Lamezia, processo Chimera: verso la fase delle discussioni, a febbraio la sentenza

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Lamezia Terme - Si sta avvicinando alle battute finali il processo Chimera contro la cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri, iniziato nel luglio 2015, nel Tribunale lametino davanti al Presidente Carè e che vede imputati Cesare Gualtieri, Peppino Festante, Lucia Vaccaro, Massimo Crapella e Giancarlo Puzzo, che hanno scelto il rito ordinario. Al centro dell’udienza, la testimonianza di tre testimoni (chiamati dalla difesa) e l’esame dell’imputato Giancarlo Puzzo.

Il primo a salire sul banco dei testimoni, è stato De Sarro, titolare di una concessionaria a Lamezia seguito da Bartuca, titolare di una rivendita di auto nuove ed usate e Paradiso che ha una concessionaria di automobili a Lamezia. Ai tre testimoni l’avvocato Nicola Veneziano ha chiesto se conoscessero Cesare Gualtieri e se avessero mai avuto richieste estorsive da parte dell’imputato: “ha sempre pagato” hanno risposto i testimoni chiamati in aula. In particolare, Bartuca, ha riferito che “conosco Cesare Gualtieri da anni perché è appassionato di auto e veniva spesso a curiosare, poi, nel 2012, ne ha comprata una e l’ha pagata per quello che era giusto”. Anche presso la concessionaria di Paradiso, ha riferito in aula il testimone, ha acquistato delle macchine e “ha sempre pagato”. Quanto detto, dicono i testimoni, “è stato documentato”.

In aula è stato ascoltato anche l’imputato Giancarlo Puzzo che ha risposto alle domande dell’avvocato Ferruccio Mariani. Puzzo lavora in una ditta edile con sede a Mongrassano in provincia di Cosenza, che si occupa, in particolare, di lavori a pompe di benzina e movimento terra. “Io non sono il titolare”, ha specificato. L’avvocato gli ha chiesto se avesse svolto lavori nel territorio di Lamezia Terme. “Sì – ha risposto - presso il distributore di benzina in contrada Lenza dal 2009”. Un lavoro che ha subito diverse interruzioni per motivi, ha sottolineato Puzzo, “di carattere burocratico”. I dipendenti della ditta non risiedendo a Lamezia viaggiavano e lasciavano i mezzi nella zona. Nel corso degli anni “abbiamo subito quattro atti intimidatori”. L’avvocato ha chiesto all’imputato di descrivere ognuno di questi atti per i quali, in un primo momento “non ho contattato le autorità per paura, per questo non ho detto niente a nessuno”.

Puzzo ha riferito in aula degli atti intimidatori subiti durante questi lavori a Lamezia: “una moto, con due persone a bordo che indossavano il casco integrale, ci ha chiesto se ‘eravamo a posto’ io gli ho detto di sì, che avevamo tutti i documenti, dopo un mesetto è passato un ragazzo con uno scooterone e ha fatto fuoco: tre colpi di pistola”. “Noi eravamo dentro - ha aggiunto - sono uscito e ho visto uno che se ne andava a bordo di una moto nera”. A colpire Puzzo, il fatto che “in quel frangente passava la Polizia sulla 280 ma questa persona ha sparato, s’è messo sulla moto e se n’è andato”. Anche in questo caso non sono state avvertite le forze dell’ordine.

“La sera – ha proseguito - quando sono andato a prendere la pala meccanica per portarla alla Volvo, ho notato un proiettile schiacciato, il parabrezza demolito e un altro vetro in frantumi”. “Danni che, ancora oggi, non abbiamo riparato”. Poi è passato a descrivere il terzo atto intimidatorio subito: “Dopo tre o quattro mesi un operaio ha trovato benzina in una bottiglietta di plastica e un proiettile calibro 12”. “Siamo andati avanti – ha detto - ma da lì è iniziata la mia intenzione di lasciare il lavoro”. Poi, ha proseguito “per motivi burocratici il cantiere si ferma per un anno. Siamo ritornati d’estate e, un giorno, due ragazzi su un motorino rosso si sono avvicinati e mi hanno chiamato per avvicinarmi, uno ha tirato fuori una pistola, aveva un casco integrale e mi ha chiesto se il principale si era ‘messo a posto’. Io gli ho detto che non lo sapevo e mi ha detto che non potevamo più lavorare perché non eravamo ‘a posto’. Poi ha sparato a terra vicino a me. Ho nuovamente pensato di lasciare il lavoro. Poi ci sono stati gli arresti”. “Dopo - ha concluso - siamo tornati a lavorare e non abbiamo avuto più problemi”.

Altro tema emerso durante l’udienza, i rapporti con Pasquale Cerra: “gli ho chiesto a chi mi potevo rivolgere per avere del materiale. Era pazzesco portarlo da Cosenza e quindi lo prendevo direttamente qua”. “Consigliata o imposta?” chiede l’avvocato, “Consigliata” risponde.

È stato “nel 2015 – ha riferito infine – che ho raccontato tutto ai carabinieri e che non avevo parlato per paura”. L’udienza è stata poi rinviata al 26 gennaio con la conclusione dei testimoni. A fine febbraio, invece, è prevista la sentenza. 

R.V.

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