proprio come il sacramento della Chiesa cattolica”.

Per Antonino Mantineo, Professore ordinario di diritto ecclesiastico dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, “La pandemia sembrerebbe aver messo a tacere i fatti di mafia, ma in realtà non è cosi: sta agendo in silenzio, - ha aggiunto - sottotraccia. Magari proprio in questo momento di difficoltà per la società, sta cercando di rivolgersi a tutte le attività che si trovano in difficoltà, cercando di rastrellare tutte quelle che stanno chiudendo i battenti. Oppure si può parlare della mafia dai colletti bianchi, quella che cerca di creare business attraverso il denaro proveniente dai finanziamenti della Comunità Europea. - Ha poi ricordato con grande trasporto Don Pino Puglisi, esempio di quella chiesa di trincea di cui abbiamo bisogno, vittima di mafia - è stato ucciso perchè è rimasto isolato. - ha affermato - Aveva scelto Palermo, città difficile, per educare i ragazzi a vivere liberi e promuovere lo sviluppo del territorio. Un esempio da seguire ancora oggi per cambiare le cose.” Martineo ha spiegato che Don Puglisi era conscio del fatto che non potesse esserci pace senza giustizia sociale e che per vincere la mafia si dovessero creare, nella società le condizioni di sviluppo necessarie eliminando corruzione e inefficienza ed educando i ragazzi ai beni comuni,  ad esempio al diritto alla salute, alla socialità. Parlando poi di diritto alla salute sarebbe stato impossibile non fare poi riferimento alle ultime vicende disastrose della sanità calabrese. Ma come si può dunque superare questo empasse partendo da questi presupposti? “favorendo lo sviluppo - ha affermato ancora il professore, - superando le difficoltà burocratiche che impediscono di gestire le risorse economiche, aiutando le imprese, nobilitandone la loro capacità e migliorandole,investendo inf formazione giovanile, orche con la cultura si formano i dirigenti del domani, facendo rete tra soggetti pubblici e privati per agire insieme: università, scuola, impresa, enti, associazioni, per sviluppare competenze e muoversi nell’ottica dell’innovazione”. 

Ma analizzando la storia, da Don Sturzo ad oggi, quanto è cambiata la situazione? A porsi questo quesito è stata Angela Robbe, Già Assessore Regionale al welfare e al lavoro. “Purtroppo è cambiato molto poco. - ha affermato - Per adottare strumenti di contrasto bisogna domandarsi cosa è diventata oggi la mafia. La mafia si rivolge alla società perchè ha bisogno di consenso, perciò c’è questo richiamo alla liturgia della chiesa. Riesce a rispondere laddove mancano stato ed istituzioni. Oggi utilizza gli strumenti di potere: corruzione e collusione sono gli strumenti con i quali rientra nella cosiddetta zona grigia delle imprese, delle amministrazioni pubbliche; la violenza, oramai è usata solo in extrema ratio. -  E ha continuato - Bisogna agire isolando la mafia non concedendogli gli spazi, c’è bisogno di un recupero dell’etica, soprattutto in politica che è diventata oggi puro esercizio di potere. - poi a proposito della situazione sanità in Calabria - Quello che sta succedendo è l’apice di una situazione che era drammatica già da tempo. La Sanità era un nervo scoperto e per fortuna è venuto fuori, ora possiamo uscirne. Abbiamo bisogno che l’indignazione si trasformi ora in azione.” 

È toccato poi a Luigi Mariano Guzzo, docente di storia del Diritto Canonico dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, fare un excursus storico del rapporto della Chiesa calabrese difronte alla mafia. “Fino alla beatificazione di Don Pino Puglisi - ha spiegato - c’era la Chiesa del silenzio, da quel momento in poi è diventata la Chiesa che parla. Ed è proprio dalle chiese del sud che parte questa liberazione dalle mafie che sarà poi da guida per la Chiesa universale. Dal 1916 i vescovi calabresi hanno preso contezza del fenomeno mafioso facendo riferimento alla necessità di epurare la chiesa da certe usanze. - L’excursus continua fino ai giorni nostri, Guzzo ha ricordato che nel 2014, a Sibari, Papa Francesco ha scomunicato i mafiosi. 

L’ultimo intervento è stato quello del procuratore aggiunto di Cosenza Marisa Manzini, nominata esperta del dipartimento della Pontificia accademia mariana internazionale, organo della santa Sede. “Oggi la ‘Ndrangheta è evoluta, - ha spiegato la Manzini - ma trova sempre le radici nella sua terra d’origine. Nonostante faccia affari in Italia e all’estero, è qui in Calabria che continua a decidere quali saranno le proprie mosse. Il consenso che la popolazione dà alla ‘ndrangheta nasce anche dalla vicinanza che essa ha con i riti religiosi, considerando che in alcuni paesini  isolati la cultura religiosa è l’unica forma di cultura, è facile che riesca a creare consenso attraverso la falsificazione dei riti. Ma cosa può fare lo stato collaborando con la Chiesa? - si è domandata la dottoressa, - Lo stato deve essere presente, la Chiesa deve essere riportata alla sua vera essenza, deve richiedere credibilità a chi si professa cristiano.- poi ha concluso citando l’Enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti: - “La solitudine, la paura e l’incertezza di tante persone che si sentono abbandonate dal sistema fanno sì che si vada creando un territorio fertile per le mafie” - questo è quello che dobbiamo evitare - ha affermato.

Dora Coscarelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA