'Ndrangheta, operazione 'Reventinum' contro cosche area montana: 12 fermi - NOMI e VIDEO

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Catanzaro - Dalle prime ore del mattino, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro e Reparti speciali sono impegnati nella provincia di Catanzaro ed in alcune località del nord Italia in una vasta operazione, denominata 'Reventinum', per l'esecuzione di un fermo di indiziato di delitto per associazione di tipo mafioso ed altro nei confronti di 12 persone ritenute appartenenti a due contrapposte cosche di 'ndrangheta attive nell'area montana del lametino, gli Scalise e i Mezzatesta. Effettuate anche numerose perquisizioni. Il provvedimento di fermo è stato emesso dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri. Ai sodali destinatari del fermo sono contestai una serie di reati nell'ambito di una vera e propria faida scaturita per la supremazia del controllo dell'area montana della provincia.

I NOMI

Pino Scalise, 61 anni
Luciano Scalise, 41 anni
Andrea Scalzo, 38 anni
Angelo Rotella, 36 anni
Vincenzo Mario Domanico, 43 anni
Salvatore Domenico Mingoia, 54 anni
Cleo Bonacci, 57 anni
Eugenio Tomaino, 55 anni
Giuliano Roperti, 50 anni
Ionela Tutuianu, 42 anni
Giovanni Mezzatesta, 43 anni
Livio Mezzatesta, 40 anni

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VIDEO 2

Tra indagati 7 della famiglia Scalise e 5 dei Mezzatesta

Indagini che sono scaturite nell’ambito dei delitti dell’avvocato Francesco Pagliuso (ucciso il 9 agosto 2016) e poi del dipendente delle Ferrovie, Gregorio Mezzatesta (ucciso a Catanzaro il 24 giugno 2017). A tutti i 12 indagati viene contestato il 416 bis, ovvero il reato di associazione mafiosa. 7 persone sono ritenute riconducibili alla cosca Scalise e 5 alla cosca Mezzatesta. È stata così fatta luce sulla storia criminale del Reventino nei comuni di Platania, Decollatura, Soveria Mannelli e Serrastretta, con riferimento alle infiltrazioni nei segmenti economici delle costruzioni e in particolare del movimento terra nell'intera zona. “I mandanti dell’omicidio stanno attorno anche a questi indagati” ha detto il Procuratore Gratteri in conferenza stampa. Un’area, quella montana, già attenzionata ma che, afferma il comandande provinciale dei carabinieri Marco Pecci “ha ancora molti aspetti oscuri”. Per Pecci questi “delitti e fatti oggi hanno un’univoca chiave di lettura”. In questo quadro rientrano anche le dinamiche criminali che riguardano la commissione di 6 omicidi e che hanno trovato gli esecutori materiali (come nell’omicidio Mezzatesta e Pagliuso). “Oggi si aggiunge un'altra tessera al mosaico che ancora deve essere completato” conclude Pecci. Il comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giuseppe Carubia rimarca come l’operazione “Reventinum” ha preso origine su “input nell’ambito dei delitti di Pagliuso e poi Gregorio Mezzatesta”.

In manette anche la compagna di Domenico Mezzatesta, Tutuianu, a cui viene attribuito il compito di mantenere viva la leadership del capo cosca in stato di detenzione. La donna avrebbe veicolato i messaggi dal carcere del boss all'esterno, dettando le nuove strategie criminali. Luce anche su diversi episodi di estorsione, in particolare contro un imprenditore del settore della commercializzazione del legno, a cui fu chiesto il pagamento di 150mila euro. Sono state anche effettuate varie perquisizioni e sequestri di documentazione e di ingenti somme di denaro.

La vicenda del sequestro dell’avvocato Pagliuso che incappucciato fu condotto in un bosco del Reventino

"La capacità criminale e la tracotanza raggiunte dalla cosca Scalise - affermano gli inquirenti in riferimento alla vicenda Pagliuso - sono testimoniate dal sequestro dell'avvocato del foro di Lamezia, che dalla seconda metà del 2012 era difensore di Daniele Scalise, figlio del capo cosca Pino Scalise per un procedimento penale a Cosenza. Gli elementi investigativi acquisiti nel corso delle indagini - spiegano ancora gli investigatori - hanno documentato come Pagliuso accusato di minor impegno professionale e di aver commesso degli errori nella linea difensiva a tutela di Scalise, venisse privato della libertà, incappucciato e condotto con la forza in un bosco del Reventino, dove è stato costretto a stare legato dinanzi a una buca scavata nel terreno. Il tutto al fine di piegare l'avvocato alla volontà della cosca, specie con riferimento alle determinazioni e al comportamento da tenere nel procedimento a carico di Scalise. Il sequestro e la violenza privata perpetrati con l'aggravante mafiosa in danno dell'avvocato vengono contestati con il fermo odierno. Lo stesso Pino Scalise, in un momento successivo, non esiterà a reiterare ulteriori minacce raggiungendo Pagliuso direttamente all'interno del suo studio a Lamezia Terme”.

 

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