Operazione "Demetra": autobomba a Limbadi, 6 fermi della Dda nel clan Mancuso - VIDEO

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Vibo Valentia - Sono sei i fermi disposti dalla Dda di Catanzaro nei confronti di presunti mandanti ed esecutori dell'attentato con un'autobomba che il 9 aprile scorso a Limbadi ha ucciso Mattero Vinci e ferito gravemente il padre Francesco, tuttora ricoverato nel reparto "Grandi ustioni" dell'ospedale di Palermo. Dalle pime luci dell'alba, infatti, a Limbadi sono stati eseguiti i fermi nel corso di quella che è stata chiamata operazione "Demetra" da parte dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia e del Ros di Catanzaro. 

I fermi sono scaturiti dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro. 

I fermati sono: i coniugi Rosaria Mancuso, 63 anni e Domenico Di Grillo; le figlie Rosina, 37 anni, e Lucia Di Grillo, 29 anni, con il marito Vito Barbara, 27 anni, e Salvatore Mancuso, 46 anni, fratello di Rosaria Mancuso. I Mancuso-Di Grillo sono vicini di casa dei Vinci-Scarpulla e da tempo erano in lite per i confini delle rispettive proprietà.

L’attività investigativa ha consentito di individuare ed identificare i componenti della famiglia Mancuso, a vario titolo interessati, oltre che dall’azione omicidiaria del 9 aprile, anche del tentativo di omicidio perpetrato ai danni di Francesco Antonio Vinci il 30 ottobre 2017 a Limbadi, in cui lo stesso era stato vittima, sotto la minaccia di una pistola, di una feroce aggressione con un forcone e un’ascia.

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Le indagini, svelando gli interessi criminali dei fermati, hanno consentito agli inquirenti di appurare che tutti i violenti fatti criminali perpetrati rientravano in un feroce piano estorsivo ai danni dei Vinci, in atto dal 2014, finalizzato all’acquisizione della vasta proprietà terriera dei Vinci, confinante con quella dei Mancuso, determinati all’acquisizione ad ogni costo della proprietà tanto da ricorrere per il raggiungimento dello scopo a qualsiasi mezzo tra cui l’eliminazione fisica di tutti coloro che avessero intralciato il loro disegno criminale.

Nel complesso le attività svolte hanno consentito, durante la fase investigativa, di procedere all’arresto per detenzione di armi e munizioni di due degli odierni fermati, Domenico Di Grillo nell’immediatezza dell’attentato omicidiario del 9 aprile, trovato in possesso di un fucile da caccia con 40 proiettili acclusi, e Rosaria Mancuso con una pistola ed un fucile automatico con oltre 200 proiettili di vario calibro, armi nella effettiva disponibilità degli arrestati.

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I particolari dell'operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa nella sede del comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia alla presenza del procuratore capo della Dda, Nicola Gratteri.

Dda: "Azione per fare cedere estorsione" 

Un'azione messa in atto per fare cedere la famiglia Vinci-Scarpulla alle loro richieste estorsive: sarebbe questo, secondo la Dda di Catanzaro, il movente dell'attentato del 9 aprile scorso. Oggetto delle richieste estorsive rivolte dai Mancuso-Di Grillo alla famiglia Vinci sarebbe stata la cessione di un terreno limitrofo ad alcuni fondi di loro proprietà.

La resistenza da parte della famiglia Vinci nel non volere cedere il terreno, prolungatasi per anni ed accompagnata da varie minacce ed intimidazioni, sarebbe stata la causa scatenante della reazione da parte della famiglia Mancuso-Di Grillo, con la messa in atto dell'attentato. 

"Svolta nelle indgaini grazie alle intercettazioni"

Ci sono in primo luogo le dichiarazioni di Rosaria Scarpulla, la mamma della vittima, alla base del fermo di indiziato di delitto firmato dalla Dda di Catanzaro a carico di sei esponenti della famiglia Mancuso-Di Grillo di Limbadi accusati di aver azionato un'autobomba il 9 aprile scorso, uccidendo Matteo Vinci e ferendone gravemente il padre.

Ma buona parte dell'impianto accusatorio è stato ricostruito da Dda di Catanzaro, carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia e Ros di Catanzaro attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali in particolare fra Vito Barbara (genero di Rosaria Mancuso) e la moglie Lucia Di Grillo. 

I due, nelle intercettazioni, si lasciano andare a riferimenti alle indagini dei Carabinieri ed alla scorta invocata dall'avvocato della famiglia Vinci per Rosaria Scarpulla. Dichiarazioni "autoconfessorie", per gli inquirenti, anche laddove i due fermati fanno cenno ad un precedente violento pestaggio di Francesco Vinci, avvenuto il 30 ottobre 2017 e che sono per puro caso non si è tramutato in omicidio. Per il pm della Dda, Andrea Mancuso, intercettazioni più che chiare e che delineano tutto il contesto nel quale è maturata l'idea di uccidere attraverso un'autobomba.

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Delitto creò frattura nel clan Mancuso 

Avrebbe creato una frattura all'interno della stessa famiglia Mancuso di Limbadi, l'omicidio con l'autobomba costato la vita il 9 aprile scorso a Matteo Vinci. E' quanto emerge dal provvedimento di fermo della Dda di Catanzaro che riporta le dichiarazioni di Rosaria Scarpulla, madre della vittima. A pochi giorni dall'attentato, infatti, a casa della donna, per porgerle le condoglianze, si sarebbero recati anche stretti familiari di quelli che vengono ritenuti i vertici del clan.

Alcuni di loro avrebbero anche partecipato alla fiaccolata organizzata il 14 aprile a Limbadi per ricordare Matteo Vinci. Lo stesso boss Luigi Mancuso, libero dal luglio 2012 dopo aver scontato 19 anni ininterrotti di detenzione, e ritenuto il numero uno della famigli,a sarebbe andato il pomeriggio del 14 aprile a trovare Rosaria Scarpulla, dissociandosi dai nipoti e ribadendo che pur non potendo partecipare personalmente alla fiaccolata, avrebbe mandato in sua rappresentanza alcuni familiari "cosa - scrivono gli inquirenti - effettivamente avvenuta". 

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