Lamezia: morte Maximiliam Bartuccio, teste condannata per falsa testimonianza

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Lamezia Terme –“E’ stata pronunciata oggi dal Tribunale Penale di Roma che ha condannato per falsa testimonianza una delle protagoniste di un processo legato al presunto suicidio del giovane lametino Maximilian Bartuccio che in data 24 ottobre 2009 veniva trovato senza vita, in un appartamento sito alla via Ludovico Pavone n.105 di Roma, ove il predetto si era trasferito per ragioni di studio da Lamezia Terme, poco più di un mese prima”. A scriverlo in una nota l’avvocato Antonia Assunta Pagliuso, in merito alla vicenda processuale sulla morte Maximilian Bartuccio, scomparso a Roma il 24 ottobre del 2009. “Quello che all’inizio sembrava un suicidio, - scrive nella nota - non tardava a far scaturire diversi interrogativi, in particolare nel penalista Pagliuso, legale, unitamente a Maria Rita Bagalà, dei familiari del giovane costituitisi parte civile nel lungo processo che seguì a quei sospetti e, quindi, a delle denunce”. “Tali interrogativi erano – continua la nota dell’avvocato - dettati anche e soprattutto dalle innumerevoli e discordanti versioni fornite da una dei testi, Francesca Lena, oggi condannata alla pena di un anno e due mesi di reclusione, per falsa testimonianza. Rivelazioni fatte dalla stessa e che indussero gli investigatori a sostenere la tesi del presunto suicidio. Infatti, fu proprio la ragazza, coinquilina del Bartuccio, che in quel nefasto giorno avvisò la Polizia di quanto accaduto nell’appartamento di via Pavone, raccontando una versione dei fatti che oggi con la sentenza di condanna non trova fondamento giuridico ed investigativo. I familiari del Bartuccio, a cagione di tale condotta dell’odierna imputata, non hanno mai potuto avere luce né sulle dinamiche né sulle cause della drammatica vicenda del 24 ottobre 2009”. “Il nodo cruciale del processo – si legge ancora - è stato disciolto dal controesame che l’avvocato Francesco Pagliuso fece a quella che doveva essere la testimone chiave della difesa dell’imputata”.

“La discussione dell’avvocato Aldo Ferraro – prosegue la nota - che nel corso dell’ultima udienza ha sostituito l’avvocato Antonia Assunta Pagliuso ha messo in evidenza che “Non vi è dubbio alcuno sull’esistenza del nesso eziologico tra la condotta della signora Lena ed i danni patrimoniali e morali subiti dalle odierne parti civili, atteso che l'imputata, coinquilina del di Loro congiunto in Roma, sin dall'immediatezza del luttuoso evento della morte del giovane Bartuccio, rendeva dichiarazioni false e contrastanti sia con quanto dichiarato da altri soggetti sia con quanto si presume possa essere accaduto sulla scorta degli elementi obiettivi (ora del decesso, chiamate telefoniche, spostamenti rilevati dagli organi inquirenti)”. Quindi, sulla base della sentenza di oggi, emerge chiaramente che la condotta tenuta dalla teste Lena ha impedito la corretta ricostruzione degli eventi, cagionando un danno irreparabile ai fine della verità, posto che, dopo quasi cinque anni dalla morte del giovane Bartuccio, non è dato comprendere cosa sia effettivamente accaduto. In ragione di ciò non è escluso che il caso possa essere riaperto e che, come tanto auspicato dall’avvocato Francesco Pagliuso, venga alla luce – conclude la nota - cosa sia effettivamente accaduto al Bartuccio quel maledetto giorno del 29 ottobre 2009”.

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