"Lamezia è anche le sue contrade”: l'appello di Giovanni Cimino

Acquafredda---Lamezia-Terme1_63b88_80f39_1a13f.jpg

Lamezia Terme - L’ingegnere lametino, Giovanni Cimino, alla luce della riflessione di Francesco Bevilacqua sulle bellezze naturalistiche nascoste della città, intende ribadire e ricordare ai cittadini e agli amministratori, che Lamezia “non è costituita soltanto dai tre centri abitati Nicastro, Sambiase e Sant'Eufemia, ma anche di una miriade di contrade. Gli abitanti negli anni hanno coltivato e curato tutto il territorio collinare e montano, che hanno le medesime esigenze e il medesimo bisogno dei servizi, così come i tre grossi centri abitati e che, oltre alle ben descritte bellezze, hanno dato i natali a Dirigenti Ministeriali, ad Ufficiali dell'Arma, a liberi professionisti diplomati e laureati, a docenti di Scuola Media inferiore e Superiori e di Università”. 

Per Cimino, la bellezza dei luoghi descritti da Bevilacqua “non mi ha sorpreso, la bellezza dei luoghi non mi è sconosciuta, ma ho provato nostalgia e rabbia”. E, spiega: “Nostalgia, perché da bambino con mio padre o mio nonno a piedi mi inerpicavo lungo una mulattiera dalla contrada San Minà fino ad Acquafredda, prima, e a Vallericciardi Superiore, poi, attraversando le località “Comune”, “Petre bracate”, “Marotta” e “Polveracchio”. All’epoca non ammiravo i luoghi e i panorami, ma mi soffermavo a guardare persone chine sul manico di una zappa o la mano destra di un massaro afferrata alla “cuda” di un aratro di legno ad arare i terreni: secondo la stagione, intenti a preparare il terreno o a piantare le patate o a seminare, non il grano, ma avena, orzo e “jirmana”. Quest’ultimi erano i cereali adatti per la zona e destinati ai poveri: non lo sapevano, ma oggi sono i cerali dei “ricchi” e di chi tenta di star bene, seguendo rigide diete. Era anche il tempo in cui si mangiava il pane di castagna! 

A settembre quei terreni ricoperti di “restucci” (la parte degli steli dei cereali rimasti nel terreno con la mietitura) divenivano i luoghi della caccia alle quaglie di “passa”: un’occasione per nutrirsi con un po’ di “carne”! Oggi tutte quelle terre sono abbandonate e negli anni spesso sono state invase, peggio, distrutte dagli incendi. Rabbia: perché negli anni futuri pur informati, pur sollecitati, pur consigliati gli amministratori di Sambiase, prima, e di Lamezia, poi, hanno visitato queste belle contrade solo in campagne elettorali, e poi tutto è caduto nell’ oblio! Io non le ho mai abbandonate: negli anni ho percorso ogni tratto di vie mulattiere e di tracciati in terra battuta. Sono sceso giù per Sant’Elia e per Mitoio a piedi e poi con una moto, a volte con un passeggiero enormemente pesante, quando le carreggiate erano piene di solchi e di sassi e prive delle più elementari barriere protettive e non hanno avuto alcun riscontro le richieste, le discussioni col responsabile tecnico della sicurezza stradale comunale. Con padre Giuseppe Morosini (il futuro Vescovo di Locri e di Reggio Calabria), a fine anni Settanta e sin dalla progettazione dell’esistente Chiesa, si sognava Acquafredda in una bellissima “Località Montana” di e per Lamezia Terme, sopra le Terme e sotto la vicina Cima del Monte Mitoio (un “punto fiduciale” per la stesura dei fogli di mappa catastale del Comune di Sambiase), immersa in secolari castagneti. La Cassa per il Mezzogiorno negli anni Sessanta aveva elettrificato le contrade e successivamente realizzato gli acquedotti; e a seguire le stradine per le contrade, pure essendo comunali, erano state da qualche anno bitumate con un sotterfugio dell’allora Presidente della Provincia, che con l’aggiunta di uno zero aveva trasformato l’importo, deliberato dalla Giunta, di decina di milioni in centinaia. Acquafredda, precisamente il piccolo limitrofo altopiano “Polveracchio”, è il luogo ove nel frantumare un grosso masso, in una sua fessura il proprietario rinvenne le “monete di Terina”, oggi esposte nel Museo di Reggio Calabria. Non è un sito archeologico, ma un luogo incantevole, una “Terrazza” sulla Piana e su tutto il Golfo, fino a Capo Vaticano e a Nocera Marina. Sul lato ovest, ricoperto di una pineta, impiantata negli anni Cinquanta, ha origine il torrente Spilinga, che scende giù, quasi a strapiombo, incuneandosi in una gola di pietra calcare a sinistra e destra ove alcuni ruderi attestano la presenza di una “calcara” (fornace), attraversa il sito della grande cava, ove nell’alveo originario e per molti anni una grossa sorgiva aveva tenuto in funzione le mole di due mulini (“I mulini di Renda”) per la macina del grano”.    

La bellezza dei luoghi continua, descrive Cimino “nella parte alta di Polveraccio si trova un bivio, ove arriva la stradina proveniente da San Minà, che prosegue per l’abitato di Acquafredda, e sul lato nord ha inizio una mulattiera che attraversa la parte alta della località  “Rosato” (conosciuta per la presenza di una sorgiva dall’acqua fresca, molto leggera e dal gusto gradevole), prosegue in una pineta, oggetto più volte di incendi, passa davanti una “Casermetta” in pietre, costruita dal Corpo Forestale negli anni cinquanta”, ormai diruta e si collega alla strada di Acquafredda- Vallericciardi Superiore, dopo aver attraversato altro mini altopiano “Le Monache”. E’ un luogo incantevole: ad est si ammira il centro abitato Tiriolo e il suo Monte, fino al golfo di Squillace, spaziando a nord-est sul Monte Reventino e, attraverso  il Passo di San Mazzei, sulla Sila Greca e Catanzarese; mentre abbassando lo sguardo ci si inebria del Verde del bacino Bagni, dalle Terme fino al Monte Mancuso, tra i cui alberi si “nascondono” le contrade di Miglierina, Serra Castagna, Mitoio e Vallericciardi Inferiore; ad ovest si va dall’altro polmone di verde, il bacino del Torrente Zinnavo che scende dal Mancuso, località “Prisa-Nucillittu”, fino a Gizzeria Lido, al territorio di Falerna, fin quasi a raggiungere Campora San Giovanni (non aggiungo gli altri luoghi che magnificamente hai descritto)”.

Ricorda poi un altro luogo incantevole: “al di sotto del lato sud di Polveracchio, tra il monte Sant’Elia e il promontorio pietroso le “Timponette”, si trova la contrada Vonio, oggi raggiungibile da Sant’Elia e dalla contrada San Minà Superiore, quasi “appollaiata” su un territorio a strapiombo sull’ex proprietà Scalfaro, una volta raggiungibile attraverso un’irta mulattiera lungo il fosso “Colonnello” (proprio ieri, 25, pomeriggio un’ ultra novantenne insegnante di Lamezia, dalla memoria “di ferro”, mi ha raccontato il suo percorrere la citata mulattiera per andare a insegnare alla Scuola “Elementare” di Vonio, senza mai assentarsi). A destra e a sinistra del fosso si trova una macchia mediterranea, che si estende dalle falde del monte Sant’Elia fino al promontorio roccioso “Le Timponette” (la parte alta della cava, chiamata di “Mazzei”), lambendo la parte basa delle case di Vonio, nella quale si nascondono o appena si intravedono le Grotte, che il Maestro Borrello ha descritto nel suo testo “Sambiase”. Se Le Monache sono una “Terrazza” sulla Piana, le “Timponette” sono delle “Palafitte” sulle “Acque” del Golfo. Vonio, forse, è la più piccola delle contrade di Lamezia, eppure ha dato i natali al titolare di una delle più grosse imprese di Costruzioni in Canada, a docenti di Scuola Media Superiore, a Ingegneri e ai genitori di un giovane giudice, anche Presidente di una Sezione Provinciale di ANM. Anche questo meraviglioso luogo è sconosciuto ai lametini e agli amministratori, che si sono susseguiti nei decenni! Anni fa avevo proposto un’idea di valorizzazione dell’intera area: la messa in sicurezza del tracciato stradale lungo il monte Sant’Elia, la realizzazione di una piazzola di sosta in corrispondenza del tornante vicino una vecchia cava di pietre calcaree dismessa, di un percorso pedonale didattico sia per lo studio della flora mediterranea e sia per la conoscenza diretta delle grotte, che avrebbe dovuto attraversare tutta la macchia di verde, lambire l’ingresso delle grotte e raggiungere la parte superiore delle “Timponette”, ove la costruzione di un locale-ristoro “tipo rifugio alpino” avrebbe accolto studenti e docenti di ogni grado e tipo di scuola ed ove un automezzo (quello che li aveva portati sul monte Sant’Elia) li avrebbe attesi per portarli via. Ovviamente, anche la fonte di finanziamento era stata suggerita, senza alcun addebito alle casse comunali. Altre proposte sono state effettuate, rimaste sempre inascoltate, agli amministratori di Lamezia per invogliare, aiutare, facilitare il “Restare” e/o il “Ritornare” degli abitati di questi nostri meravigliosi luoghi (senza escludere tutti gli altri del territorio comunale) per proteggerli e per curare tutto l’ambiente, che Tu, viaggiatore, pioniere, scrittore e fotografo, ben conosci”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA