L’astronave giradisco di Lucio Corsi accende il Color Fest XIII

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di Francesco Sacco

Lamezia Terme  – “Fronte sulle rive lontane, si risveglia la sete”. Una sete di grande musica anche quest’anno placata dal Color Fest, ormai punto di riferimento indie di tutto il Meridione grazie a una lunga serie di eventi con cui racchiudere il meglio del panorama indipendente nazionale e, da un po’ di tempo, internazionale. Galeotto, in quest’ultimo caso, il sodalizio con un’altra importante realtà del territorio, il Be Alternative, che di recente ha permesso alla rassegna, dopo le apparizioni estemporanee di Soft Moon e Notwist, di puntare definitivamente i riflettori sull’estero e portare in Calabria, per la prima volta in carriera, gente del calibro di Franz Ferdinand ed Editors. Una partnership rinnovata per un Day III dal marcato taglio post-punk, che vedrà alternarsi sul palco, tra gli altri, Murder Capital, Shame, Ekkstacy e Offlaga Disco Pax. Ma è ancora presto per parlarne.

Perché, nel frattempo, la tredicesima edizione ha subito visto atterrare sul lungomare Falcone-Borsellino, nuova suggestiva location sulla Riviera Dei Tramonti, sfruttata ad hoc in tutta la sua bellezza, l’astronave giradisco pilotata dal nome italiano del momento, quel Lucio Corsi divenuto, dopo l’exploit all’ultimo Festival Di Sanremo, un autentico fenomeno di costume tutto fuorché nazionalpopolare. Già, perché, qualora ci fossero ancora dubbi, il suo set sul main stage in riva al mare ha confermato, semmai, un approccio alla materia che più britannico non si può, pur senza tralasciare un certo tipo di cantautorato mai troppo battuto dalla musica italiana mainstream, quello di songwriter “diversi” come Alberto Fortis e Ivan Graziani, giusto per citarne un paio.

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Ciò che caratterizza più di qualsiasi altra cosa la sua proposta fuori dal tempo, però, resta quel gusto glam piuttosto evidente non solo nel look e nel make-up, ma anche in certe armonizzazioni, soprattutto chitarristiche, tipiche dei vari Marc Bolan con i suoi T.Rex, Mott The Hoople, persino Queen prima maniera e, ovviamente, il David Bowie fase Ziggy Stardust.

E in un contesto talvolta asfittico come quello musicale italiano, beh, anche uno come Lucio Corsi diventa un alieno. Un alieno dal talento inequivocabile, capace di trovare la sua dimensione ideale proprio dal vivo e riportare in auge un intero immaginario grazie a una vena poetica quanto mai ispirata, ora sognante e fiabesca, ora ironica e sagace. Quella proposta dall’elfo toscano è una formula apparentemente anacronistica che, però, riesce nel difficile compito di mettere d’accordo tutti, trovando un equilibrio quasi miracoloso tra i tanti volti del glam rock attraverso i decenni: dai già citati riferimenti anni ’70 all’evoluzione sleaze targata eighties (“Amico Vola Via”, introdotta dal racconto della sua stralunata genesi, non avrebbe affatto sfigurato su un disco degli Hanoi Rocks). Un’anima tutta lustrini e paillettes ben rappresentata dal suo songwriting, estremamente raffinato quando c’è da sedere davanti a un pianoforte (le varie “Sigarette”, “Trieste”, “Nel Cuore Della Notte”, “Cosa Faremo Da Grandi” e, ovviamente, “Volevo Essere Un Duro”), sorprendentemente sanguigno quando c’è da liberare cariche elettriche nella stratosfera direzione Marte (“La Bocca Della Verità”, “Il Re del Rave”, “Danza Classica” e la sgangherata baraonda al quadrato di “Francis Delacroix”).

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Merito anche di una band molto guitar oriented (ben tre chitarre) composta da sette elementi, bravi ad assecondare gli input del loro leader, a suo agio persino nelle curiose vesti di folksinger chitarra acustica e armonica (la dylaniana “Senza Titolo” e la rivisitazione in chiave acustica, con tanto di lap steel, del manifesto “Astronave Giradisco”). Perché, al di là dell’impronta surreale di buona parte del suo songbook, Lucio Corsi è, in realtà, un perfetto cantastorie abile a indagare con grazia e disincanto una realtà comune a molti: da amori impossibili e triangoli amorosi degni della telenovela Clapton-Boyd-Harrison (“Situazione Complicata”) agli episodi di bullismo subiti in tenera età da tale Rocco Giovannoni (la scatenata “Let There Be Rocko”, con snippet di “Jailhouse Rock” sul finale).

Una vasta galleria di perdenti e outsider proiettati in una dimensione onirica degna di Tim Burton e, perché no, Méliès (il solito “amico “secco” volato sulla Luna in “Amico Vola Via”), a conferma di uno status di cantautore di razza dall’allure internazionale (se non spaziale): qualcosa di cui la musica tricolore aveva terribilmente bisogno. Sono questi gli highlights del live di Lucio Corsi, portata principale di un Day I che, a dire il vero, era già partito in quarta con il coinvolgente “concerto al tramonto”, tra pop, jazz e funk di matrice seventies, di Marco Castello e della sua big band, ma soprattutto con il set degli Isaac Delusion, duo francese capace di rinnovare con successo il French Touch e traghettarlo verso la contemporaneità grazie a un efficace processo di ibridazione tra elettronica e la tradizione pop/rock anglosassone. Una performance dal grande impatto destinata a segnare inesorabilmente questa tredicesima edizione. In line-up, anche Delicatoni, Scarda, Fenoaltea e Anna and Vulkan, punto di contatto tra cantautorato e funk. Oggi il Day II con Mace, Joan Thiele, Giorgio Poi, Dissidio, OkGiorgio, Chalk e tanti altri. 

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(Foto di Francesco Lucia)

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